Fermare il genocidio nella Striscia di Gaza - di Giuditta Brattini

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Una testimonianza diretta sulla situazione a Gaza dopo il 7 ottobre.

Sono arrivata a Gaza il 19 settembre scorso. Una missione che mi avrebbe vista impegnata nella visita ai nostri bambini e bambine, 206, inseriti nel progetto Gazzella di adozione a distanza; per verificare le attività delle cliniche dentali di Shaty camp e El Burej che abbiamo rinnovato, e il monitoraggio dei servizi del progetto dell’Associazione Fonti di Pace, finanziato con l’8xmille della Chiesa Valdese, per la riabilitazione di bambini e adulti con disabilità.

Quando il 7 ottobre sono iniziati i bombardamenti, ero ancora presso la struttura del Palestinian Medical Relief Society (P.M.R.S.), nostro partner a Gaza. I bombardamenti, fin da subito intensi, hanno determinato l’immediata chiusura di scuole e uffici. I primi morti per strada li ho visti davanti alla sede del P.M.R.S., causati da una bomba che aveva colpito l’edificio a fianco del nostro.

Nei giorni successivi sono stata testimone al pronto soccorso del Al El Quds Hospital dei risultati dei bombardamenti contro i civili: le ambulanze trasportavano anche più di un ferito, altri arrivavano con mezzi privati. La situazione era drammatica: arti staccati e messi in sacchi di plastica, ferite e bruciature profonde causate dal fosforo bianco, casi di soffocamento perché rimasti sotto le macerie o a causa dei gas delle bombe.

 

Situazione sanitaria

Dal 2007 la striscia di Gaza è sotto assedio, e prima ancora dell’aggressione del 7 ottobre gli ospedali e le strutture sanitarie lamentavano la cronica mancanza di medicinali, strumentazioni e attrezzature per la cura e la prevenzione. Fin dai primi giorni dell’aggressione il taglio dell’energia elettrica ha costretto le strutture sanitarie a dipendere dai generatori e dai pannelli solari. Oggi, dopo oltre un mese dall’inizio dei bombardamenti, si contano più di 11mila morti, di questi il 40% sono bambini, e più di 30mila feriti. Il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato che “a Gaza nessuno è sicuro e un bambino muore ogni 10 minuti”.

Si denunciano continui attacchi contro centri sanitari, ospedali e distretti sanitari. Il Baptist Alj Hospital è stato bombardato, con oltre 500 morti. Sotto i bombardamenti le ambulanze raggiungono i feriti con grande difficoltà, e gli attacchi israeliani non le risparmiano: 57 ambulanze colpite e 198 operatori sanitari uccisi. Gli ospedali sono al collasso. Si opera senza anestesia, si disinfetta con l’aceto e i materiali sanitari monouso sono finiti. I corridoi degli ospedali sono pieni di feriti sistemati per terra, obitori traboccanti e migliaia di persone occupano gli spazi esterni degli ospedali, parcheggi e giardini, nella speranza di trovarsi in un posto sicuro.

Bambini e adulti malati oncologici non possono essere curati, lo stesso per i malati cronici o che hanno bisogno di dialisi. Almeno 120 neonati nelle incubatrici degli ospedali di Gaza sono a rischio a causa dell’esaurimento del carburante, che serve per il funzionamento delle attrezzature.

Le forze di occupazione israeliane hanno ripetutamente bombardato e chiesto l’evacuazione degli ospedali El Shifa, Naser, El Quds, Indonesian, Ranteesi. Quest’ultimo è un ospedale pediatrico dove c’è l’unico centro oncologico dedicato ai bambini, ne sono ricoverati 63 di cui 15 in terapia intensiva, dieci attaccati ai respiratori e altri 38 che necessitano di ricovero.

L’ articolo 18 della IV Convenzione di Ginevra cita “Gli ospedali civili organizzati per prestare cure ai feriti, ai malati, agli infermi e alle puerpere non potranno, in nessuna circostanza, essere fatti segno ad attacchi; essi saranno, in qualsiasi tempo, rispettati e protetti dalle Parti in conflitto”. Israele nel corso dell’aggressione ha più volte calpestato il disposto della IV Convenzione di Ginevra articolo 18, in palese violazione del Diritto umanitario internazionale.

L’intero sistema sanitario a Gaza sta crollando. Il personale sta lavorando dal 7 ottobre scorso in condizioni estreme e senza sosta. Esausti, a fatica danno assistenza ai feriti. Sono esauriti farmaci, ventilatori, materassi su cui mettere i feriti, disinfettanti e materiali medicali adeguati per la cura, quali i fissatori. Questa situazione impone scelte drastiche come le amputazioni degli arti quale unica soluzione.

Dall’inizio dell’aggressione Israele ha impedito l’entrata regolare degli aiuti umanitari: acqua, farmaci e generi alimentari. Il gasolio non è stato autorizzato in quanto Israele si oppone alle consegne di carburante, sostenendo che potrebbe essere confiscato da Hamas ed usato per i combattimenti. La mancanza di gasolio ha portato al collasso dei servizi sanitari.

In una situazione di normalità a Gaza entrano circa 500 convogli al giorno. Dall’inizio dell’aggressione sono entrati a singhiozzo non più di 20 convogli al giorno.

 

La popolazione civile ha dovuto abbandonare le case per imposizione di Israele

L’Unrwa (agenzia Onu per i rifugiati palestinesi) parla di 1.700.000 persone evacuate dalle loro case, che significa il 70% della popolazione di Gaza. Ci sono ancora civili che stanno sfollando, sotto i bombardamenti e senza corridoi umanitari. Circa 700mila civili sono ospitati presso strutture Unrwa, scuole o sedi logistiche. Altri presso le scuole governative, in case di parenti o negli spazi adiacenti agli ospedali, parcheggi e giardini. Unrwa è in grado di fornire giornalmente un panino e una scatoletta di carne a persona. La fame è tanta. Lo scatolame, dopo i bombardamenti di supermercati e negozi alimentari, resta l’unica risorsa. La mancanza di gasolio, cibo e acqua - si beve acqua inquinata da nitriti e nitrati e contaminata da metalli pesanti - ha ridotto i palestinesi allo stremo.

L’aggressione in corso espone i bambini a episodi estremamente traumatici. Non hanno un luogo sicuro dove rifugiarsi, sono privati di qualsiasi senso di sicurezza, in migliaia sfollati dalle loro case, circondati da morte e sangue. Ansia, paura, preoccupazione per la propria sicurezza e per quella dei propri cari, incubi e ricordi inquietanti, insonnia, difficoltà a esprimere le proprie emozioni. È un’esposizione a traumi di guerra che ha un forte impatto sull’equilibrio mentale anche degli adulti.

Nella striscia di Gaza è in corso un’aggressione armata senza precedenti. Non possiamo parlare di guerra. Ci troviamo di fronte ad uno scontro tra uno degli eserciti più potenti al mondo e un insieme di corpi combattenti che hanno a disposizione armi non sofisticate, lanci di razzi per la maggior parte intercettati dagli Iron Dome.

Dall’inizio dell’aggressione Israele ha sganciato 30mila tonnellate di bombe sulla popolazione civile di Gaza. Saranno devastanti le conseguenze sull’ambiente e sulle persone: inquinamento atmosferico e contaminazione del suolo e dell’acqua compromettono qualsiasi uso produttivo. Un bombardamento atomico a rate.

 

Quale democrazia?

Oggi nella striscia di Gaza è in corso un genocidio. Malgrado ciò si parla di Israele quale unica democrazia del Medio Oriente che va difesa e giustificata. Uno Stato democratico si basa su valori, principi e pratiche che lo qualificano: libertà, uguaglianza, solidarietà, diritti universali esigibili e convivenza di etnie, culture e religioni diverse, dove i cittadini sono gli esclusivi detentori del potere politico. Non è democrazia quella di Israele che non ha una Costituzione come indirizzo di valori e diritti comuni, non ha definito e posto limite ai suoi confini, si è data una legge che la qualifica come Stato nazione degli ebrei.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha dichiarato lo scorso 24 ottobre alla riunione del Consiglio di Sicurezza: “E’ importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono venuti dal vuoto. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione. Hanno visto la loro terra costantemente divorata dagli insediamenti e tormentata dalla violenza: la loro economia soffocata; la loro gente sfollata e le loro case demolite; le speranze di una soluzione politica alla loro situazione sono svanite. Ma le rimostranze del popolo palestinese non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas. E questi terribili attacchi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese”. Una dichiarazione che fa riflettere sulla storia del popolo palestinese.

È difficile ipotizzare il dopo, ma sicuramente nulla sarà più come prima. Dalle relazioni con i nostri colleghi e partner locali a Gaza, dal nostro modo di intervenire e portare gli aiuti e solidarietà alla popolazione. Un senso di impotenza accompagnerà il nostro agire futuro, perché quello che sta accadendo nella striscia di Gaza è una sconfitta per tutti noi.

 

13 novembre 2023

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