Tocca a SaGa Coffee, quando le delocalizzazioni diventano regola - di Frida Nacinovich

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Così fan tutte? Grazie al cielo no, certo è che si moltiplicano le vertenze legate a multinazionali che decidono di chiudere siti produttivi, insediamenti spesso storici, delocalizzando le produzioni in altri Paesi dell’Unione europea, guardando quasi sempre a est, dove i diritti e le tutele dei lavoratori sono minori e i salari più bassi.

Dopo Whirlpool, Gianetti, Gkn, Timken, ora è la volta di SaGa Coffee. Uno stabilimento sull’Appennino bolognese, a Gaggio Montano, di proprietà della multinazionale Evoca, dove fino al mese scorso si producevano macchine da caffè. Poi la notizia choc: il sito sarà chiuso a marzo 2022. In risposta dall’inizio di novembre i 220 addetti diretti dello stabilimento, per l’80% donne, presidiano la loro fabbrica. Giorno e notte, con ripari inizialmente di fortuna, con il freddo che sul crinale appenninico tosco emiliano si è già fatto sentire, in attesa della prima neve. Non si rassegnano, perché quella è casa loro. E non è solo una lotta per conservare il necessario lavoro, ma anche per tenere in vita un’intera comunità.

Già, perché nell’Italia profonda, quella rugosa appenninica lontana dai grandi centri, la chiusura di un sito produttivo può voler dire la morte dei piccoli paesi nelle vallate montane, sempre sul ciglio di un burrone fatto di impoverimento, chiusura dei servizi, spopolamento. “Io non abbandono la mia montagna”, avverte Laura Borelli, quarantacinque anni, più della metà passati in fabbrica.

“Quando hanno detto che l’avrebbero chiusa sono scoppiata a piangere, come una bambina - confessa - vogliono toglierci la libertà, il lavoro ci permette di essere autonome, di mantenere le nostre famiglie”. Prima di SaGa Coffee in quell’area c’era una fabbrica della Saeco - fondata nel 1981 dal bergamasco Zappella e dallo svizzero Schmed - storico marchio di macchine da caffè, famoso negli anni 90 del secolo scorso per essere sponsor di un’importante squadra ciclistica, il cui alfiere era il grande velocista Mario Cipollini, e ancora Ivan Gotti, Gilberto Simoni e Damiano Cunego, vincitori del giro d’Italia.

“Proprio qui, a Gaggio Montano, nel 1985 fu lanciata sul mercato la prima macchina per caffè espresso automatica”, sottolinea con orgoglio Borelli. Orgoglio operaio, quello stesso che ha fatto la storia delle fabbriche metalmeccaniche italiane. Al 2004 risale l’arrivo del fondo francese Pai Partners, che si prese il 70% di Saeco. Nel 2009 la cessione alla Philips, multinazionale per antonomasia, che sette anni dopo, nel 2016, decise di investire 23milioni di euro nello stabilimento di Gaggio Montano, mettendo fine a un periodo difficile. L’anno dopo però Philips cede la divisione delle macchine professionali alla multinazionale bergamasca Evoca, prima conosciuta come N&W Global Vending, leader nella produzione di distributori automatici di snack e bevande controllata dal fondo Lone Star, che si assicura la licenza dei marchi Saeco e Gaggia, dalle cui iniziali nasce il nuovo brand SaGa Coffee.

Il resto è storia di oggi: dopo soli quattro anni Evoca decide di chiudere il sito, con l’obiettivo di distribuire la produzione tra la sede centrale in Valbrembo nel bergamasco, Romania e Spagna. “Il 4 novembre abbiamo subito una doccia gelata. Avevamo raggiunto un accordo lo scorso anno per qualche decina di mobilità volontarie, ma in cambio ci era stata data l’assicurazione che la fabbrica sarebbe rimasta aperta”.

Da quel brutto 4 novembre Laura Borelli, delegata sindacale per la Fiom Cgil, e le compagne sono lì, in presidio davanti alla ‘loro’ fabbrica. “Facciamo i turni, ci scaldiamo accendendo fuochi nei vecchi bidoni, abbiamo anche due stufe elettriche. La notte fa molto freddo, ma non ci arrendiamo”. In regione Emilia Romagna c’è un tavolo aperto, è emersa la disponibilità di un imprenditore con cui ci sarà presto un incontro per valutare una proposta di reindustrializzazione del sito. “Comunque vada non si produrranno più macchine da caffè. E molte delle nostre competenze saranno buttate nel cestino. Detto questo, non ci tireremo certo indietro di fronte alle proposte che arriveranno. Siamo pronte a rimetterci in gioco, l’essenziale è continuare a lavorare”.

Borelli è a Gaggio Montano dal 1996, un quarto di secolo. Così anche le sue compagne, eterne ragazze di quaranta, cinquant’anni, la cui presa di posizione ha dato il là ad una incredibile e commovente gara di solidarietà. “Quando abbiamo finito la legna sono venuti a rifornirci, abbiamo chiesto quanto dovevamo e hanno risposto con un sorriso. Solidarietà è arrivata dai commercianti, dai vicini di casa, da tutti, ognuno aiuta per quel che può. Non ci lasciano mai sole. E nonostante le avversità atmosferiche, la stanchezza, la consapevolezza che sarà una vertenza lunga e difficile, siamo belle cariche”. Anche i media nazionali e le istituzioni hanno acceso i loro riflettori sul caso. Loro ringraziano di cuore, ma chiedono risposte.

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