Elezioni in Spagna, la scommessa di Pedro Sánchez - di Eulalia García Jiménez

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Il 28 maggio scorso si sono svolte in Spagna le elezioni amministrative per il rinnovo dei consigli comunali e di dodici regioni (Comunidades Autónomas) su diciassette. Quasi ovunque si è registrato il successo della destra del Partido Popular e di quella estrema della formazione neofranchista Vox, mentre i centristi di Ciudadanos si sono dissolti. Vox ha visto addirittura triplicare i propri eletti, passando dagli 813 mila voti del 2019 al milione e 608 mila odierni. La sconfitta dei socialisti del Psoe è stata invece accompagnata dalla debacle del cartello di Unidas Podemos, loro alleati di governo, le cui componenti si sono presentate al voto locale in maniera sorprendentemente frammentata. Unidas Podemos è addirittura scomparsa da diversi parlamenti regionali così come da importanti municipi, fatto determinante, ad esempio, nel far perdere alla sinistra una regione come quella di Valencia.

Al grido di “abroghiamo il sanchismo”, lo slogan della destra, gli amministratori socialisti e della sinistra verranno ora sostituiti da sindaci e presidenti di Regione sostenuti dal voto determinante di una forza come Vox, che rivendica spudoratamente l’eredità franchista. La destra è riuscita cioè a mobilitare il proprio elettorato, trasformando delle elezioni locali in un plebiscito pro o contro Pedro Sánchez.

Ma il leader socialista e capo della coalizione di governo, in carica dal gennaio 2020, ha spiazzato tutti giocando d’azzardo, come già altre volte in passato: ha sciolto le Camere (prerogativa che la Costituzione spagnola concede al premier) con la conseguente convocazione di nuove elezioni per il 23 luglio prossimo. Così facendo ha sì rinunciato alla notevole visibilità che da luglio gli sarebbe stata offerta dal semestre di presidenza spagnola dell’Unione europea, ma ha soprattutto evitato di farsi “cuocere a fuoco lento” fino a dicembre (scadenza naturale della legislatura), mettendo invece direttamente davanti alle proprie responsabilità non solo l’elettorato spagnolo, ma anche le formazioni di sinistra alleate e non col Psoe, e il suo stesso partito.

A determinare quale sarà la compagine governativa che scaturirà dalla tornata elettorale di mezza estate sarà infatti decisivo non solo l’esito della sfida tra Ppe e Psoe ma anche, se non soprattutto, la forza che guadagnerà il terzo posto; per il quale al momento i sondaggi indicano l’estrema destra di Vox. Ma che potrebbe essere “facilmente” raggiunto da una coalizione delle formazioni alla sinistra del Psoe.

Il caso di Huesca, importante centro dell’Aragona, è emblematico di una situazione che travalica la realtà locale. Vox vi ha superato il 10%. Alla sinistra dei socialisti si sono invece presentate ben quattro diverse formazioni. Nessuna ha superato la soglia di sbarramento del 5%, non eleggendo quindi neanche un consigliere. Ma coalizzate avrebbero raggiunto oltre il 18%. E nelle condizioni date una pattuglia di quindici parlamentari di sinistra in più o in meno farebbe la differenza.

All’interno di questo ragionamento va ricordato come il complesso sistema elettorale spagnolo premia le forze che raggiungono un forte risultato a livello di singola regione. È il caso della sinistra repubblicana dei catalani di Erc e della sinistra nazionalista basca di Bildu, senza l’appoggio esterno delle quali non sarebbero stati varati importanti e innovativi provvedimenti come ad esempio la riforma del lavoro, l’aumento del salario minimo o la recente legge sul diritto all’abitare.

Le urne potrebbero anche produrre una situazione in cui, a fronte di un risultato negativo per le forze di sinistra, il Psoe sarebbe ancora più dipendente dall’appoggio e dal condizionamento delle forze indipendentiste per l’eventuale formazione di un nuovo governo a guida socialista. Cosa di cui farebbe volentieri a meno.

 

È per questo che sono molti gli osservatori che guardano con attenzione al tentativo di Yolanda Díaz di costruire e consolidare una forza plurale e composita ma di peso, Sumar, alla sinistra dei socialisti. L’attuale ministra del Lavoro e dell’Economia sociale e vicepresidente del governo (il cui intervento a Rimini al Congresso della Cgil era stato molto apprezzato) sarà ora costretta dalla ravvicinata scadenza elettorale ad accelerare i tempi della messa in piedi del suo progetto politico. Il quale ha di fronte anche l’incognita rappresentata dalle scelte che verranno compiute da Podemos, che potrebbe essere tentato, dopo il recente grave insuccesso, dall’imboccare la via dell’arroccamento e dell’isolamento, anche se questa ne potrebbe sancire l’autodissolvimento. Ma Sumar potrebbe anche rappresentare la carta vincente per mobilitare proprio quell’elettorato che ultimamente si è astenuto.

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