Lombardia, un referendum per cambiare - di Antonio Bagnaschi

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Per anni, parlando di sanità e di Lombardia, si sono utilizzate parole altisonanti: come eccellenza e libertà di scelta e di cura. Questa narrazione, ottima per le campagne elettorali, è stata spazzata via dalla pandemia: il Covid-19 ha messo in ginocchio il sistema sanitario lombardo, rivelando quello che la Cgil sostiene da anni, ovvero che l’eccellenza esiste davvero e sono solo ed esclusivamente le lavoratrici e i lavoratori che operano in ospedale e sul territorio.

Per peggiorare ulteriormente il quadro, la Regione Lombardia decide di “riformare” la sanità lombarda attraverso una norma che equipara in toto sanità pubblica e sanità privata. Uno schiaffo alle liste d’attesa (che continuano a peggiorare), al reperimento di personale nella sanità pubblica (oberato con carichi di lavoro enormi) e, non ultimo, all’idea di una sanità pubblica, universale e gratuita come da dettato costituzionale.

A questo punto una serie di associazioni si attivano per cambiare paradigma: si decide di promuovere un referendum per cancellare l’equiparazione pubblico-privato. In prima fila la Cgil (in particolare con la Fp e lo Spi), l’Arci, le Acli, l’Osservatorio salute e una serie di altre associazioni, che favoriscono la nascita del comitato promotore e depositano in Regione Lombardia i quesiti referendari.

Il 27 luglio scorso viene depositata una proposta di referendum abrogativo popolare della riforma lombarda del welfare (dalla legge 33/2009 fino alle modifiche introdotte dalla legge 22/2021). Del comitato promotore fanno parte più di cento associazioni, organizzazioni e comitati.

“Il referendum popolare è abrogativo, quindi non potrà rivoluzionare il sistema sanitario regionale ma proverà a modificarne dei nodi strategici per ridare ruolo a un servizio pubblico universale, garante del diritto alla salute previsto dalla nostra Costituzione”, spiegano dal comitato promotore. I tre quesiti referendari vogliamo abolire l’equivalenza tra sanità pubblica e sanità privata, e ridare alla sanità pubblica una piena funzione di programmazione e controllo dei servizi, ambiti nei quali il privato ora ha occupato spazi attraverso le deleghe delle Agenzie di tutela della salute (Ats) e delle Aziende socio sanitarie territoriali (Asst).

Per la Cgil regionale, il percorso referendario è la naturale prosecuzione delle iniziative per ridare ai cittadini lombardi una sanità giusta ed efficace, dopo anni che interviene puntualmente su ogni provvedimento della Regione, presentando proposte di modifica, interloquendo con i vari assessori al Welfare e promuovendo iniziative di mobilitazione a sostegno delle sue proposte.

Ma ora accade qualcosa di inatteso e inaccettabile insieme: l’ufficio di presidenza, prima, e il Consiglio regionale, poi, respingono la possibilità di misurarsi con il voto, tentando di impedire la celebrazione del referendum. Contravvenendo a qualsiasi idea di democrazia e partecipazione, spaventati dall’idea di sottoporsi al giudizio popolare, provano a scippare il voto ai lombardi. Ma la partita è ben lungi dall’essere finita: contro l’arroganza della maggioranza politica lombarda, il comitato promotore ha già annunciato mobilitazioni e un ricorso al Tar.

L’autunno è spesso evocato come tempo di lotta e mobilitazioni, in Lombardia, per restituire il diritto ad una sanità pubblica e di qualità, occorrerà mobilitarsi senza se e senza ma.

 

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