Palestina: cronologia della vergogna - di Milad Jubran Basir

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La Palestina, come il resto del mondo arabo, è stata sotto il dominio ottomano dal 1516 fino al 1914, quattrocento anni.

 

1917 – Dichiarazione Balfour: il 2 novembre, il governo britannico promette a Lord Rotschild la creazione di un “focolare nazionale per il popolo ebraico” in Palestina. All’epoca solo il 4% della popolazione è di religione ebraica, mentre il 20% è costituito da cristiani e il 76% da musulmani.

 

1919 – Il Congresso Nazionale Palestinese respinge la dichiarazione di Balfour e chiede l’indipendenza della Palestina.

 

1922 – La Società delle Nazioni affida alla Gran Bretagna il Mandato sulla Palestina. L’amministrazione britannica incoraggia l’immigrazione ebraica.

 

1947 – Il 29 novembre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per mezzo della risoluzione 181, approva il Piano di partizione della Palestina tra uno Stato per gli arabi palestinesi e uno per gli ebrei, ed assegna a questi ultimi il 56% della Palestina, mentre all’epoca rappresentano il 33% della popolazione e detengono solo il 6% delle terre.

 

1948 – I britannici rinunciano al Mandato lasciando il problema in mano alle Nazioni Unite.

 

1948-1949 – Il 14 maggio 1948 Israele proclama la propria indipendenza: per i palestinesi è la Nakba (Catastrofe), che costringe 800mila palestinesi all’esodo mentre 531 villaggi vengono rasi al suolo. L’11 dicembre, l’Onu adotta la Risoluzione 194 con cui chiede a Israele di consentire il ritorno dei rifugiati.

 

1967 – Tra il 5 e il 10 giugno, durante la guerra dei Sei Giorni contro gli arabi, Israele occupa il resto della Palestina storica, cioè la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme est. Il 22 novembre, la Risoluzione 242 delle Nazioni Unite esige il ritiro di Israele dai Territori Occupati.

 

1982 – Il 6 giugno Israele lancia contro il Libano la cosiddetta “Operazione Pace in Galilea”. Tra il 16 e il 18 settembre, milizie libanesi protette dall’esercito invasore israeliano entrano nei campi profughi di Sabra e Shatila e massacrano oltre tremila palestinesi, per lo più vecchi, donne e bambini.

 

1987 – L’8 dicembre nei Territori occupati esplode la Prima Intifada, sollevazione popolare nonviolenta, per chiedere l’autodeterminazione e l’indipendenza del popolo palestinese.

 

1988 – Il 15 novembre, durante la sessione del Consiglio Nazionale Palestinese dell’Olp riunito ad Algeri, Yasser Arafat proclama lo Stato indipendente di Palestina sui confini del 4 giugno 1967.

 

1993-1995 – Gli Stati Uniti promuovono tra i rappresentanti della Palestina e quelli di Israele una serie di incontri, noti come Accordi di Oslo, che si interpretano come il primo passo verso la creazione di uno Stato palestinese. Durante il cosiddetto “processo di pace”, Israele raddoppia il numero degli insediamenti illegali nei territori palestinesi.

 

2000 - La visita provocatoria di Ariel Sharon (allora capo dell’opposizione parlamentare in Israele) sulla Spianata della Moschea di Gerusalemme provoca l’inizio della Seconda Intifada.

 

2000 - L’iniziativa di pace della Lega Araba offre a Israele il riconoscimento e la pace in cambio del ritiro dai Territori occupati nel 1967 e di una soluzione al problema dei rifugiati palestinesi. Israele ignora la proposta, invade tutte le città palestinesi e comincia la costruzione del muro dell’apartheid (2002).

 

2003-2004 – Il presidente Yasser Arafat è in stato d’assedio all’interno della Muqata di Ramallah. Il 9 luglio la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja dichiara che “la costruzione del muro e il regime che lo accompagna sono contrari al diritto internazionale”. L’11 novembre 2004 l’intenzione di eliminare Yasser Arafat culmina con la sua morte.

 

2008-2009 – Israele compie una brutale aggressione contro il popolo palestinese nella Striscia di Gaza, assassinando 1.500 palestinesi e ferendone 5.500. Migliaia di abitazioni, centri commerciali, scuole e luoghi di culto vengono distrutti.

 

2010 - Le forze di occupazione israeliana continuano con la confisca di terre e proprietà dei palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est per la costruzione degli insediamenti di coloni israeliani. La politica di Israele a Gerusalemme si basa sulla pulizia etnica, culturale e religiosa dei palestinesi.

 

2012 – Il 14 novembre, Israele lancia un’altra offensiva militare aerea contro la Striscia di Gaza che dura una settimana. La cosiddetta “operazione Pilastro di Difesa” causa la morte di 167 palestinesi. Il 29 novembre l’Assemblea Generale dell’Onu, con il voto favorevole di 138 Paesi compresa l’Italia, approva la Risoluzione A/RES/67/19 che riconosce la Palestina come Stato Osservatore delle Nazione Unite.

 

2014 – L’8 luglio Israele scatena un’altra devastante aggressione contro Gaza che dura fino al 26 agosto. La cosiddetta “Operazione Margine di Protezione” uccide 2.104 palestinesi, tra cui 495 bambini e 253 donne.

 

2015 – Il 30 settembre, 119 paesi, compresa l’Italia, votano a favore dell’innalzamento della bandiera palestinese sul Palazzo dell’Onu.

 

2016 – Il 18 ottobre l’Unesco approva una risoluzione intitolata “Palestina occupata” che riguarda la città vecchia di Gerusalemme. La risoluzione, al fine di tutelare il patrimonio culturale palestinese, riconosce il “Monte del Tempio” con il solo nome arabo Haram al Sharif (Spianata delle Moschee), definisce Israele una “potenza occupante” e critica il modo in cui gestisce l’accesso ai luoghi sacri; chiede ad Israele di rispettare lo status quo della città di Gerusalemme in vigore prima del settembre del 2000 (la Spianata delle Moschee sotto il controllo del ministero giordano degli Affari islamici e dei luoghi sacri). Il 23 dicembre, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, approva, con l’astensione degli Stati Uniti, la risoluzione 2334 che condanna gli insediamenti israeliani.

 

2017 – Il 14 gennaio il presidente Abu Mazen inaugura l’Ambasciata dello Stato di Palestina presso la Santa Sede. Il 27 maggio, dopo 40 giorni di digiuno, termina uno dei più imponenti scioperi della fame mai portati avanti dai detenuti nelle carceri israeliane, cui partecipano 1.800 prigionieri palestinesi. Il 6 dicembre il presidente Usa Trump proclama Gerusalemme capitale di Israele. Con la sola eccezione degli Usa e il voto favorevole dell’Italia, il Consiglio di Sicurezza il 18 dicembre respinge la decisione di Trump, con la risoluzione ripresa e approvata dall’Assemblea Generale delle Nazione Unite il 21 dicembre dello stesso anno.

 

2018 – Il 30 marzo la popolazione palestinese di Gaza intraprende la “Grande Marcia del Ritorno”, subendo una tremenda repressione da parte dell’esercito israeliano che causa più di 200 morti e migliaia di feriti. Il 18 luglio la Knesset (il Parlamento israeliano) approva una legge che qualifica Israele come “Stato – nazione del popolo ebraico”. Il 31 agosto gli Usa decidono di uscire dall’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per l’assistenza ai profughi palestinesi, fondata nel 1949, l’8 settembre di annullare lo stanziamento annuale per i sei ospedali palestinesi di Gerusalemme Est, e il 10 settembre di chiudere la sede dell’Olp a Washington.

 

2020 – Il governo israeliano, con il sostegno del presidente degli Usa Trump, annuncia la sua intenzione di annettere parte della Cisgiordania, annuncio mai realizzato finora grazie alla reazione del popolo palestinese e alle proteste di tanti Paesi. Il presidente dell’Anp Abu Mazen ha reagito duramente all’annuncio del governo israeliano di essere pronto ad annettere parte della Cisgiordania, dichiarando “finiti” tutti gli accordi con Israele e Stati Uniti.

 

2023: L’attacco militare omicida di Hamas e la guerra scatenata da Israele contro Gaza hanno causato finora oltre 50mila vittime tra morti, feriti e dispersi da entrambi le parti.

 

Tre gli scenari possibili per il prossimo futuro

 

Deportazione della popolazione di Gaza fuori dalla Striscia, ripresa della colonizzazione della Cisgiordania con nuovi insediamenti. Questo scenario porterebbe israeliani e palestinesi a vivere in un contesto di guerra permanente, con i rischi di instabilità militare e politica in tutto il Medio Oriente.

 

Recuperare in modo immediato l’equazione “due Stati per due popoli” attraverso la convocazione di una Conferenza Internazionale di Pace, sotto l’ombrello della Nazione Unite, che sancisca la fine dell’occupazione militare di Israele e la nascita dello Stato palestinese, in base al diritto e alla legalità internazionale.

 

Formare uno Stato federale tra due Stati alla pari (Palestina e Israele) che garantisca i diritti a tutti i suoi concittadini, israeliani e palestinesi, in modo eguale senza nessun privilegio né discriminazione. In un progetto di questa portata sarebbero auspicabili due cose: in primis l’integrazione della Giordania in questa federazione, e in secondo luogo l’ammissione del nuovo Stato federale nell’Unione europea, per un progetto di ricostruzione socio economica e politica del nuovo Stato.

 

Quale di queste strade sarà perseguita dipende, in questo momento, dalla comunità internazionale e dalla sua volontà e capacità di intervenire nel conflitto armato per ricondurlo alla diplomazia, assicurando una soluzione politica giusta che restituisca speranza a questi popoli martoriati.

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