Prevenzione e formazione per fermare la violenza sulle donne - di Giorgia Fattinnanzi

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Ogni tre giorni in Italia una donna viene uccisa da un compagno o ex compagno/marito/fidanzato. Il numero verde 1522 quest’anno ha ricevuto 32.500 chiamate, l’81% da donne italiane.

Questi numeri sono girati ovunque in questi giorni, dalla tv alla radio ai social media. Eppure rappresentano solo la punta di un iceberg ancora sommerso, e immerso, nella cultura del nostro paese. Come potrebbe essere altrimenti? In fondo, fino al 1981 lo stupro era un reato contro la morale, spesso messo a tacere con il matrimonio riparatore. Solo quell’anno quest’ultimo viene abolito, insieme al delitto d’onore.

In altre parole, fino a quarant’anni fa l’ordinamento giuridico del nostro Paese sanciva l’appartenenza del corpo e della vita della donna a quella di un uomo qualsiasi che, solo perché l’oggetto del suo “desiderio” gli appartenesse, aveva tutto il diritto di farne ciò che voleva.

Quarant’anni fa, dal punto di vista della trasformazione culturale, è come dire ieri. Per questo il fenomeno della violenza maschile sulle donne è sì un’emergenza, ma di natura strutturale. Per questo, nonostante leggi innovative e rivoluzionarie, in primis la Convenzione di Istanbul, i numeri dei femminicidi sono rimasti sostanzialmente invariati negli ultimi 20 anni. Per questo un approccio che si limiti al penale non affronta l’origine del problema, e tanto meno lo può risolvere.

La Convenzione di Istanbul prevede un contrasto alla violenza che si muove su azioni integrate e si sviluppa su quattro assi: prevenzione, punizione, protezione e propaganda.

La legge firmata dai ministri Roccella, Nordio e Piantedosi, varata all’unanimità dal Senato, ha il merito di intervenire su alcune storture del Codice Rosso e di rafforzare lo strumento dell’ammonimento del questore, che interviene prima che un comportamento diventi penalmente rilevante. Ma ha il grande limite di muoversi solo sul piano penale. Guardando alle innovazioni positive, porta il limite del divieto di avvicinamento a 500 metri (fino ad oggi non esisteva un limite minimo, a volte veniva fissato a 50 metri); introduce l’arresto in flagranza differita, entro 48 ore, grazie a documentazione audio-video, di chi violi le misure di protezione; l’immediata comunicazione alla vittima di modifiche delle misure cautelari; l’estensione del concetto di recidiva anche se la persona offesa è diversa da quella per cui è stato emanato un ordine di protezione.

Quest’ultimo elemento è particolarmente rilevante, perché rafforza il concetto che la violenza è un problema che riguarda quell’uomo e che nessuna corresponsabilità può essere data alla vittima. Ricordiamo i vari articoli di stampa su come una donna stuprata era vestita o se era ubriaca, se una vittima di femminicidio aveva tradito il compagno o lo aveva lasciato nonostante lui avesse fatto di tutto per lei...

Importante anche è la modifica dello sconto di pena per chi segue un percorso presso i centri per uomini violenti, che il Codice Rosso concedeva per il solo fatto di aver effettuato l’accesso al percorso. Rimane però ancora in alto mare la discussione sui criteri di accreditamento dei centri, a partire dalla certificazione del metodo utilizzato, e l’esclusione del contatto partner, ovvero l’utilizzo della vittima come “termometro” della situazione.

La violenza maschile sulle donne non è legata all’amore, all’attrazione fisica. Rappresenta solo la spinta narcisistica ad affermare il proprio potere sull’altra. Per questo è un grave errore affrontare come fenomeni separati la violenza domestica, lo stupro, la violenza psicologica, quella economica, quella sul web, le molestie sul lavoro, manifestazioni diverse di una unica pulsione che punta all’annientamento e annichilimento della volontà dell’altra.

Per questo la formazione è l’unico vero strumento che ci permetterà nel medio-lungo termine di contrastare strutturalmente il fenomeno. Non una formazione occasionale, lasciata alla singola iniziativa. Serve un piano formativo nelle scuole, a partire dalla materna, che educhi all’emotività e al rispetto dell’altra e dell’altro. Serve l’educazione sessuale per evitare che gli adolescenti si formino solo sui siti pornografici, che spesso riportano video di rapporti non consensuali e stupri di gruppo. Serve la formazione degli operatori che, a vario titolo, entrano in contatto con le donne vittime di violenza ed eventuali minori coinvolti, per evitare la vittimizzazione secondaria, la violenza istituzionale sulle donne, spesso alla base della sfiducia nella risposta delle istituzioni e tra i maggiori deterrenti alla scelta di denunciare.

È necessario affrontare il problema con un approccio strutturale e non parziale, così come previsto dalla Convenzione di Istanbul, e il luogo idoneo è il piano nazionale antiviolenza. Peccato che il piano operativo 2021-23 non abbia mai visto la luce, e di quello 2023-25 non si sia ancora cominciato a discutere.

 

Senza questo approccio strutturale e integrato, anche il prossimo 25 novembre continueremo a contare le vittime e a chiederci cosa non ha funzionato.

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