L’Argentina nelle mani dell’ultraliberista reazionario Javier Milei - di Vittorio Bonanni

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Quando l’allievo supera il maestro o i maestri. Gli ex presidenti degli Stati Uniti e del Brasile, Donald Trump e Jair Bolsonaro, appaiono infatti dei gentiluomini di fronte a Javier Milei, nuovo presidente dell’Argentina dopo il voto del 19 novembre scorso.

Personaggio inquietante, “el loco”, “il pazzo”, come lo chiamano da quelle parti, ultraliberista che vorrebbe dollarizzare l’economia, distruggere lo Stato sociale tagliando i sostegni alla popolazione - intenzione manifestata durante i comizi da una motosega - passato in soli due anni da deputato alle prime armi a presidente, si è affermato battendo l’ex ministro dell’economia uscente Sergio Massa con il 56% dei voti contro il 44%. Tre milioni di preferenze in più contro colui che viene accusato di essere il responsabile della crisi profonda in cui versa l’economia del grande Paese sudamericano - il più esteso tra le nazioni di lingua spagnola - con un’inflazione annua del 142% e una percentuale di povertà pari al 40%.

Dato fin dall’inizio perdente, Massa aveva invece rimesso in discussione l’esito del voto battendo Milei al primo turno del 22 ottobre con il 36,78% dei consensi contro il 29,99% dell’uomo nuovo biancoceleste. Ma Massa, politico legato al presidente uscente Alberto Fernández, di origine italiana – il padre era siciliano e la madre triestina – aveva fatto male i suoi calcoli contando su quella destra moderata di Juntos por el cambio di Patricia Bullrich e dell’ex presidente Mauricio Macri, che al primo turno non aveva sostenuto Milei.

Il nuovo capo dello Stato avrà ora l’enorme compito di abbassare l’inflazione e combattere la povertà attraverso la crescita economica, ricetta che non ha mai funzionato nei modelli liberisti. E formare, in attesa del suo insediamento del 10 dicembre prossimo, una squadra di governo con figure più moderate, anche perché si troverà a confrontarsi con un Parlamento non proprio a lui favorevole.

Al Senato il partito di Massa Unión por la Patria, principale forza di opposizione, potrà contare su 33 seggi che potrebbero aumentare a 37 in virtù di una possibile alleanza con altre forze minori, mentre Juntos por el cambio ne avrà 21 e il partito del presidente, La libertad avanza, solo 7. Nella Camera i peronisti avranno 108 deputati contro i 94 di Juntos por el cambio e i 38 dei partito di Milei.

Con questi dati e con lo scarso sostegno che gli arriverà a livello provinciale, dove può contare sull’appoggio di un solo governatore, è inevitabile che il liberal-libertario, come si fa chiamare, dovrà scendere a più miti consigli sia sui temi etici, come la legge sull’aborto, approvata nel 2020 grazie ad una grande mobilitazione del movimento femminista che lui vorrebbe cancellare, che su quelli di carattere economico.

Il suo liberismo selvaggio potrebbe non essere gradito da Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale perché, come si suol dire, c’è un limite a tutto. Dovrà inoltre abbassare il tiro sulla scelta di chiudere i ministeri della Salute e dell’Istruzione, che oggi sono pubbliche e gratuite grazie alle politiche sociali del peronismo sulle quali contava Massa per vincere le elezioni. Una sorta di liberismo cileno in salsa argentina. Del resto per Milei la disuguaglianza è un fatto ineluttabile e naturale nella storia dell’umanità, mutuando così i peggiori assiomi del darwinismo sociale. Addirittura vorrebbe trasformare anche la donazione di organi in un ignobile commercio.

Come già anticipato, la sua proposta forte è la dollarizzazione dell’economia argentina, con la chiusura della Banca centrale che avrebbe favorito l’inflazione con l’emissione di moneta. Misura che ovviamente porterebbe l’Argentina ad allontanarsi dal gruppo economico-politico dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), il cui fine è proprio battere lo strapotere del dollaro. Non mancano all’orizzonte privatizzazioni a tutto spiano. Le prime ad essere prese di mira saranno le compagnie energetiche come quella petrolifera Ypf, l’energetica Enarsa e il raggruppamento dei media pubblici.

Ma l’Argentina, come un po’ tutti i Paesi latino-americani, di fronte ai primi attacchi ai diritti sociali e civili reagisce con forza. E se tanto ci dà tanto lo scontro con il governo sarà durissimo.

 

“Il modello di Javier Milei – dice in un recente articolo pubblicato da “il manifesto” Federico Larsen, giornalista e membro dell’Istituto di relazioni internazionali dell’Università Nazionale di La Plata - in un Paese come l’Argentina, contraddistinto da un fortissimo attivismo e una diffusa partecipazione politica, è possibile solo attraverso una dura repressione dell’opposizione sociale nelle strade. E il nuovo presidente – nota Larsen - ha già avvertito, appena ricevuti i risultati: contro chi protesta sarà tolleranza zero”.

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