Otto Marzo, giornata di lotta per i diritti, la libertà di essere, di lavorare dignitosamente, contro sopraffazioni e violenza. Ovunque - di Esmeralda Rizzi

Premiate perché lavoratrici madri ma solo dal terzo figlio in su perché, il sottinteso è chiaro, con un figlio solo non sei una “brava donna” e quindi non meriti alcun sostegno.

Messe all’angolo, e colpevolizzate se intenzionate ad abortire. A tal punto che, in questi mesi, alcune associazioni amiche dei partiti di governo hanno raccolto 106mila firme per una legge che imponga l’ascolto del battito cardiaco del feto a coloro che volessero interrompere a gravidanza.

Escluse dalla ripresa occupazionale legata al Pnrr, grazie alle deroghe introdotte dal nuovo governo: oltre il 70% delle stazioni appaltanti del Pnrr vi ha fatto ricorso, come dimostrano i dati.

Illuse, per non dire raggirate, dalle promesse elettorali sull’accesso a una pensione che riconosca i gap occupazionali femminili, lavoro discontinuo, maggiormente precario, sotto retribuito, part time non voluto, e nei fatti, lasciate senza soluzioni. Anzi, in manovra, sono state ridimensionate pure quelle, parziali, inadeguate, preesistenti.

Ammazzate dai partner, picchiate e molestate ma, a parte inutili inasprimenti di pena e la solita valanga di dichiarazioni di condanna, nessuna misura effettiva di prevenzione sulla violenza di genere che, ormai è chiaro, è innanzitutto un problema culturale. Aggravato da internet, dal libero accesso al porno che restituisce immagini gioiose di donne stuprate, tanto che un tribunale fiorentino si è sentito in dovere di assolvere due ragazzi perché non si erano resi conto che la vittima non era affatto contenta di essere obbligata a fare sesso con loro.

Non sarà un 8 Marzo di festa per le donne italiane, questo. Ed è singolare davvero come a segnare tutti questi arretramenti, che pure sono solo la punta dell’iceberg, sia il primo governo italiano della storia repubblicana guidato da una donna. Ne avremmo fatto anche a meno.

Non va meglio nell’Unione europea dove in questi giorni, sull’altare della realpolitk, si sta votando una direttiva sul contrasto alla violenza di genere che, rispetto alla versione approvata in prima battuta dal Parlamento e alla quale aveva contribuito anche il Comitato donne della Ces, sarà debole, debolissima, espunta di alcuni passaggi cardine come quello sulle molestie nei luoghi di lavoro, o quello sulla definizione di sesso senza consenso che avrebbe spinto i Paesi le cui legislazioni sono ancora deboli a tutelare le donne, ad adeguarsi. Invece niente, un risultato mancato che diventa metro del valore del tema per la politica europea: la violenza sulle donne non merita mediazioni e contrattazioni nell’Ue degli accordi, dei mercati e della finanza.

Intanto in Argentina il neo eletto presidente Milei si è subito detto intenzionato a rendere illegale l’accesso all’aborto, diritto ottenuto appena tre anni fa. Mentre è purtroppo storia di tutti i giorni come nelle guerre, ideologiche e non, il controllo sul corpo delle donne continui ad essere uno dei primi strumenti di oppressione e violenza.

Eppure i movimenti delle donne non si arrestano, in Italia e nel mondo. Manifestano, lottano, strappano passi avanti e conquiste che alimentano anche gli altri movimenti di lotta per società più giuste, eque, migliori. Ed è questa una delle ragioni per cui il potere dei patriarchi si oppone alla liberazione delle donne. In Cisgiordania sono state le donne, palestinesi e israeliane assieme, a manifestare chiedendo pace. In Iran sono le donne ad avere dato vita al movimento contro l’oppressione dello Stato islamico. In Italia sono state soprattutto le donne a scendere in piazza lo scorso 25 novembre, con manifestazioni partecipatissime, per chiedere interventi di prevenzione sulla violenza di genere ma anche diritti, lavoro, libertà di autodeterminazione per tutt*. Di fatto un manifesto politico di valori diametralmente opposti a quelli che l’attuale governo propugna.

Oggi come ieri l’8 Marzo non è solo la giornata internazionale della donna ma è una giornata di lotta per i diritti sul lavoro, sulla libertà di essere, di lavorare dignitosamente, contro le sopraffazioni e la violenza. Ovunque.

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