Neanche la pandemia la voglia di lotta dei pensionati porta via - Michele Lomonaco

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Nonostante tutto - e per tutto intendiamo anche la cattivissima gestione della pandemia, soprattutto nella nostra regione (Lombardia) - i pensionati e le pensionate, pur avendo subito gravi perdite e gravissimi disagi, continuano a lottare con determinazione per migliorare la propria e l’altrui vita.

Nelle Rsa, lo scorso anno, si è sbagliato tutto quanto era possibile sbagliare, favorendo il diffondersi del contagio e decimando le presenze di anziani in alcune strutture. Ma i pensionati sono in prima fila a lottare per la riforma delle Rsa e per una loro gestione più trasparente, più inclusiva, più umana, e con rette commisurate al tenore di vita delle famiglie degli ospiti.

Le vaccinazioni, seppur con alte percentuali di somministrazioni, sembrano stentare nelle fasce di età intermedie e giovanili; i pensionati e le pensionate sono invece stati in prima fila (materialmente) nel vaccinarsi con le due dosi.

La ripresa dopo i lockdown presenta ancora gravi problemi, soprattutto occupazionali. Così i pensionati, col massimo della prudenza e adottando il distanziamento e le mascherine, sono scesi in piazza sia a livello locale che a livello nazionale (le manifestazioni del 26 giugno a Bari, Firenze e Torino), per contribuire a indirizzare il nostro Paese verso un futuro migliore e diverso dal presente e dal passato, e per solidarizzare con tutte le realtà in crisi.

La legge sulla Non Autosufficienza sembra marciare finalmente sui binari giusti: e c’è grande determinazione dei pensionati e delle pensionate su questo versante, anche durante la pandemia.

Sulla riforma fiscale, mobilitazione e attenzione massima affinché anche per pensionanti ed incapienti si arrivi ad un’equa revisione della tassazione, per assicurare quantomeno parità di condizioni con gli attuali fruitori del bonus. Ma anche grande pressione per introdurre una tassa sui grandi patrimoni che, oltre a fornire il gettito necessario a non far tracollare il sistema fiscale nazionale, appare una misura equa e redistributiva per far contribuire chi veramente può al risanamento del Paese.

Ma è sul terreno della salute che lo Spi e i pensionati, unitariamente, intendono spendere a fondo la loro capacità di contrattazione e di lotta, per ottenere finalmente quello che da anni, già prima della pandemia, stanno rivendicando, e cioè una sanità molto più vicina territorialmente al malato e molto più attenta alle necessità dei più fragili. Dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) derivano complessivamente sette miliardi per sanità territoriale e domiciliarità: compito precipuo di Cgil e Spi è quello di fare in modo che le “Case della Salute” previste (1.283 in Italia), e da individuare come collocazione (una ogni 50mila abitanti), siano oggetto di confronto fra organizzazioni sindacali, enti locali e strutture sanitarie.

Serrato deve essere anche il confronto sul rafforzamento e la massima integrazione tra intervento domiciliare sanitario (Adi, infermieri di comunità, Usca) e sociale, Sdi di competenza comunale. Quindi non solo Case della Salute e ospedali di comunità per avvicinare specialisti, medici di medicina generale, consultori e uffici amministrativi al cittadino nei quartieri e tra i paesi, ma una domiciliarità efficiente che riesca ad alleviare i disagi che oggi gravano sui malati e sulle famiglie.

Tutta questa agenda degli impegni va presa in carico, continuando al tempo stesso ad assicurare il servizio ai cittadini con il presidio del territorio che le Leghe garantivano prima della pandemia. E che oggi, pur in presenza di problemi legati al numero di volontari disponibili, continuano ad assolvere.

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