Meloni amplia i voucher: meno diritti e più lavoro nero - di Federico Antonelli

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Lo sciopero generale contro la legge di bilancio ha solo buone ragioni. Una di queste è legata all’estensione dell’utilizzo dei voucher, sia rispetto ai settori produttivi coinvolti che ai limiti retributivi annui che sarà possibile accumulare. Il lavoro accessorio su cui agiscono i voucher è un’invenzione della legge Biagi del 2003, rimasta nel cassetto per diversi anni prima della sua esplosione a partire dal 2008 e dalla modifica apportata con il jobs act di Matteo Renzi che ne ampliò la possibilità di utilizzo, fino alla sua abolizione nel 2017 per merito della battaglia referendaria della Cgil, con la legge fatta per evitarne lo svolgimento. Ricordiamo che la nostra organizzazione non si limitò a chiedere l’abolizione del voucher, ma fece anche una serie di proposte sul lavoro accessorio contenute nella “Carta dei diritti”.

Per la Filcams Cgil la questione dei voucher rappresenta un problema particolare nel problema generale di questa legge di bilancio. Il mondo del commercio e del turismo è infatti, leggendo le statistiche, l’ambito produttivo in cui più si era diffuso il loro utilizzo.

Per parlare di voucher è utile analizzare alcuni dati. Tra il 2012 e il 2017 le imprese che li utilizzarono salirono da 147mila a 565mila, con un numero di lavoratori coinvolti che passò da 365mila a un milione e 770mila. Nello stesso periodo il volume di affari irregolari, in nero, varia dal 12,9% del Pil all’11,9%, di cui la quota di lavoro irregolare cresce dal 34,2% al 37,5%. Questo significa che se la cifra assoluta di economia informale si era ridotta, quella del lavoro nero aveva subito una riduzione inferiore.

Non voglio fare un trattato di statistica, che non mi compete, ma solo evidenziare come l’obiettivo primario dei voucher (l’emersione del lavoro nero e irregolare) fallì clamorosamente. Anzi, nell’esperienza dei nostri settori i voucher sono serviti a facilitare la gestione del lavoro nero anche di fronte ad eventuali rischi ispettivi: vieni impiegato in un negozio o in un ristorante in nero e, se per caso, passa un ispettore a verificare chi sei, c’è in casa lo strumento per dire che lavori in maniera occasionale e che l’attivazione del voucher sarebbe stata fatta a breve. Meccanismi facili da escogitare, anche aggirando i limiti che nel tempo si erano creati (ad esempio la comunicazione preventiva di attivazione del buono).

Il mondo del commercio diffuso e del turismo purtroppo soffrono di una fragilità strutturale. Spesso in Italia parliamo della miniera d’oro rappresentata dal potenziale turistico del nostro meraviglioso paese. Si parla tanto del potenziale, su cui potremmo e dovremmo costruire la ricchezza del paese, ma non si dice che, così come è gestito, il turismo è l’espressione plastica del concetto di sfruttamento del territorio e del lavoro. Su questo mondo incidono le incertezze delle mode turistiche certamente, ma anche e soprattutto l’incapacità strategica e organica di far diventare il turismo una vera industria che promuova il territorio, realizzi le infrastrutture e offra alta qualità di servizio. Il lavoro ne patisce le conseguenze, con lo sfruttamento delle lavoratrici e lavoratori su cui si producono i grandi guadagni di imprenditori senza cultura ne prospettiva.

In questo quadro, ben conosciuto al sistema politico ma su cui non si vuole agire, ben si comprende come la retorica sul reddito di cittadinanza (ricordiamo sul punto l’esempio tipico, discusso in troppi programmi di approfondimento politico, legato al mondo del turismo con i giovani che preferirebbero il Rdc al lavoro) e l’intervento legislativo sui voucher, sono parte della stessa strategia. Implementare le chance di utilizzo del lavoro nero, ampliando l’esercito di riserva di manodopera non specializzata e sfruttabile da offrire alle imprese.

In questo modo si produce una concorrenza al ribasso che potrà avere una pesante incidenza anche in ambito contrattuale: il sistema di impresa denuncia da sempre la concorrenza sleale dell’economia informale, con l’obiettivo però di porre il rispetto del contratto come il solo vero obiettivo per chi lavora. Obiettivo da perseguire anche a costo di ridurre il proprio salario. Questo fenomeno potrebbe toccare anche il mondo del commercio e di altri servizi, pur in maniera meno evidente ma altrettanto invasiva.

Sul numero di Reds di questo mese il nostro compagno Nino Frosini ha scritto del grande inganno della destra sociale. Lo sciopero generale è l’occasione per parlare a tutte quelle lavoratrici e lavoratori che si sono affidate alla destra della presidente del consiglio Giorgia Meloni, per comprendere che la destra sociale a cui hanno offerto la propria fiducia è solo un’invenzione dialettica, utile a confonderli e farli votare per chi fa solo finta di preoccuparsi dei loro interessi.

 

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