Perù: mobilitazione indigena per la cacciata dell’usurpatrice Boluarte - di Vittorio Bonanni

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Ad oltre due mesi dal fallito autogolpe del presidente Pedro Castillo, il Perù non vede all’orizzonte alcuna via d’uscita dalla peggiore crisi politica e sociale degli ultimi anni. Ricordiamo che il 7 dicembre scorso la vice-presidente Dina Boluarte, esponente dello stesso partito dell’ex capo dello Stato, la formazione di sinistra “Perù libre”, ha destituito e posto agli arresti il maestro-contadino che era stato eletto il 21 luglio 2021, sconfiggendo Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore Alberto e leader del partito di destra Forza popolare.

Castillo aveva appunto tentato un ‘autogolpe’ per evitare di essere mandato a casa con l’accusa di “incapacità morale”, ma il mancato sostegno dei militari lo ha preso in contropiede e inviato direttamente presso lo stesso carcere dove è detenuto l’ex dittatore Fujimori, condannato a diciotto mesi di detenzione.

Ma i poveri del Perù - quelli che non riescono a mettersi in tasca nulla dei preziosi proventi derivati dallo sfruttamento dalle miniere, ricche in particolare di rame del quale il paese è tra i principali produttori - non hanno esitato a sostenere l’unico che secondo loro potrebbe battersi per migliorare le loro condizioni di vita, così come promise durante la campagna elettorale. Da allora la popolazione chiede le dimissioni immediate di Boluarte, elezioni anticipate per creare anche una Assemblea Costituente per realizzare una nuova Costituzione, come successo in Cile in questi ultimi anni.

L’ex vicepresidente, che nel frattempo si è spostata decisamente a destra ed è diventata punto di riferimento per la parte più ricca e reazionaria della popolazione, ha scatenato una dura repressione contro i manifestanti con decine di morti e feriti provocati da poliziotti spesso mal addestrati e mal pagati.

“Ci sono due Perù – dice Inés Santaeulalia, corrispondente dall’America Latina per il quotidiano spagnolo El Pais - che non si sono mai incontrati. Quello di Lima, che è un Perù più bianco, più ricco, che viene educato nelle scuole private, che compra marchi americani nel centro commerciale Larcomar. Che gestisce con abilità l’élite economica, imprenditoriale, politica e sociale, E poi – sottolinea la giornalista – c’è il paese dell’interno, delle regioni andine, del clima della tundra, dei ruanas, dei popoli indigeni, dei cosiddetti indiani o cholos. Dei poveri, degli emarginati di una delle aree con il più alto tasso di crescita del Pil della regione”.

Ora l’obiettivo è quello di restituire dignità ai “dannati della terra” del Paese andino, attraverso il voto anticipato con le naturali dimissioni di una leader politica che, a prescindere dai torti o dalle ragioni di Castillo, ha tradito il suo mandato. Si potrà così scegliere un nome nuovo per riaggiustare le cose in un contesto che non offre alternative.

Il problema è intanto la prima data del voto sulla quale il Congresso non riesce a mettersi d’accordo. Si pensa ad aprile 2024, due anni prima della scadenza prevista, una proposta fuori dalla realtà che vedrebbe il Perù istituzionalmente immobile, in questa grave crisi istituzionale e politica in corso da più di un anno.

L’altra grave criticità della crisi peruviana è la mancanza di una leadership dell’opposizione, in nessun settore sia esso sociale, studentesco o indigeno. Pur reclamando le piazze la liberazione di Castillo, l’ex presidente non può essere un riferimento per chi si oppone a quella che possiamo ormai definire una sorta di dittatura. Non c’è insomma un Gabriel Boric come in Cile o un Gustavo Petro come in Colombia, e nel 70% dei casi le persone intervistate non hanno saputo rispondere alla domanda su chi voterebbero.

Dicevamo del tradimento di Boluarte e del sostegno della destra di cui gode e che ha imposto propri ministri a scapito di quelli del precedente governo. La presidente gode dell’appoggio delle forze armate, che vedono in lei l’ultimo baluardo prima che il Paese cada nel caos definitivo.

Intanto anche i sindacati da settimane e mesi sono in mobilitazione permanente. La Confederazione generale dei lavoratori del Perù (Cgtp) è scesa in piazza lo scorso mese per ben cinque giorni consecutivi, con lo slogan “no alla dittatura civico-militare-imprenditoriale” e con l’hashtag #DinaRenunciaYa, chiedendo così “le dimissioni della presidente, lo scioglimento del Parlamento ed una nuova Costituzione, ora!”.

Qualora Boluarte fosse costretta alle dimissioni, dovrà difendersi anche da numerose accuse. Infatti la procura generale ha avviato un’indagine proprio sull’operato della neo presidente e di due ministri, per le violenze compiute dalla polizia durante gli scontri. Insomma, il grande Paese andino, patria degli Incas, è immerso in una situazione di caos che almeno per il momento appare senza via d’uscita.

 

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