Palestina: piccoli spiragli di tregua, ma la situazione resta esplosiva - di Milad Jubran Basir

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Dopo una lunga trattativa condotta da Qatar ed Egitto, con la pressione degli Usa, Israele e Hamas hanno accettato una tregua di quattro giorni, a partire dal 24 novembre, prorogata successivamente di qualche altro giorno. La tregua sta permettendo il rilascio di alcuni ostaggi israeliani e di prigionieri palestinesi (donne e bambini), mentre vengono fatti entrare aiuti per la popolazione di Gaza che è allo stremo.

Si spera che i nuovi giorni di tregua possano coinvolgere anche la Cisgiordania, che non era stata prevista nel cessate il fuoco temporaneo: a Jenin, a El Bireh, a Nablus, nella notte del 25 novembre, sono stati uccisi 8 palestinesi, in scontri con l’esercito israeliano.

Nonostante il perdurare di una situazione complessa, la tregua ci ha permesso di ristabilire un contatto con alcuni giornalisti palestinesi, la cui identità non possiamo riportare per salvaguardare la loro sicurezza. In sintesi il loro racconto spiega che l’assedio che stringe la Cisgiordania dal 7 ottobre non si allenta, tutti i palestinesi anche in questa area sono sotto pressione, terrorizzati di essere le prossime vittime dei soldati o dei coloni.

Gli insedianti controllano tutto, mentre stanno agendo formazioni militari di insedianti, come “i giovani delle colline” (“Hilltop Youth”), la frangia più dura dei coloni, che attaccano ogni giorno i villaggi e la campagna palestinese, improvvisando check point in modo continuativo. Restano vietati gli spostamenti da una città all’altra, le città e i villaggi diventano zone di controllo militare chiuse.

Nella sola giornata del 23 novembre sono stati organizzati 300 posti di controllo attivi con esercito e coloni. Vengono effettuate nuove modalità di controllo per terrorizzare le persone fermate ai check point: le persone sono costrette a spogliarsi, non devono più esibire i documenti ma i cellulari. Guai se ti trovano un ‘like’ ai commenti su quanto succede a Gaza, sarai torturato o incarcerato.

Come noto, in ottobre e novembre, si tiene la raccolta delle olive, i contadini palestinesi sono stati oggetto di aggressioni e molte terre sono state occupate impedendo l’accesso ai contadini. A causa delle aggressioni dei coloni e degli attacchi dell’esercito, sono 231 i morti in Cisgiordania.

In questo territorio continuano a svilupparsi gli insediamenti che sono arrivati a circa 360, con oltre 750mila coloni israeliani, ed occupano il 42% del territorio assegnato a quello che dovrebbe essere lo Stato della Palestina.

Ai giornalisti è impedito il lavoro, con la scusa che operano in una zona militare chiusa. Le redazioni vengono prese di mira, spesso chiuse, per impedire la trasmissione delle notizie. Alla data odierna sono stati uccisi 67 giornalisti, 32 sono stati arrestati, 61 redazioni sono state distrutte.

Le minacce non sono una novità per i giornalisti palestinesi, soggetti all’arresto, a subire umiliazioni e aggressioni di vario tipo. Accade spesso che lo stesso giornalista diventi un obiettivo dei cecchini e dei coloni, come è successo con Shireen Abu Akleh, uccisa l’11 maggio 2022 mentre era intenta a realizzare un servizio per l’emittente Al Jazeera.

Tutti questi elementi fanno capire che la situazione in Cisgiordania è molto critica, si potrebbe paragonarla a una pentola a pressione che sta per esplodere da un momento all’altro.

Alle aggressioni si somma una situazione socioeconomica in progressivo peggioramento: la chiusura dei territori sta aumentando in modo sproporzionato il livello di povertà e cominciano a scarseggiare anche i generi alimentari.

Anche a Gaza la situazione resta molto grave: la pratica della “terra bruciata” sta provocando numeri impressionanti di vittime civili: alla data odierna sono state uccise 14.532 persone, di cui 5.500 bambini e 4mila donne, i feriti sono 35mila, il 70% minori. Ci sono oltre 7mila dispersi.

Sono state uccise 104 persone dipendenti delle Nazioni Unite, 205 operatori sanitari, 25 addetti della Protezione civile. Sono state distrutte 56 ambulanze, 26 ospedali, 55 case di cura, 67 scuole, 85 moschee e 3 chiese. Sono state rase al suolo oltre 45mila case, mentre 223mila abitazioni sono parzialmente distrutte e inagibili. Intere città sono state distrutte. Oltre 110 palazzi governativi, compreso il Parlamento palestinese a Gaza.

Se la tregua sta dando la possibilità agli aiuti internazionali di entrare a Gaza, restituendo alla popolazione una flebile speranza di sopravvivenza, resta necessario trasformare questa “pausa” in un cessate il fuoco permanente.

Alla richiesta di quale messaggio vorrebbero veicolare al popolo italiano, le risposte sono inequivocabili: far conoscere la condizione di vita dei palestinesi, farsi portavoce della loro sofferenza per fare pressione sul governo italiano, sull’Unione europea e su Israele per mettere fine a questo genocidio contro Gaza e la Cisgiordania.

“Noi siamo un popolo innamorato della vita, non siamo solo numeri, amiamo tanto la libertà e la pace per cui lottiamo da tanti anni”.

 

 

28 novembre 2023

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