L’intera comunità bellunese difende i posti di lavoro di Acc e Ideal Standard - di Mauro De Carli

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Il Mise del leghista Giorgetti vanifica le ipotesi di intervento pubblico a sostegno di una vera politica industriale per il bellunese e per il Paese.    

La vicenda sindacale dello stabilimento Acc (ora Italia WanBao in amministrazione straordinaria) unisce la storia del processo di industrializzazione della provincia di Belluno e quella più recente dell’assenza di una politica industriale per il nostro Paese.

Negli anni ‘60 e ‘70 lo Stato decise di risarcire il territorio bellunese, colpito duramente la notte del 9 ottobre 1963 dall’immane tragedia umana ed ambientale provocata dal crollo del monte Toc entro il lago artificiale a monte della diga sul torrente Vajont. La fuoriuscita della gigantesca onda provocò la distruzione dei paesi a valle, il più noto Longarone, portando con sé la vita di circa duemila persone.

Acc nasce allora. Con il nome di Aprilia prima e Zanussi poi è stato il primo stabilimento costruito con i Fondi Vajont ed è stato, per tanti bellunesi, l’occasione di un lavoro concreto e duraturo, la prima concreta opportunità di non scivolare verso l’emigrazione, piaga sociale di questo territorio montano e povero. L’acquisizione poi da parte del gruppo Electrolux coincise con il massimo livello occupazionale negli anni ‘90 (1.900 dipendenti), momento in cui il settore dell’elettrodomestico italiano era leader nel mondo e presente in Italia con tutte le fasi produttive. L’epoca poi della delocalizzazione produttiva, intervenuta negli anni successivi, ha visto di fatto smembrare l’intera filiera del settore, alla ricerca della riduzione dei costi in una logica di marcata competizione tra produttori locali e asiatici.

Acc è quindi frutto amaro del processo di esternalizzazione del gruppo Electrolux, che collocava sul libero mercato un suo ramo produttivo, in una decisa forma di concorrenza tra fornitori, e cioè il prodotto del “compressore” per frigorifero domestico, unica vera specializzazione dello stabilimento di Mel. Una concorrenza che è stata penalizzante per Acc, anche sottratta delle sue potenzialità di sviluppo – il compressore a velocità variabile - e delle risorse finanziarie, che vennero entrambe “spostate” sullo stabilimento gemello in Austria.

Oltre alle vicende giudiziarie, peraltro purtroppo finite con una sconfitta, ne seguì una situazione di disgrazia economica con la dichiarazione dello “stato di insolvenza” e, grazie alla mobilitazione sindacale, il ricorso alla legge Prodi Bis con l’amministrazione straordinaria.

La vertenza si risolse con l’acquisizione da parte del gruppo cinese WanBao, che rilevò lo stabilimento, peraltro di dimensioni ormai ridotte rispetto ai tempi di massima espansione, con l’obbiettivo, dichiarato al ministero dello Sviluppo economico (Mise) all’atto dell’acquisto, di rilanciare l’attività di ricerca e soprattutto di utilizzare Acc come “testa di ponte” per ulteriori investimenti produttivi in Europa. Elementi di strategia quindi tranquillizzanti, sia sul fronte delle dinamiche industriali che soprattutto su quelle occupazionali.

Tutto questo invece non è stato realizzato. Anzi il terreno sindacale si è subito surriscaldato poiché, dopo due anni, WanBao ha annunciato 90 esuberi (su una platea di circa 400 addetti residui), e la volontà di dismettere integralmente le produzioni portando i residui volumi in Cina. Insomma era chiaro che il patto di acquisizione non era stato mantenuto, come era abbastanza chiaro che non si sarebbero potute fermare le volontà di abbandonare lo stabilimento di Mel senza produzioni e senza risorse.

Il 10 dicembre 2019 il territorio bellunese nell’insieme delle sue istituzioni - a partire dal sindaco del Comune di Borgo Valbelluna, dove insiste la fabbrica Acc, nell’unità di azione di Cgil Cisl Uil e delle categorie dei metalmeccanici, con l’adesione finale delle rappresentanze delle Diocesi - è stato chiamato ad un’azione di forza, con una manifestazione sindacale in cui si chiedevano soluzioni alle crisi aperte nella provincia di Belluno, in primis Acc.

Nonostante le ritrosie dei cinesi di WanBao si è riusciti ad aprire una seconda amministrazione straordinaria, con l’obiettivo del mantenimento dei volumi di produzione, dello sviluppo del nuovo prodotto – il compressore a velocità variabile - e della creazione di un nuovo processo industriale. Prima dell’operazione finale, prevista dalla Prodi bis, della collocazione sul mercato della nuova Acc.

E’ questo il punto fondamentale scelto dalla Fiom e dalla Cgil di Belluno: non un’operazione di salvataggio al miglior offerente, ma la costruzione di un piano industriale che riproduca in Italia la “filiera corta” dell’elettrodomestico, che era stata smembrata negli anni scorsi da un continuo processo di delocalizzazione verso i Paesi asiatici.

Lo stesso periodo Covid-19 ci ha consegnato la consapevolezza che il rientro nel territorio nazionale di fasi di lavorazione può rappresentare la salvezza di continuità produttiva per molte aziende, e allo stesso tempo la ricostruzione di interi cicli produttivi, oggi smembrati dalla fase precedente di delocalizzazione, serve al sistema industriale italiano, oserei dire europeo, per sconfiggere l’attuale sudditanza nei confronti dell’industria asiatica e soprattutto cinese, sia produttiva che di commercializzazione finale.

L’industria italiana, un tempo leader nel settore dell’elettrodomestico, oggi svolge un ruolo solo di terminale delle fasi finali - l’assemblaggio - totalmente dipendente dalle forniture asiatiche. Acc è attualmente il penultimo produttore europeo di compressori, e perdere la sua attività significa rimanere ancora più deboli nel rapporto competitivo con i gruppi industriali asiatici. Ne è prova il recente stop produttivo, coperto tra l’altro con l’intervento della cassa integrazione, da parte di Elettrolux di Susegana (Tv), causato proprio dalla mancata consegna di compressori cinesi.

A questo potremmo porre rimedio se il Mise, oggi depositario della procedura di amministrazione straordinaria di Acc, avesse mantenuta la volontà di attuare il progetto Italcomp, ideato nel corso della precedente gestione politica durante il governo Conte II, che prevedeva la messa in campo della sinergia produttiva tra l’ex Embraco di Riva di Chieri a Torino e appunto Acc a Borgo Valbelluna, con il sostegno del finanziamento pubblico tramite Invitalia. Si sarebbe cioè riportato in Italia un segmento produttivo indispensabile a sostenere i produttori europei dell’elettrodomestico, ricreando quella filiera “corta” così indispensabile per garantire al mondo produttivo nostrano un’autonomia necessaria a governare un mercato europeo dell’elettrodomestico in forte crescita.

Purtroppo il cambio di governo, con l’arrivo al Mise del leghista Giorgetti, ha di fatto annullato questa pianificazione, non solo per Acc, e di fatto le sole soluzioni accettate devono obbligatoriamente transitare per il sostegno di privati, entro la sola logica della sostenibilità del mercato, senza nessun intervento della mano pubblica. Si è tornati quindi alla totale assenza di pianificazione industriale del nostro Paese, nella piena negazione del ruolo propositivo dello Stato, proprio nel momento storico in cui la destinazione dei fondi del Pnrr potrebbe promuovere progetti di rilancio industriale sostenibile.

Il territorio bellunese non si è demoralizzato. Anzi, coinvolgendo gli stessi soggetti di due anni prima, ha unito le forze della provincia, soprattutto i lavoratori delle aziende in crisi. E in questa lista si è aggiunta anche Ideal Standard, azienda della ceramica dello stesso comune, che rischia la chiusura con i suoi ulteriori 485 addetti. Si reclamano soluzioni occupazionali concrete - quindi piani industriali seri e non ammortizzatori sociali - per sostenere un territorio di montagna che oggi è percorso da un pericoloso fenomeno di spopolamento.

 

Tutto questo è avvenuto il 13 novembre scorso nella a Borgo Valbelluna, con più di mille partecipanti in piazza alla manifestazione sindacale, dimensione eccezionale per una provincia così poco abitata. E da pochi giorni registriamo una risposta a quella piazza, con “manifestazioni d’interesse” per entrambe le crisi. Forse siamo sulla strada giusta, ma le prime notizie non devono tranquillizzarci e anzi spronarci a mantenere alto il livello di intervento nei confronti del Mise e della stessa Regione Veneto, e arrivare a conclusioni vere per i quasi 800 lavoratori delle due aziende.

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