Perù: la repressione non ferma la protesta popolare - di Vittorio Bonanni

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Caos e morti. È dentro questo contesto che i peruviani e le peruviane stanno vivendo all’indomani del 7 dicembre, quando il presidente Pedro Castillo, insediatosi il 21 luglio 2021 dopo aver sconfitto di misura la corrotta Keiko Fujimori - figlia dell’ex dittatore Alberto e leader del partito di destra Forza popolare - è stato arrestato, accusato di aver tentato un autogolpe.

Al suo posto si è insediata la sua vice Dina Boluarte, esponente dello stesso partito del capo dello Stato, la formazione di sinistra Perù Libre. Risultato: manifestazioni e scioperi di protesta soprattutto nel sud del Paese – interrotti durante la pausa natalizia – a favore del presidente, con un bilancio di ben 62 morti e 200 feriti.

La popolazione chiede la liberazione di Castillo, le dimissioni di Boluarte e nuove elezioni. Mentre il Papa ha lanciato un appello accorato al Paese al grido di “no màs muerte”, la presidente ha cercato di placare gli animi chiedendo una tregua ai manifestanti, e rassicurando la popolazione sulle sue intenzioni: “Voglio aprire un tavolo di pace e non intendo restare al potere”, ha sottolineato l’ex vice di Castillo, aggiungendo di volersi dimettere prima delle elezioni, previste però solo nell’aprile 2024.

Questo significa che il nuovo capo dello Stato e il Parlamento non si insedieranno prima di luglio del prossimo anno, mentre l’83% della popolazione vorrebbe mandarli a casa subito. È del tutto evidente che il Paese non può certo attendere così a lungo. Se così fosse, il Perù continuerà a vivere in un contesto di instabilità che non si può permettere. Ma Boluarte su questo punto non intende fare marcia indietro: “A chi andrebbe la presidenza della Repubblica?”, ha chiesto alla popolazione che tra le rivendicazioni ha collocato proprio il ritorno al suo posto di Castillo, oltre che lo scioglimento del Parlamento e la creazione di un’Assemblea Costituente.

L’ex presidente, già sindacalista e maestro di umili origini, aveva promesso di tutelare le fasce più povere della popolazione, dimostrandosi però incapace di mantenere le promesse fatte. Ha cambiato ben cinque esecutivi, e numerosi ministri si sono dimessi. A quel punto, mentre il Parlamento si apprestava a sfiduciarlo, ha tentato un golpe contando anche sul sostegno dell’esercito, che poi ha tradito le sue aspettative. In realtà, malgrado i suoi limiti, la popolazione più indigente, quella andina, che si contrappone alla ricca borghesia cittadina, sostiene Castillo e continua a vedere solo in lui e nella sua politica una speranza di riscatto.

L’economia del Paese si basa soprattutto su esportazioni minerarie i cui grandi proventi non finiscono, neanche in minima parte, nelle tasche degli ultimi. Questa dimensione di instabilità caratterizza la storia della patria degli Incas da almeno vent’anni. Da quando nel 2000 Alberto Fujimori – tuttora in carcere per aver commesso numerosi crimini – si dimise, si sono susseguiti ben dieci presidenti. “Di questi – sottolinea il giornalista Claudio Madrigardo sulla testata Terzogionale - solo Ollanta Humala ha potuto portare a termine il mandato di cinque anni. Quanto agli altri, uno è stato in carica solo cinque giorni, sei sono finiti sotto processo e, tra questi, cinque sono finiti in carcere, uno si è suicidato per evitare l’arresto, un altro si è dimesso per evitare di essere destituito, un altro ancora è stato licenziato dal Congresso”.

L’appello alla calma di Boluarte è arrivato appunto dopo le manifestazioni e la conseguente repressione che ha allarmato anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres. Per Indira Huilca, sociologa, ex-deputata della Repubblica e figlia di un dirigente sindacale assassinato durante l’era Fujimori, “siamo in un regime autoritario quasi dittatoriale. L’unica forza a disposizione di Dina Boluarte per un governo di transizione è proprio la forza della repressione”.

Non la pensa diversamente Melania Canales, ex-presidente dell’Organizzazione Nazionale delle Donne Indigene Andine e Amazzoniche del Perù (Onamiap). Citata come Huilca dal blog LavoroeSalute, sottolinea come il Perù viva “in una dittatura civico-militare che perseguiterà coloro che sono contro il sistema”. La dirigente indigena definisce Boluarte una “traditora”, in quanto da esponente della sinistra peruviana è diventata un punto di riferimento delle forze più reazionarie.

A questo punto, sottolinea Canales, “è necessaria una nuova Costituzione che non sia antropocentrica, che risolva i cambiamenti strutturali del Paese, riformando anche un sistema elettorale che non consente una vera rappresentanza”. L’avvio di questo processo di cambiamento, che non potrà non coinvolgere la popolazione, è l’unico modo che ha Boluarte per far tornare la calma nel Paese insieme alla liberazione di Castillo. Ma viste le caratteristiche della classe politica peruviana da qualche decennio a questa parte, non sarà facile raggiungere questo risultato.

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