Più reati, più pene, più repressione, meno sicurezza - di Pietro Colapietro

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Come poliziotto, come sindacalista, soprattutto come cittadino l’idea di “sicurezza” che ha questo governo mi preoccupa molto. Preoccupazione rafforzata dall’incontro del 16 novembre fra la premier Meloni, i sindacati di polizia e le rappresentanze militari. Incontro annunciato da tempo, che si è risolto in una kermesse ad uso dei media, visto che non c’è stato alcun confronto, ma solo la presentazione anticipata di qualche ora dei provvedimenti che il Consiglio dei ministri avrebbe preso di lì a poco.

Un super spot, insomma. Che certifica come questo governo di destra veda la sicurezza, le lavoratrici e i lavoratori in uniforme: semplici soldatini che battono i tacchi. Una visione che appartiene ad un’epoca della nostra storia che forse qualcuno rimpiange. Un’idea di sicurezza che moltiplica i reati e non assume gli operatori necessari per contrastare il vero problema, che è la criminalità organizzata. Un’idea di sicurezza che criminalizza prima e punisce poi il disagio sociale senza aggredire le cause che lo determinano, e aumenta le pene per i piccoli reati.

C’è un dato: il nostro contratto è scaduto da quasi 700 giorni e l’ultimo accordo siglato, relativo al periodo 2019-21, prevedeva un aumento medio del 4%. Il miliardo e mezzo di euro annunciato dalla presidente del Consiglio nei giorni scorsi si traduce in un aumento medio del 5,8% a fronte di un triennio contrattuale, quello relativo al periodo 2022-24, che sta registrando tassi di inflazione del 8,1% nel 2022 e 6,7% per il 2023. Numeri ampiamente superiori agli incrementi previsti, e che non tengono ancora conto dei dati del 2024, che la maggior parte degli economisti non vede positivi per il caro prezzi. In buona sostanza col nuovo contratto di lavoro, ancora da siglare, e con i primi incrementi di poche decine di euro che potrebbero arrivare da gennaio, poliziotti, carabinieri e militari sono più poveri rispetto a due anni fa. Questo solo per parlare dell’aspetto economico.

Ma c’è di più e di peggio: il governo ha sbandierato a noi rappresentanti delle uniformi (tute da lavoro a tutti gli effetti) e soprattutto ai cittadini, l’idea che aumentando i reati e inasprendo le pene si possa davvero incrementare la sicurezza di giovani, donne, anziani e famiglie. Ma non è stata data risposta alla carenza di circa 10mila unità di personale nella sola Polizia di Stato che nel prossimo triennio è destinata a raddoppiare per effetto dei pensionamenti, superiori alle assunzioni: 35-40mila donne e uomini in meno, personale sempre più anziano poiché l’età media supera i 50 anni: in questa situazione come si può pensare di contrastare i reati, vecchi e nuovi che siano?

C’è un’idea di fondo sbagliata, quella che occorra puntare sulla repressione e sulla faccia feroce, dimenticando che il ruolo delle forze di polizia è primariamente quello di prevenire i reati, di soccorrere e aiutare le persone, soprattutto più deboli e fragili, di assicurare il controllo del territorio. Senza assunzioni si incide negativamente sulle condizioni di tutti noi, obbligati a prestazioni straordinarie che superano quelle ordinarie con il risultato, in aggiunta ad un benessere organizzativo minato, di avere una ridotta vita sociale, affettiva.

Non sfugga a nessuno che ormai in questo settore assistiamo a molte, troppe morti sul servizio, per il servizio e ad un preoccupante numero di eventi suicidari. Non è tollerabile che si smantelli un sistema di sicurezza civile che è la base di ogni democrazia con la sottesa volontà, e qui siamo all’altra idea di fondo sbagliata, di puntare sull’esercito per le strade. Non a caso il ministro della difesa ha strappato un congruo numero di assunzioni tra le stellette, a discapito delle forze di polizia. Il disegno è chiaro: securizzare la sicurezza, puntare sull’esercito per disegnare un modello di società che esclude e non include, che parla alla pancia delle persone e riduce gli spazi di vivibilità, facendo cedere sempre più pezzi di diritti individuali soggettivi per sentirsi più sicuri senza esserlo realmente.

Una sicurezza fatta di decreti e di panpenalismo, che non punta al dialogo ma allo scontro, può soltanto esacerbare gli animi e comprimere elementi di giustizia sociale. L’istituzione di nuovi reati, le donne in carcere coi figli, la norma che permette a tutti noi che portiamo una divisa di comprare qualsiasi arma oltre a quella in dotazione (che possiamo comunque sempre portare al seguito anche in borghese, già oggi), rischia di aggravare i problemi esistenti, piuttosto che risolverli.

 

Non capirlo, e cavalcare la tigre dell’insicurezza per piccoli o grandi tornaconti elettorali è folle. Folle per i cittadini. Folle per chi, come me che porto la divisa da poliziotto da quasi 40 anni, ha giurato sulla Costituzione nata dalla Resistenza e non sui decreti che se la prendono con i fragili e con i più deboli. Io non ci sto. Noi del Silp Cgil non ci stiamo. Non a caso siamo mobilitati da luglio, e continueremo a mobilitarci nei prossimi giorni e nelle prossime settimane assieme alla Cgil.

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