Odessa: non dimentichiamo. Anche per questo vogliamo la pace - di Pericle Frosetti

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Odessa è la città della ribellione della flotta del Mar Nero nel 1905, dei suoi eroici marinai rivoluzionari, degli operai portuali e industriali che tornarono protagonisti nel 1917, partecipando alla Rivoluzione e poi alla guerra civile conclusa con la costituzione della Federazione delle Repubbliche socialiste sovietiche.

Odessa, principale città dell’Ucraina orientale, città martire della resistenza dei popoli dell’Unione Sovietica, resistette dall’8 agosto al 16 ottobre 1941 all’attacco congiunto delle forze fasciste tedesche e rumene che avevano invaso l’Urss. L’eroica resistenza fu il primo segnale che l’invasione tedesca non sarebbe stata una scampagnata per gli invasori.

Nell’ottobre del 1941, per rappresaglia contro un attentato terroristico, la comunità ebraica di Odessa fu annientata dal più radicale programma di distruzione bellica. La città venne liberata dall’Armata Rossa nell’aprile 1944, con il sostegno delle forze partigiane.

In quella città, il 2 maggio del 2014, squadracce di ultras delle squadre di calcio, miliziani delle milizie fasciste Pravi Sektor e Azov (oggi integrate nelle forze armate ucraine) attaccarono, con la complicità delle forze di polizia, una manifestazione indetta dai partiti della sinistra e dai sindacati che chiedevano l’autonomia del Donbass, l’allontanamento dei nazionalisti dal governo, e la fine delle provocazioni armate. Gli squadristi costrinsero la folla dei manifestanti a disperdersi. Una parte di loro trovò rifugio nella sede dei sindacati e venne assediata. Gli assedianti, sotto gli occhi della polizia, dettero fuoco all’edificio. Morirono almeno 42 persone bruciate vive o precipitate in fuga dai piani alti e finite tra le risate dei loro assassini, centinaia e centinaia vennero feriti. Nei cadaveri anche ferite da arma da taglio e di proiettile. L’ordine fu ristabilito ad Odessa.

Vadim Papura, un giovanissimo comunista ucraino di 17 anni che morì arso vivo nel rogo della Casa dei sindacati, è diventato il simbolo di quell’orrendo massacro.

Una delegazione della Cgil nazionale ha partecipato, dal 31 marzo al 3 aprile scorsi, alla quinta Carovana della Pace promossa dalla coalizione “StopTheWarNow” per consegnare aiuti umanitari alla popolazione ucraina. La destinazione è stata Odessa, dove la Cgil ha consegnato, il primo aprile, generatori di corrente da 25 Kw ai centri di assistenza, gestiti dalla Federazione dei sindacati ucraini, Fpu, per alleviare le sofferenze di circa tremila persone sfollate provenienti dalle città bombardate e distrutte dalla guerra.

La visita ha attraversato tutta l’Ucraina partendo da Leopoli, città cuore del nazionalismo ucraino, per concludersi ad Odessa. Il racconto della visita, non la prima e non l’ultima, ci descrive una popolazione che ad ovest ha cominciato a mostrarsi meno ostile verso una carovana che predica la pace e non la “vittoria”. La gente è stanca di vedere mariti e figli partire e non tornare dal fronte, la penuria dei cibi, che le rimesse dei milioni di donne e anziani sfollati in Europa occidentale (ma il discorso varrebbe per i milioni, ma qui anche uomini, sfollati verso oriente) che non bastano a far fronte alla speculazione di guerra, mentre i missili russi fiaccano l’economia e colpiscono centrali, linee di trasporto e fabbriche.

In Italia di quella Carovana di Pace sono restate solo le polemiche perché la delegazione sindacale è stata ritratta in piazza anche con le bandiere ucraine. Non si è voluto notare lo striscione in lingua inglese (che tutti in Ucraina comprendono) “Stop the War, Peace Now” che la delegazione sosteneva.

Così l’unico sindacato della Ces (ad esclusione dei due a direzione comunista Cgtp-In portoghese e Comissiones Obreras spagnole) schierato apertamente contro la guerra e per la pace - mentre tutti gli altri sono preda di deliri o benevole neutralità sul tema - è stata oggetto di una campagna mediatica ostile, quasi fosse complice della guerra.

Noi, che la strage di Odessa non perdoniamo e non dimentichiamo, siamo orgogliosi di chi porta parole di pace nei luoghi del conflitto, e ribadiamo che vogliamo subito che cessino le armi, perché una Ucraina democratica, federalista, neutrale e nei confini internazionalmente riconosciuti era e resta un obiettivo che va perseguito, contro chi alimenta solo la morte e trascina il mondo nel baratro della guerra termonucleare.

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