Madri fuori! - di Denise Amerini

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La proposta di legge presentata nella scorsa legislatura per normare le case famiglia per le madri in carcere, visti gli emendamenti del tutto peggiorativi presentati dal centro-destra, è stata ritirata. Proposta che aveva come unico scopo quello di permettere, finalmente, la realizzazione di case famiglia dove far vivere le madri detenute con i loro bambini. Sono strutture già previste nel nostro ordinamento ma mai realizzate, tranne una a Roma e una a Milano, perché non è previsto nessun finanziamento.

I quattro Istituti a custodia attenuata per le madri (Icam) esistenti, dove i bambini possono stare fino a sei anni, restano di fatto istituzioni totali: i bambini passano da un carcere vero ad uno “più bello”, ma che è comunque un carcere, seppur camuffato. Come ricorda il Garante nazionale “questi sono bambini che imparano a parlare in carcere, che vedono il cielo attraverso finestre con le sbarre, e che poi subiscono una improvvisa e dolorosa separazione dalla madre con cui hanno vissuto in simbiosi fino a quel momento”. Il Garante sottolinea anche come “per questi bambini sviluppare un rapporto positivo con le istituzioni sarà molto difficile”.

Secondo i dati del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap), si trovano in carcere 23 mamme con 26 bimbi al seguito: dobbiamo impedire che i bambini siano privati della libertà e fare in modo, allo stesso tempo, che non siano privati dell’affetto materno, perché libertà e affetti sono indispensabili per un compiuto sviluppo affettivo, emotivo, sociale. E le donne devono poter essere compiutamente, a tutti gli effetti, madri.

Le donne in carcere rappresentano il 4% del totale delle persone ristrette e scontano una pena maggiore, perché si trovano in un sistema pensato e declinato al maschile. La scontano perché donne: oggi ancora di più, visti gli attacchi di questo governo alle grandi conquiste delle donne dei decenni scorsi, a partire dalla abolizione del delitto di onore, fino alle leggi su divorzio e interruzione volontaria di gravidanza.

Gli emendamenti al Ddl presentati dai partiti dell’attuale maggioranza sono invece in linea con un pensiero che vede la pena in senso solo e sempre più afflittivo, tradendo il mandato costituzionale e in linea con il pensiero vetero patriarcale di questo governo, con un pensiero moralistico che riporta la donna solo al ruolo di madre angelo del focolare.

Come ci ricorda Sofia Ciuffoletti, il nostro diritto, sulla questione della maternità e in particolare sulla figura della mamma, mostra una evidente distonia: al modello giuridico del “buon padre di famiglia” non corrisponde alcuna fattispecie femminile. Anzi, si contrappone lo stereotipo della “cattiva madre”, in varie e diverse declinazioni, fino alla pericolosissima introduzione di categorie pseudoscientifiche in ambito giuridico, come l’alienazione parentale (sindrome della madre malevola), che punisce le madri allontanando da loro i figli. Il senatore FdI Cirielli ha infatti proposto, in aggiunta al mantenimento comunque delle donne madri in carcere, di togliere la responsabilità genitoriale a tutte le donne ristrette.

La Cgil ha sostenuto, anche con recenti iniziative, che alle donne ristrette deve essere garantita la possibilità di essere madri nel modo migliore possibile per loro e per i loro bambini, che la genitorialità deve trovare una declinazione, per quanto possibile, serena. E che deve essere garantito il diritto di ogni bambino ad una infanzia dignitosa e libera, fuori dal carcere. Devono essere superate, quindi, sia le sezioni nido che gli Icam, e create le case famiglia protette.

Nel giorno della ‘festa della mamma’ abbiamo con forza ribadito tutto questo, con la campagna “Madri fuori”. Fuori dallo stigma e dal carcere, con i loro bambini. Lo abbiamo fatto, sulla base dell’appello lanciato il mese scorso da Società della Ragione, con iniziative pubbliche in tante città italiane, e recandoci in diverse sezioni femminili.

La campagna proseguirà, nei prossimi mesi, per parlare con le donne recluse, che sono figlie e madri, ascoltare le loro richieste, far conoscere la loro realtà, l’assurdità di certe disposizioni: a Firenze abbiamo saputo, per esempio, che non si può telefonare di domenica, per cui la detenuta che voleva fare gli auguri alla mamma non lo ha potuto fare, e le mamme non hanno potuto sentire i figli fuori.

Andremo avanti, soprattutto, per proseguire in quell’impegno assunto da tempo perché finalmente tutti i diritti delle persone ristrette siano pienamente garantiti: il diritto all’affettività ed alla genitorialità è uno di questi. In tempi come questi, dove “certezza della pena” richiama solo pene sempre più severe, dove pare che giustizia si ottenga solo con un regime carcerario sempre più duro e afflittivo, ne abbiamo estremamente bisogno.

 

Per aderire all’appello

 

https://www.societadellaragione.it/madrifuori

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