Giulio Marcon, Sbilanciamoci!: “Senza pace non si va da nessuna parte” - di Frida Nacinovich

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Portavoce della campagna Sbilanciamoci! Giulio Marcon fa parte da anni di una ‘coalizione’ che riunisce 51 organizzazioni e reti della società civile impegnate sui temi della spesa pubblica e delle alternative di politica economica, con un’attenzione particolare su temi capitali come il lavoro, l’inclusione e l’accoglienza dei migranti, la pace e il disarmo. Quest’ultimo tema è di drammatica attualità ai giorni nostri, con una guerra nel cuore dell’Europa che sta scivolando tragicamente su scenari apocalittici.

 

Marcon, la rete Europe for peace torna a chiedere l’immediato cessate il fuoco, rivolgendo un appello all’Onu per una conferenza internazionale di pace. Il 24 e il 25 prossimi ci saranno manifestazioni diffuse in tutta la penisola.

Saremo fra i protagonisti, perché insieme ad altre realtà abbiamo dato vita ad Europe for peace, Rete pace e disarmo, noi di Sbilanciamoci! appunto, Stop the war e tante altre organizzazioni, fra cui ovviamente la Cgil, per chiedere l’immediato cessate il fuoco e veri negoziati, sotto l’egida dell’Onu. E abbiamo avviato in questi mesi una fitta serie di iniziative sia a livello locale che nazionale. Una per tutte la manifestazione del 5 novembre a Roma con più di centomila persone in piazza. Andiamo avanti, nel primo anniversario dell’invasione faremo manifestazioni in tutte le città. Noi pensiamo almeno un centinaio di città grandi e piccole con assemblee, fiaccolate, cortei e altre iniziative.

 

Un fatto che mi ha particolarmente colpita è l’atteggiamento del Pentagono.  Il capo di stato maggiore, Mark Milley, ha detto apertamente che probabilmente non ci sarà una vittoria militare, nel senso stretto del termine, né da parte dell’Ucraina né da parte della Russia, quindi è necessario pensare ad altre opzioni, evidentemente diplomatiche. Invece nelle sedi della cosiddetta politica istituzionale si continua a parlare di guerra “fino alla vittoria finale”. Come si esce da questo incubo?

Mi sembra scontato che non ci possa essere la vittoria di una delle due parti coinvolte nella guerra, chi ha aggredito e chi è stato aggredito. Non ci può essere una soluzione militare, l’unica possibilità è quella di promuovere le condizioni per un cessate il fuoco, e poi avviare il negoziato e arrivare a una soluzione. Un traguardo che la Russia e l’Ucraina dovranno raggiungere, con l’aiuto degli altri paesi interessati e coinvolti a vario titolo in questa guerra. Qui non c’è nessuna guerra da vincere, c’è da ricercare la pace, perché solo la pace può essere la soluzione duratura di un percorso che possa portare alla stabilità di quell’area. E la pace non si fa fra gli amici, si fa fra i nemici, tra avversari. L’opzione militare non è una soluzione, nel senso che porterà solo all’allargamento della guerra e al rischio sempre più concreto di una guerra nucleare. Bisogna fermarsi in tempo, e costruire subito delle opzioni di pace.

 

Nello scenario attuale, l’Europa oscilla fra l’impotenza e la subordinazione agli interessi statunitensi.

L’Europa ha un ruolo molto debole, dall’inizio della invasione ma anche precedentemente. L’Europa purtroppo non ha una politica internazionale capace di incidere sullo scenario mondiale. Ha una dipendenza dalla Nato e dalla politica americana, non ha giocato un ruolo autonomo. Se prima dell’inizio della guerra russo-ucraina nel 2014 l’Europa si fosse attivata per una stabilizzazione dell’area, non saremmo in questa situazione. Un’Europa che comunque non è unita ma viaggia a velocità diverse e con obiettivi diversi, e questo naturalmente non è una buona notizia per chi vuole la pace.

 

Le sanzioni contro la Russia non hanno portato grandi risultati, se non ai danni delle popolazioni su cui si sono abbattuti effetti collaterali ben visibili, a partire dal costo dell’energia.

Le conseguenze di questa guerra sono sostanzialmente pagate dagli europei, e anche dai paesi in via di sviluppo. Il blocco delle forniture cerealicole è un danno enorme alle popolazioni del sud del mondo, dove non è solamente un danno economico, c’è proprio un problema di sopravvivenza, con il rischio di una nuova emergenza alimentare in molti paesi che dipendevano interamente dal grano russo e dal grano ucraino.

 

Più di un analista di geopolitica ritiene che questa guerra sia solo un assaggio, e che in prospettiva avremo entro pochi anni uno scontro fra Stati Uniti e Cina. Lo ritiene plausibile?

Uno scenario apocalittico perché sarebbe una guerra globale, una guerra tremenda. Speriamo di no. Per certo, i motivi che sono alla base di questa contrapposizione crescente sono di carattere commerciale e di influenza su determinate aree geografiche. E ci sono tutte le condizioni per arrivare a un confronto durissimo. Speriamo non succeda quello che qualche analista geopolitico paventa. Bisognerebbe rafforzare tutte le sedi multilaterali, tutti gli strumenti della politica internazionale. Basati non sull’unipolarismo, sulla contrapposizione, ma sulla costruzione di una sicurezza comune. Ricordo che sono passati quarant’anni dall’appello che fece l’allora primo ministro svedese, Olaf Palme. In quegli anni eravamo nel clima da guerra fredda, una situazione per certi versi ancora più pericolosa di questa, perché poteva portare a uno scontro globale. Palme lanciò il suo appello, che fu colto da buona parte della sinistra europea, per una sicurezza comune e condivisa. Perché per dare stabilità e pace al pianeta è necessaria una sicurezza comune, e non il dominio di un’alleanza militare contro un’altra. Vanno costruite le fondamenta di questa sicurezza, sarebbe una buona notizia per tutti.

 

Papa Francesco non perde occasione per denunciare la follia di un conflitto che, come accade in ogni guerra, provoca migliaia di vittime, sofferenze insopportabili nelle popolazioni civili, e immani devastazioni. Ma la sua parola, e quella del popolo della pace, continua a non essere presa in alcuna considerazione. Che fare?

Continuare, nel senso che la voce della ragione è la voce della pace, e deve essere ancora più forte. Non bisogna fermarsi, non c’è altra soluzione, e questo è l’impegno che ci prendiamo di fronte alla prossima scadenza, le mobilitazioni di fine mese, dal 23 febbraio in poi, perché la pace deve essere non solo un appello fondato sulla testimonianza e sulle convinzioni di alcuni, deve diventare una politica. In questi anni è stata la guerra a ispirare la politica, invece dobbiamo arrivare a una situazione in cui sia la pace a ispirare la politica. Solo la politica ispirata dai valori della pace può portare a un benessere maggiore in tutto il mondo, alla cooperazione, alla sicurezza comune, a una convivenza sempre più necessaria per assicurare un futuro a questo pianeta, che ricordo è scosso anche da altre emergenze gravissime, prima fra tutte quella climatica. Senza affrontare queste emergenze, insieme, non si va da nessuna parte. La pace è la condizione di base per affrontare quella terribile spada di Damocle che sta sopra di noi, gli sconvolgimenti climatici che possono portare a conseguenze esiziali per il pianeta.

 

Pace anche per opporsi all’informazione con l’elmetto…

Sicuramente. Tra l’altro il paradosso è che mentre la politica, i partiti, sono a grande maggioranza favorevoli alla guerra, la maggioranza del popolo italiano è contraria. Da questo punto di vista i governanti non rappresentano quello che pensano i governati. La gente comune pensa che questa guerra va fermata, che non vanno inviate altre armi. Bisogna invece disarmare. Ascoltare la voce del popolo dovrebbe essere l’unica cosa da fare.

 

Invece si continua a inviare armi, come se fossero la soluzione.

Le armi sono fatte per essere usate, perciò più riempi di armi un paese più quelle armi saranno utilizzate, è inevitabile. Le armi sono una merce come tante altre, e le merci sono fatte per essere usate, o per essere cambiate quando diventano obsolete. Quindi è la dinamica delle armi ad essere sbagliata. Per questo bisogna disarmare. In questi anni abbiamo avuto un aumento della spesa militare sia in Italia che nel resto del mondo. C’è stato un aumento di più di 2.000 miliardi di dollari spesi ogni anno per le armi. Se solo una piccolissima parte, il 5%, di queste spese militari fossero usate per combattere le pandemie, l’emergenza climatica, l’emergenza alimentare, risolveremmo molti problemi. Per questo bisogna disarmare per investire sulla pace.

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