Autorità di bacino, il territorio è un bene pubblico - di Frida Nacinovich

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Furono le devastazioni provocate dalle alluvioni di Firenze e del Polesine, nell’ormai lontano 1966, a far capire che era necessaria una strategia d’azione complessiva di controllo e manutenzione, anche straordinaria, dei fiumi italiani. Le immagini dell’Arno che scavalca le spallette e invade con le sue acque scure e limacciose gran parte di Firenze furono più eloquenti di qualunque dibattito politico, così in quello stesso anno fu istituita in Parlamento una commissione ad hoc, presieduta dal professor Giulio De Marchi, che ebbe il compito di analizzare e, per così dire ‘omogeneizzare’ i tanti problemi legati all’assetto del territorio nei bacini fluviali. 

Ci vollero più di vent’anni, ma alla fine si arrivò ad approvare la legge 183/89 che individua il bacino idrografico, in parole povere il corso dei fiumi, come ‘l’unità fisica inscindibile’ su cui operare con interventi per la tutela, la difesa e la valorizzazione delle risorse esistenti. Nacque così l’autorità di bacino, un ente pubblico a cui veniva delegato il compito di coordinare tutti gli interventi sul territorio attraversato dai fiumi italiani. Un organismo partecipato fra Stato e Regioni, che da allora si occupa dei sette bacini di rilievo nazionale (dal Po all’Adige, dall’Arno al Tevere, e ancora Isonzo e Tagliamento, Piave e Serchio, Brenta-Bacchiglione e Liri-Garigliano) a cui furono aggiungi tredici bacini di rilievo interregionale. Inoltre fu deliberato che ogni regione italiana potesse istituire proprie autorità, così da disegnare una rete di tutela e controllo dei corsi d’acqua e dei territori da essi attraversati. “Un approccio multidisciplinare, in grado di tenere insieme il corso d’acqua e il territorio, per pianificare al meglio gli interventi necessari non soltanto per garantire la sicurezza della popolazione dal rischio alluvioni, ma anche per valorizzare un patrimonio di inestimabile valore”. 

Emanuele Sillato lavora per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale dal 1991. Praticamente dall’inizio. Si sente orgoglioso di far parte di un ente pubblico così importante per la gestione del territorio, e non lo nasconde. “Seguiamo il corso del Tevere, che dal monte Fumaiolo in Emilia Romagna attraversa la Toscana, l’Umbria e il Lazio, ma il bacino è talmente grande da comprendere anche piccole porzioni dell’Emilia Romagna e del Molise”. 

Sillato è il coordinatore nazionale Fp Cgil per le autorità di bacino distrettuali, ha lavorato qualche anno nel privato, vinto un concorso alla regione Campania, e poi chiesto il trasferimento a Roma. Sessantatré anni, poco meno della metà passati lavorando in Autorità: “Cerchiamo di superare le frammentazioni di competenze e istituzionali - spiega - L’Autorità è il luogo di intesa e concertazione delle scelte. Siamo stati dei precursori, sull’esempio dell’esperienza italiana sono state organizzate pianificazioni analoghe in molti paesi europei. Grazie al lavoro della commissione De Marchi fu approvata una legge ben fatta, un passaggio significativo anche sul piano culturale, in grado di resistere ed adattarsi, nonostante i contraccolpi, perfino alla riforma del titolo V della Costituzione”. 

Quando veste i panni del sindacalista, Emanuele Sillato, tiene a ricordare le tante discussioni fatte anche al ministero per conseguire un contratto collettivo che salvaguardasse l’intero comparto delle autorità di bacino. “Nelle cinque autorità peninsulari siamo circa in settecento, in uffici sparsi lungo l’intera penisola”. Figure professionali e tecniche di valore, ingegneri e geologi, architetti, agronomi, biologi e anche avvocati impegnati in un lavoro di equipe complesso e affascinante, fin troppo complesso per un numero di addetti esiguo rispetto alle necessità. “Ad esempio in questo ufficio siamo una quarantina assunti a tempo indeterminato, più un gruppo di bravi consulenti necessari per portare avanti progetti anche molto complessi. 

In pianta organica, in teoria, dovremmo essere 127. Sotto questo profilo un salto di qualità andrebbe fatto”. Per ovvi motivi anche l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino dell’Italia centrale, che vede come segretario generale un giornalista esperto di questioni ambientali come Erasmo D’Angelis, ha sofferto nel lungo periodo dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid 19. Il lavoro a distanza ha pesto, inutile negarlo. 

Per giunta dal punto di vista sindacale si sono manifestati problemi legati a una serie di mancati benefit, a partire dai buoni pasto. “A me piacerebbe chiamare lo smart working semplicemente per ciò che è e dovrebbe essere: lavoro intelligente - conclude Sillato - Però per renderlo tale è necessaria una riorganizzazione complessiva, anche delle procedure. Solo per fare un esempio, siamo in perenne ritardo su un tema cardine come quello dell’informatizzazione che per altro l’intero paese avrebbe già dovuto affrontare da anni, ben prima della pandemia”.

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