Se ne parlava da tempo e alla fine è avvenuto. Poste Italiane ha deciso di entrare direttamente e pesantemente in Tim, prima acquisendo le quote di Cassa Depositi e Prestiti e poi con le quote di Vivendi, fino ad arrivare al 24,8%.

Si tratta di una mossa, probabilmente ispirata o quantomeno sostenuta, dal governo Meloni, che apre prospettive nuove per entrambe le aziende, ma che segna anche un passaggio non secondario nell’indirizzo di politica economica del nostro Paese.

Sono entrambi aziende primarie che hanno avuto una trasformazione travagliata negli ultimi decenni ma con traiettorie divergenti. Due storie esemplarmente diverse del capitalismo italiano che ora vanno a intrecciarsi. Mentre Poste Italiane, pur mantenendo una solida partecipazione pubblica, si è evoluta e diversificata cogliendo le opportunità di nuovi sbocchi nel mercato finanziario e della logistica macinando utili, Tim ha invece rappresentato il perfetto manuale dei disastri prodotti dalle ricette di privatizzazione nella ubriacatura ideologica neoliberista.

L’allora Telecom Italia, ancora alla fine degli anni ’90, era una delle cinque migliori aziende di telecomunicazione del mondo, capace di competere sui mercati internazionali grazie ad un know how e una capacità tecnologica molto importante, invidiataci in Europa ed oltreoceano. Fatturava – convertendoli in euro – 23 miliardi e contava oltre 120mila dipendenti.

Poi vennero prima gli anni della privatizzazione per fare cassa, e successivamente l’epoca dei “capitani coraggiosi” che la comprarono a debito. E da lì le cose andarono peggiorando, rappresentando una delle pagine peggiori del capitalismo di casa nostra. Fino alla sciagurata idea della separazione della rete, con la vendita al fondo speculativo Kkr, per abbattere il debito monstre accumulato negli anni. Una operazione che ha privato il nostro paese del controllo di una infrastruttura strategica come la rete e ha fatto nascere due debolezze.

In un quadro di questo tipo l’operazione di ingresso di Poste Italiane in Tim, che prende il posto dei francesi di Vivendi, segna quindi una parziale inversione di tendenza rispetto alla deriva degli ultimi anni, dovuta ad una totale assenza di politiche industriali capaci di competere e difendere gli interessi del nostro sistema economico-produttivo.

Ma questa novità fa sorgere alcune domande piuttosto importanti. La prima, che in Cgil ci siamo posti tutti, è: perché non aver fatto questa mossa prima della cessione della rete, evitando lo spezzatino e l’indebolimento? Una Tim con ancora l’infrastruttura della rete e con l’integrazione con un colosso come Poste Italiane avrebbe potuto sviluppare sinergie decisamente più efficaci, e avrebbe riportato Tim nella posizione nazionale ed europea che aveva un tempo. Su questa opzione rimane ancora qualche speranza sullo sfondo, dato il carattere squisitamente speculativo del fondo Kkr che potrebbe, nel medio-breve periodo, rimettere in vendita le sue quote. Ma per ora l’occasione è stata sicuramente.

La seconda domanda è su quale sarà la strategia industriale di questa operazione. Risulta evidente che Poste Italiane ha colto l’occasione di potersi integrare con Tim prima di tutto dal punto di vista commerciale, ma sarebbe un’occasione sprecata limitarsi a questo. Perché sempre di più il settore delle Tlc è indirizzato verso una trasformazione importante del suo stesso business, integrando Cloud, Intelligenza Artificiale, 5G e 6G, Smart City, digitalizzazione e servizi innovativi per le imprese e cittadini, internet delle cose Iot. È in quest’otttica che l’ingresso in Tim di Poste Italiane potrebbe portare le risorse necessarie per investire nella ricerca e sviluppo e cogliere queste opportunità.

Non dobbiamo dimenticare inoltre che anche Iliad ha mostrato interesse per Tim, e dopo l’ingresso di Poste Italiane questa opportunità in un quadro europeo in movimento potrebbe tornare utile per un rafforzamento complessivo.

Rimane alla fine una riflessione sull’opportunità di fare un serio bilancio della stagione delle privatizzazioni in Italia. Se avessimo una classe politica all’altezza delle sfide dell’oggi, si discuterebbe di come questa vicenda dell’ingresso di Poste Italiane in Tim rappresenti una vera e propria nemesi rispetto all’epoca dei “capitani coraggiosi” e salotti finanziari che spolparono Telecom, creando i disastri ben noti. Una nemesi che tocca anche governi di centrosinistra, non ce lo dobbiamo dimenticare.

Ora la Slc Cgil chiede una svolta che rimetta al centro un piano industriale serio che sia volano di sviluppo e buona occupazione.