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Introduzione di Giacinto Botti - Referente nazionale di Lavoro Società - Assemblea nazionale di Lavoro Società, Roma 8 gennaio 2019 - Per una CGIL unita e plurale

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“Indifferenza è abulia, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti [.…]. L’indifferenza è il peso morto della storia, è parassitismo. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro che apparenza illusoria di questa indifferenza. Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia, il loro piagnisteo di eterni innocenti [….] E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime […] Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”. 

Questi, come avrete capito, sono stralci di un articolo a firma Antonio Gramsci apparso nel febbraio del 1917 sul numero unico del giornale “La città futura”. 

Nel 1935, con la guerra in Etiopia, l’Italia fascista diventa razzista. Nel 1938 le leggi razziali. Da qui in poi la storia ci narra della violenza nazifascista contro ebrei, omosessuali, zingari, oppositori politici, sindacalisti, lavoratori, partigiani, con la pagina spaventosa dei campi di sterminio e dell’olocausto di cui il 27 gennaio si celebrerà la memoria, che va tenuta sempre viva. Occorre ripartire dalla storia per capire il presente. E‘ una lezione di attualità, perché anche oggi sono profondi il disagio, l’inadeguatezza individuale e collettiva nel trovare risposte, che pure insieme alle associazioni e ai movimenti non manchiamo di dare, rispetto a quanto sta accadendo nel nostro paese “civile e democratico”. Nessun paragone con il passato, nessun superficiale richiamo al fascismo, ma quando le resistenze civili, valoriali e democratiche vengono meno, ogni approdo, anche il più improbabile, può diventare possibile.

Siamo dentro a una deriva valoriale, una parte del paese è sotto l’egemonia culturale non solo della Lega ma di una destra politica ed economica individualista, nazionalista, reazionaria e razzista. Siamo un paese smemorato che non ha mai fatto i conti con il ventennio fascista e le sue leggi razziali. Non tutti i populismi sono fascismi, ma ogni dittatura è stata caratterizzata dal populismo, dal nazionalismo, da un’esaltazione strumentale e aclassista della nazione e del popolo indistinto. Penso che il capitalismo coloniale, provinciale, conservatore e avulso dalla responsabilità sociale e civile sia all’origine della grave patologia collettiva contemporanea. Il paese sta precipitando nel buco nero della barbarie, dell’odio e del rancore, dell’individualismo radicale che offusca le coscienze. Di questo dovremmo sentirci tutti moralmente responsabili. Abbiamo superato la linea rossa. Non basta l’indignazione, che è il primo passo, ma occorre la lotta politica, l’azione collettiva intelligente, motivata culturalmente e politicamente da protagonisti che non si rassegnino all’inciviltà e alla disumanità. 

L’onda nera può travolgerci. Mai come oggi si deve rivendicare che “ribellarsi è giusto”. Una ribellione etica, democratica, valoriale e classista contro chi, destra politica, borghesia reazionaria, capitalisti senza scrupoli, associazioni padronali, pensa solo al lato economico e al profitto, rendendosi complice, con la propria indifferenza, della macelleria sociale e valoriale messa in campo dal governo. Primo Levi, già oltre trent’anni fa indicava con lungimiranza il pericolo della zona grigia, la terra di mezzo tra carnefici e vittime, un mondo composto di tanti cittadini, persone disposte a girare la testa dinanzi all’imbarbarimento, alla violenza della società e della politica, in cambio di piccoli vantaggi e di privilegi personali. Un pezzo di società civile assuefatta all’illegalità diffusa. Una zona grigia che comprende gli indifferenti, chi non ha voglia o strumenti per capire ciò che sta avvenendo alla nostra democrazia, alla nostra cultura dell’accoglienza e della solidarietà, ai nostri valori Costituzionali. 

La zona grigia costringe a decidere da che parte stare. La ribellione, la disobbedienza civile di alcuni sindaci, definiti con la consueta volgarità “traditori” da un Ministro degli Interni indegno che usa parole, gesti e modalità fascistoidi e di mussoliniana memoria, è un segnale importante, va colto e amplificato da noi e da tutta la nostra organizzazione. Perché la CGIL è anche un presidio antifascista, di democrazia, di valori, di cultura solidale, di umanità. Un soggetto politico di rappresentanza generale che ha come riferimento la Costituzione repubblicana.

Ai sindaci ribelli che si oppongono a un decreto disumano e anticostituzionale va la nostra solidarietà e il nostro ringraziamento. Al sindaco di Riace, il compagno Mimmo Lucano, indagato e mandato in esilio per il suo anticonformismo e il suo coraggio politico, per il modello di accoglienza e di integrazione che ha saputo costruire, vanno il nostro riconoscimento, il nostro sostegno militante, la nostra vicinanza. La disobbedienza civile dinanzi a leggi incostituzionali e discriminanti non è una virtù ma una scelta politica, una risposta civile, una lotta democratica che ogni cittadino, ogni politico di sinistra dovrebbe abbracciare. E’ un esempio di illegalità giusta quando la cosiddetta legalità è ingiusta e perversa. Ribellarsi, disubbidire alle leggi sbagliate e discriminatorie, lottare per cambiarle è una scelta che molti di noi hanno fatto e praticato in anni passati nei luoghi di lavoro e nelle piazze, pagandone anche il prezzo con licenziamenti, rappresaglie e isolamento, in alcuni casi anche con la vita di compagni a noi cari. Noi abbiamo deciso da tempo dove e con chi stare senza recidere le nostre radici e i nostri valori.   

Ribellarsi è giusto. L’uomo più pericoloso oggi come ieri è colui che tende a obbedire, a servire il potere in cambio della tutela di se stesso, dei propri affari. La storia di oggi, i diritti civili, economici e valoriali conquistati sono il frutto di lotte generose, di ribellioni, disobbedienze clamorose di generazioni di donne e di uomini che hanno permesso a noi di vivere con dignità in una democrazia. Le donne, che hanno conquistato il diritto di voto pagando con il carcere, gli antifascisti, i partigiani che si sono ribellati alle leggi fasciste e hanno pagato con il sangue la loro scelta, i democratici che hanno nascosto migliaia di ebrei salvandoli dai forni crematori, i sindacalisti, i lavoratori comunisti e socialisti che hanno pagato con i licenziamenti e la repressione la loro militanza contro lo sfruttamento e i salari da fame, per avere lo Stato sociale che conosciamo. E che hanno lottato per far entrare nei luoghi di lavoro la nostra Costituzione attraverso lo Statuto dei lavoratori.

Ho iniziato questa introduzione in modo anomalo e non tradizionale, seguendo il mio sentire. Ho voluto rimarcare che noi siamo donne e uomini carichi di passioni e di valori, di umanità e di cultura solidale. Non ci spinge la bontà ma la coscienza, la responsabilità, il bisogno di affermare i valori di civiltà e di umanità; perché siamo militanti di una CGIL che affonda le sue radici nella migliore storia della sinistra politica nazionale e internazionale, e vogliamo costruire un mondo migliore e una società più giusta. Ci sono battaglie urgenti,  di principio, di valore, di cultura solidale, di libertà e di giustizia che bisogna riportare con più forza all’interno del nostro quadrato rosso. Non sono altra cosa ma tutt'uno rispetto alla alle battaglie per l’emancipazione e per i diritti universali, per l’inclusione e l’uguaglianza, per la difesa del lavoro e della sua condizione economica e sociale. La critica marxista risulta ancor oggi la migliore risposta al populismo, una scienza, un punto di vista, un pensiero pratico rispetto alle tendenze in atto da parte del capitale e le relative conseguenze, che mostra come siano le diseguaglianze  economiche e sociali a creare conflitti, divisioni, rotture sociali e pulsioni razziste, non il colore della pelle o i fenomeni migratori. Vi ricordate i cartelli a Torino e a Milano dei primi anni ‘70 con la scritta “qui non si affitta ai meridionali”?   

Care compagne, cari compagni 

grazie per la vostra presenza, grazie per essere qui in tante e tanti, per quest’’assemblea nazionale della sinistra sindacale confederale della CGIL. 

Siamo ormai a pochi giorni dal nostro Congresso nazionale, e non vi sfuggiranno le motivazioni che ci hanno portato a questo nostro importante appuntamento. Dedicherò la parte finale della mia relazione ai temi del futuro della CGIL, di noi e delle diverse prospettive che si possono aprire a conclusione di un congresso “complicato” e neppure scontato nel suo esito finale, dopo l’autocandidatura alternativa a quella avanzata dalla maggioranza della segreteria nazionale CGIL, del compagno Vincenzo Colla a Segretario generale. 

Farò solo un accenno alla situazione economica e sociale italiana ed europea e alle tendenze globali, perché saranno affrontate dal compagno Maurizio Brotini nella sessione pomeridiana e sicuramente anche dal contributo che porterà il compagno Maurizio Landini, che ringrazio per la sua disponibilità. Così come ringrazio la compagna Susanna Camusso per il saluto che ha voluto comunque portare alla nostra assemblea, nonostante la contemporaneità con la riunione della segreteria nazionale CGIL.  

Ho scelto di focalizzare l’attenzione sull’onda nera che sta attraversando l’Italia e l’Europa. Un’Europa rigorosa sui numeri quando si tratta di deficit o del Pil, ma sprezzante, disumana dinanzi al tragico numero di trentamila esseri umani morti nel Mediterraneo. Un’Europa che ha tollerato le scorribande di gruppi neonazisti e le deviazioni antidemocratiche di paesi come l’Ungheria e la Polonia, ma che ha massacrato economicamente un paese come la Grecia. Non avremmo mai creduto che l’Europa potesse essere, a 70 anni dalla firma a Parigi della Carta che garantisce la dignità e la libertà degli esseri umani, così indifferente e cinica, incapace di far aprire i porti agli stati membri. Che si potessero lasciare per giorni e giorni in mezzo al mare 49 naufraghi tratti in salvo dalle navi - definite con spregio “taxi del mare” - di quelle Ong criminalizzate e ostacolate nel loro impegno umanitario. Donne, uomini, bambini ormai con poco cibo e acqua, senza medicinali e assistenza adeguata. Non ci riconosciamo in questa Europa, incapace di affrontare fenomeni migratori epocali che non si fermeranno, perché interi popoli scappano dalle guerre, dalle violenze, dalla miseria, dalla fame e dai cambiamenti climatici. Per governare questi fenomeni ci vorrebbero politiche e scelte socio economiche strutturali e lungimiranti. Abbiamo bisogno, nel contesto globale, di più Europa, ma non di questa. Avremmo bisogno anche di un'altra Italia e di un'altra classe politica.  

Una deriva valoriale si è ormai diffusa in modo trasversale nel corpo sociale, anche nei luoghi di lavoro e tra i nostri iscritti. Odio, insofferenza verso il diverso, un oscurantismo becero e maschilista di ritorno, una diffusa xenofobia ignorante verso il nero e l’immigrato alimentata dagli spacciatori di illusioni e untori di paure che oggi governano il paese e sostengono un decreto sicurezza immorale e anticostituzionale. Da Riace a Mineo sono già stati messi sulla strada e resi invisibili gli oltre 39.000 richiedenti asilo che l’avevano ottenuto nei due anni precedenti. E non pensi, il trasformista Di Maio, quello dei taxi del mare, di salvarsi la faccia e la coscienza dando disponibilità ad accogliere una quindicina  di bambini e di donne, dividendo le famiglie, per poi votare il Decreto sicurezza e dare sostegno alla licenza di uccidere che ha in mente Salvini concedendo libertà all’uso delle armi. 

Non si salva nessuno se continuiamo a dimenticare che in cinque anni sono oltre 18.000 le persone annegate nel Mediterraneo, e che nel 2018, nonostante il drastico crollo delle traversate, sono ben oltre 2.000 gli esseri umani scomparsi e di cui non si parla; se dimentichiamo le immagini di quel barcone affondato il 18 aprile 2015 a largo di Lampedusa con 1000 persone a bordo, il più grande disastro del Mediterraneo, intrappolate come topi e rimaste per anni nello scafo recuperato dalla Marina Italiana. Non ci sarà umanità nei nostri pensieri finché non penseremo che i loro morti sono come i nostri.  

“La pacchia è finita” è la miseria razzista che riesce a esprimere un Ministro indegno.      

Ecco, pensando a tutto questo sorge legittimo il dubbio che la sola crescita economica, in assenza di una crescita culturale e valoriale, possa farci uscire dalle diseguaglianze, dalla crisi di sistema e preparare, come nella nostra ambizione, la società migliore del futuro.  Se non incrociamo la lotta politica ed economica con quella valoriale e culturale dei diritti universali, della solidarietà e dell’uguaglianza nel lavoro e nella società, non usciremo vincenti ma saremo presi nello scontro corporativo tra ceti, tra fasce di età, tra generazioni, tra lotte parziali e di convenienza materiale immediata.

Così saremmo stritolati. Non è lotta di classe, di emancipazione per una società migliore, è rabbia, malessere sociale trasversale, come quello dei gilet gialli. E’ la frustrazione, il “tutti contro tutti”, perché in quella protesta, come in altre, non c’è valore condiviso, pensiero alto, coscienza collettiva e solidale, e non c’è una direzione politica. Il populismo non scomparirà appena l’economia andrà meglio. 

E’ necessario, con intelligenza e radicalità, ripoliticizzare l’antica dialettica tra capitale e lavoro nella quale si rinnova il moderno scontro di classe. Dobbiamo rialzare lo sguardo sul mondo, sull’Europa, su ciò che avviene, sui profondi cambiamenti che non sono solo climatici ma riguardano i dati macroeconomici in peggioramento, lo scontro tra le superpotenze su futuri assetti geopolitici, la conquista dei mercati e il controllo delle materie prime e delle vie energetiche. 

La deriva del paese arriva da lontano; la sinistra, quella che ha governato per anni, porta responsabilità che non vanno rimosse. Troppe accondiscendenze e sottovalutazioni. L’errore politico fatale, imperdonabile, è stato il cedimento sui valori costituzionali, la rincorsa della destra più becera, dei populisti, dei razzisti sul loro terreno. Non posso dimenticare che il primo a parlare di chiusura dei porti, a mettere in discussione l’operato delle Ong, a parlare dell’immigrazione come problema di sicurezza e di tenuta democratica è stato il Ministro Marco Minniti, che con il presidente Gentiloni, il 2 febbraio del 2017, firmò l’accordo di collaborazione per il contrasto all’immigrazione clandestina con il presidente libico Fayez Al-Sarrāj. Oggi gli immigrati, fermati a tutti i costi e con il denaro italiano, scappano dalle carceri libiche, divenute luoghi di tortura, di violenze, di stupri e di morte. Li abbiamo aiutati a trovare la morte nei centri di tortura e di detenzione libici e non nel mare Nostrum. Abbiamo acquietato la nostra coscienza, forse, ma non la nostra responsabilità.  Si è scelto di affossare, per un calcolo elettorale sbagliato, la legge sulla cittadinanza, lo “ius soli”, e di abbandonare la battaglia per l’abolizione della legge Bossi-Fini, mentre l’ipocrisia dell’“aiutiamoli a casa loro” si sta traducendo nel prezzo umano e politico che vediamo. Su questo governo e sulla manovra il giudizio è netto, lo abbiamo scritto nei documenti, in ogni articolo pubblicato su “Sinistra Sindacale”, il nostro periodico, bello ed efficace. C’è una posizione netta espressa dal Segretario generale sugli organi di informazione e non mi dilungo. E’ un governo di destra, senza giustificazione alcuna, con un programma economico e sociale demagogico e falsamente aclassista, che ha svuotato il ruolo del Parlamento seguendo, nell’indirizzo generale, le orme dei passati governi, che propone una flat-tax a favore dei ricchi e non scalfisce il neoliberismo e le politiche di austerità, taglia e sposta risorse, riduce gli investimenti pubblici, non investe nel futuro. 

Un governo a trazione leghista con i 5stelle irresponsabilmente accondiscendenti e complici, che agita il sovranismo inseguendo o mettendosi alla testa della peggiore destra europea. 

Siamo convinti di scendere in piazza, e impegnati nel sostenere la piattaforma unitaria di CGIL CISL UIL e nello sforzo di spiegare alle lavoratrici e ai lavoratori le ragioni di merito sindacale della mobilitazione.  

Noi della CGIL abbiamo le carte in regola per farlo, per chiedere alle nostre iscritte e ai nostri iscritti, ai lavoratori, a chi non ha un lavoro, ai pensionati e agli studenti di scendere in piazza con noi. Possiamo farlo forti della nostra autonomia, delle nostre scelte e delle nostre mobilitazioni contro le politiche economiche sociali dei precedenti governi, passando da Monti e Renzi, per arrivare sino a Gentiloni. 

E’ bene dirlo, se non vogliamo che in piazza ci siano solo i sindacalisti e pochi delegati: noi non ci mobilitiamo con il PD e per il PD, non sosteniamo le ragioni liberiste, non ci riconosciamo nei parametri dell’Europa finanziaria e nel pareggio di bilancio. Siamo per un'altra Europa, per un altro sviluppo economico, per un altro progetto di paese e di società. I lavoratori, i pensionati, i cittadini non dimenticano. Le ragioni del disastroso esito elettorale del PD di governo risiedono proprio nell’identificazione del governo di centrosinistra con le politiche di austerità, dal voto alla Fornero al nefasto jobs act, che con il contratto a tutele crescenti ha aumentato la precarietà e cancellato illegittimamente l’art.18 - come ha riconosciuto anche la sentenza n.194 della Corte Costituzionale - dalla “buona scuola” sino all’attacco ai servizi e ai permessi sindacali, al sindacato confederale, alla CGIL. Altrimenti non si capirebbe perché questo governo di dilettanti allo sbaraglio, di sfascisti delle istituzioni, sorretto da un accordo di potere tra due uomini al comando, a cento giorni dal suo insediamento continui a far registrare un inedito 60% dei consensi. La loro forza, dispiace dirlo, sta nella mancanza di un’alternativa credibile a sinistra e di una seria opposizione parlamentare. Se la sinistra, tutta, non si misura senza autoassoluzioni sulla frattura sociale intervenuta con il mondo del lavoro, non recupererà il consenso e non troverà le ragioni della sua esistenza; non potrà ricostruirsi e rinnovarsi, come sarebbe necessario per la democrazia e per la stessa CGIL che non ha riferimenti politici in Parlamento. Noi ci mobilitiamo per un paese più giusto, per mettere al centro il lavoro e la condizione lavorativa, i diritti universali, le pensioni, la difesa della sanità e della scuola pubblica. Non siamo stati subalterni al quadro politico precedente e non lo saremo certo a questo governo inumano che alimenta la guerra tra poveri e cancella la democrazia rappresentativa. La logica dei penultimi contro gli ultimi nega alla radice la nostra stessa esistenza di sindacato generale. E’ dunque necessario mobilitarsi, costruire il consenso sulle nostre proposte, dando forza e credibilità alle nostre critiche, smascherando la propaganda e le falsità sui contenuti, sul merito della finanziaria, senza nasconderci le difficoltà che troveremo con i lavoratori e anche con i nostri delegati e le nostre delegate. Il problema oggi non è come la pensiamo noi, ma cosa pensa e percepisce la gente, anche la “nostra” gente, e che giudizio ancora dà nei confronti di un governo che è stato voluto e votato da molti come una speranza, un’alternativa. 

“Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”, dicevano, e l’hanno chiuso come un bunker calpestando l’unica democrazia di cui disponiamo, quella rappresentativa.  Ma è da tempo, purtroppo, che la centralità del Parlamento e la democrazia rappresentativa hanno perso ruolo e funzione designati dalla Costituzione con l’accentramento dei poteri nelle mani dell’esecutivo, con il ricorso continuo al voto di fiducia persino sulla legge elettorale, che se fosse passata avrebbe attribuito a un solo partito, (il 40% degli elettori) - in altre parole alla Lega di Salvini - un potere assoluto sulle istituzioni del paese. 

Voglio ricordare che siamo scesi in piazza in difesa della democrazia, contro lo scippo dei nostri referendum. E come non chiederci cosa ne sarebbe oggi del nostro paese se fosse passato il Si al referendum Costituzionale del 4 dicembre promosso dal PD, con la centralizzazione delle competenze legislative e dei poteri decisionali in mano all’esecutivo. Non dimentichiamo che la CGIL, insieme a giuristi e costituzionalisti, all’Anpi e ad altri movimenti, espresse il suo giudizio con un No a quella controriforma: una decisione sulla quale ancora oggi ci sono differenze di valutazione al nostro interno. Quella riforma fu sonoramente bocciata dai cittadini, ma l’allora Presidente del consiglio non prese mai politicamente atto della sua sconfitta. Oggi bisogna ricostruire quel fronte ampio in difesa della Costituzione e della civiltà sociale e giuridica. La democrazia rappresentativa e partecipata non è mai stata così fragile.

Siamo un paese senza memoria, e l’indignazione dura i giorni della cronaca. Questo vale per i morti sul lavoro, non per fatalità ma per responsabilità, incuria, mancanza di prevenzione. Vale per i femminicidi, che ancora segnano quotidianamente la cronaca: donne assassinate da uomini, una lunga lista che si riduce a statistica e non fa quasi più notizia. La sopraffazione sulla donna è un fatto culturale e non bastano le leggi, che vanno applicate a partire dalla protezione di chi denuncia e dal sostegno ai centri antiviolenza; per estirpare alla radice la questa piaga della violenza maschile contro le donne occorre anche qui agire con forza sul piano culturale, educativo e valoriale.

Bisognerebbe insegnare, a partire dalla scuola, l’educazione sentimentale, il rispetto, il valore dell’uguaglianza nelle differenze, e accompagnare a questo una lotta costante, una mobilitazione di donne e di uomini contro i tentativi di questo governo, di un ministro della famiglia xenofobo, conservatore e lefevriano, di un maschilista come Pillon, di spostare indietro le lancette della storia.

Il nostro 18° Congresso 

In un contesto economico e sociale complicato, siamo arrivati alla vigilia del nostro Congresso nazionale. Come tutti i congressi è il momento più alto della vita e della prospettiva dell’organizzazione. Ci siamo arrivati con un percorso innovativo. Il risultato, almeno per quanto riguarda il documento “Il lavoro è” ha rappresentato un’assunzione delle scelte compiute in questi anni dalla CGIL e un avanzamento delle nostre analisi e proposte. Arriviamo al Congresso forti di una stagione impegnativa e difficile che ha visto la CGIL protagonista di mobilitazioni su vari fronti, spesso da sola a reggere l’urto di uno scontro con le scelte dei governi Monti, Renzi e Gentiloni che si ponevano contro il mondo del lavoro e i suoi diritti. Abbiamo portato in piazza la protesta e la proposta su quelli che erano e sono i nostri riferimenti strategici: il Piano del lavoro, la Carta dei diritti. Con le nostre scelte autonome e radicali, dal voto del 4 dicembre sul referendum costituzionale fino alle assemblee e alla raccolta di milioni di firme contro il jobs-act, abbiamo ritrovato consenso e partecipazione, recuperando la credibilità in parte perduta sulla legge Fornero, che continua a essere una bomba a orologeria sul futuro delle nuove generazioni. Abbiamo contribuito alla definizione e al rafforzamento a sinistra del documento congressuale attraverso un ricco documento firmato da oltre 800 iscritte e iscritti e inviando, dopo la prima stesura, 23 emendamenti, in gran parte accolti dalla commissione politica. Siamo gli eredi di un pezzo di storia importante del movimento operaio, nata alla fine degli anni ’70 e ancora attuale, una storia che è parte e risorsa di ciò che è oggi la CGIL. Siamo una sinistra sindacale confederale di maggioranza: non una cordata o un gruppo di potere, ma una ricchezza di pensiero, un pluralismo riconosciuto nelle nostre regole di convivenza democratica. Un pluralismo che dev’essere però ancora adeguatamente riconosciuto e rappresentato negli esecutivi e negli organismi dirigenti, al fine di allargare e qualificare sul merito la composizione plurale della CGIL.

 Un pluralismo che non può essere messo in discussione da nessuno, e il riconoscimento del quale non si può subordinare alla risposta alla domanda “con chi stai”, da tempo presente nella nostra organizzazione. Già…con chi stai? Da pochi giorni ufficialmente sappiamo che arriviamo all’assise nazionale con due candidature a Segretario generale.              

Il compagno Colla, nell’ultimo Direttivo nazionale, ha dato la sua disponibilità alla propria candidatura alternativa a quella avanzata dal Segretario generale Susanna Camusso sul nome di Maurizio Landini. Abbiamo ascoltato, letto, la sua dichiarazione nella quale sosteneva le ragioni della sua scelta non usuale. Siamo tra quelli che salutano positivamente l’ufficializzazione di questa candidatura che, pur essendo in campo da parecchio tempo ed essendo sostenuta da un gruppo indefinito di dirigenti di strutture e di categorie dell’organizzazione, non era mai stata finora correttamente esplicitata. Tuttavia le modalità, i tempi, la mancanza di chiarezza politica sul merito e le vere ragioni di questa autocandidatura ci confermano nell’esprimere un giudizio critico. Crediamo che una scelta così drastica rispetto alla storia dell’organizzazione avrebbe dovuto essere esplicitata prima e durante il percorso congressuale, misurandosi sul merito nella costruzione del documento congressuale e nel confronto con le iscritte gli iscritti. Argomentare poi che tale scelta si sarebbe resa necessaria “per rafforzare la nostra unità, la nostra progettualità, la nostra forza organizzativa” sembra presupporre che, al contrario, la candidatura della maggioranza della segreteria non offrisse tali garanzie sul piano politico e su quello personale. Ci chiediamo, anche se possiamo intuirne le ragioni, che cosa abbia mosso la volontà di aprire di fatto ufficialmente una competizione sul nome del Segretario generale CGIL, contro la proposta avanzata dalla maggioranza della segreteria. 

Trovo imbarazzante e non accettabile che si dichiari che, pur avendo gli stessi obiettivi strategici, il documento congressuale votato nelle assemblee di base e da noi sostenuto, sia sì un punto di partenza, ma che esisterebbero “molte possibili declinazioni, priorità, modalità attuative”. Che vuol dire? Siamo preoccupati, perché in assenza dell’esplicitazione di valide ragioni sindacali che la motivino, un’autocandidatura che, per quanto legittima, comporta comunque tensioni e una serrata competizione nel congresso nazionale, potrebbe essere vissuta come una contrapposizione personale, o peggio come uno scontro squisitamente di potere. Con tutto il danno che questo produrrebbe nell’immaginario collettivo e tra le iscritte e gli iscritti. Il nostro giudizio si basa anche sulle critiche rivolte alla legittima e statutariamente corretta candidatura del compagno Landini avanzata dal Segretario  generale. Portiamo questa critica forti della nostra storia e coerenza. Usciamo dalle personalizzazioni e dalle cose non dette: al centro del confronto non ci sono due nomi ma due idee di CGIL e due prospettive strategiche, due concezioni dell’autonomia dal quadro politico, qualsiasi esso sia, persino due diverse valutazioni rispetto alle scelte assunte dalla CGIL in questi anni e, infine, anche giudizi diversi sull’operato della segreteria e del Segretario generale.  Per me ogni Segretario generale della CGIL ha un valore per ciò che ha rappresentato nella fase che ha segnato la sua direzione politica.  Questi ultimi anni per il mondo del lavoro, per il paese sono stati anni difficili, complicati, e va riconosciuto il merito al gruppo dirigente attuale, al Segretario generale, la compagna Susanna Camusso, di averci traghettato fuori dalla tempesta uscendo dalla difensiva, recuperando credibilità con le scelte autonome e le battaglie radicali messe in campo. E io vorrei rivolgere un grazie personale a una compagna, a una dirigente che conosco da sempre, con la quale ho condiviso battaglie e mi sono anche misurato e scontrato sul merito sindacale, sempre con lealtà e rispetto nei confronti della prima donna che ha ricoperto il ruolo più alto, difficile e di massima responsabilità della nostra organizzazione. Una dirigente che ha dovuto guidare con mille difficoltà la CGIL senza riferimenti politici e con grande autonomia, subendo attacchi personali di natura maschilista provenienti anche da nostri dirigenti. 

Un maschilismo che si annida in ognuno di noi, duro da combattere e da sconfiggere, e sul quale la CGIL del futuro non può permettersi nessun passo indietro.  Noi, anche in questo congresso, abbiamo esplicitato le nostre differenze e le nostre opinioni con coerenza e forte senso di appartenenza alla nostra organizzazione. Siamo sostenitori convinti e coerenti della linea intrapresa dalla Confederazione e pensiamo, come affermato da Susanna Camusso nella sua relazione al Direttivo, che “la pluralità della nostra organizzazione non è riconducibile alle sole mozioni congressuali”.  Oggi va aperto il confronto su come ridefinire, riconoscere il pluralismo delle idee e delle pratiche nella costituzione e nella scelta dei gruppi dirigenti, degli esecutivi, mentre va contrastata con determinazione l’idea che si possa tornare ai pluralismi su cordate e sulla fedeltà, o peggio sull’appartenenza partitica. Nel documento di contributo al lavoro della commissione che ha steso il documento congressuale, abbiamo detto che era nostra intenzione affrontare la sfida del sindacato del futuro navigando in mare aperto. Intendiamoci, non sono cambiati i valori, i riferimenti strategici: la lotta di classe, la democrazia partecipata, la lotta per una società di liberi e uguali che abbia a fondamento il lavoro. E’ cambiato il quadro internazionale, è cambiata la composizione del capitale con il predominio di quello finanziario e la composizione di classe su scala mondiale, ma anche e soprattutto nei paesi dell’Occidente, Italia compresa. E’ cambiato il quadro politico di riferimento, con la scomparsa dei partiti di massa che hanno fatto la Repubblica, e l’intermediazione dei corpi sociali è messa in discussione. E’ cambiato, inevitabilmente, il rapporto tra lavoratori e sindacato.  Non è nostra intenzione ripetere il passato come se nulla fosse successo negli ultimi anni. Dopo il Congresso ci confronteremo su cosa fare di questa esperienza collettiva, nella consapevolezza che non sarà possibile riproporre la forma di area organizzata che sinora abbiamo conosciuto e condiviso con passione militante. Dall’esito del Congresso dipenderanno tante cose, compreso il percorso da intraprendere per non disperdere, ridefinendolo, il patrimonio rappresentato da questo nostro collettivo. Quello che posso garantirvi, nel ruolo di referente nazionale di Lavoro Società che mi è stato consegnato e che ho assunto con l’impegno di portare l’esperienza organizzata sino al congresso, è che nessuno deciderà per voi e in nome vostro com’è successo in passato. Il futuro lo decideremo insieme, e questo è un impegno che posso prendere anche a nome del compagno Maurizio Brotini, con il quale, in rappresentanza dell’esperienza collettiva della sinistra sindacale toscana, stiamo misurando e sperimentando un rinnovato percorso collettivo. La sfida è quella di mantenere forte e unito un sindacato confederale, soggetto autonomo dal quadro politico e dal padronato, capace di organizzare i settori “forti” del mondo del lavoro e la massa del lavoro precario subordinato. E nel sindacato dissodare il terreno anche per una nuova leva di una sinistra del XXI secolo, che raccolga la bandiera della Costituzione della Repubblica fondata sul lavoro.  Fare il sindacalista, il delegato, ieri come oggi, non è un mestiere come gli altri, è una scelta di vita, richiede passione e uno sforzo di realismo nell’esercizio della contrattazione che è altra cosa dall’accettazione o dalla rassegnazione alla realtà che ci circonda. Occorre ripartire dai luoghi di lavoro per riunificare un mondo del lavoro frantumato, diviso e riconoscere le RSU come espressione democratica del voto delle lavoratrici  e dei  lavoratori.  E occorre  valorizzare, formare e riconoscere, senza strumentalizzazioni,  le delegate e i delegati sindacali, come dirigenti  a tutti gli effetti della CGIL, perché  ricoprono un ruolo di straordinaria importanza e svolgono un compito difficile. Il gruppo dirigente futuro e rinnovato deve vedere la presenza di compagne e di compagni provenienti dai luoghi di lavoro  e non solo dipendenti della CGIL. In CGIL non si rincorre il fatuo giovanilismo, perché le generazioni si incontrano, si riconoscono, si sostengono nel rinnovamento necessario. Il patrimonio di sapere e di esperienza non si rottama. 

Essere giovani è una grande risorsa, una ricchezza anche per il nostro indispensabile rinnovamento, ma non è sufficiente, perché fare il sindacalista è una scelta impegnativa. Farlo in CGIL presuppone un agire verso gli altri carico di esperienza e di responsabilità, nel rispetto dei valori, della democrazia e dei pluralismi, capisaldi della nostra Confederazione. Occorre valorizzare, riconoscere quanto la CGIL, tutti noi, con passione e militanza siamo riusciti a fare.   Il confronto politico, anche il più aspro, nella storia della CGIL non è mai stato fattore di rotture permanenti né di divisioni strutturali, ma di ricchezza e di rinnovamento. Mai nemici ma sempre dirigenti coesi, solidali e responsabili. Chiunque sia il prossimo Segretario generale che uscirà dalla competizione non sarà l’uomo solo al comando, ma il Segretario di tutte e di tutti, a garanzia della collegialità, del nostro pluralismo e della nostra identità confederale. Noi, Lavoro Società-Per una CGIL unita e plurale, nel nostro Coordinamento nazionale del 7 novembre, dopo la candidatura avanzata dal Segretario generale CGIL, abbiamo deciso di stare con chi meglio può rappresentare la continuità delle scelte strategiche assunte e indicate nel documento congressuale; abbiamo deciso collettivamente di stare con la CGIL del futuro che vogliamo. Coerentemente con la nostra storia di sinistra sindacale abbiamo scelto di conseguenza di sostenere, per ragioni di linea e merito sindacale e di prospettiva strategica, la candidatura del compagno Maurizio Landini. Una decisione che posso pensare sia in sintonia con voi che partecipate a questa bella assemblea nazionale. Permettetemi oggi una considerazione umana e personale. Vi ringrazio per la vostra presenza, la vostra passione, la vostra militanza. Oggi ho la conferma della giustezza della scelta fatta all’ultimo Congresso, non facile per le rotture personali che ha comportato, di non considerare chiusa l’esperienza collettiva di Lavoro Società. La vostra presenza mi ripaga delle difficoltà incontrate, delle delusioni vissute per le scelte di alcune compagne e compagni. Questa assemblea mi inorgoglisce e mi fa sentire parte di un collettivo di persone e di compagni che sento molto vicini e che spero di non aver deluso nel ruolo di referente nazionale. Comunque, sappiate che ho cercato di fare del mio meglio nei limiti che so di avere. Se siamo qui in tanti è perché c’è un filo rosso che non si è mai spezzato e che ci unisce perché non abbiamo mollato, e la passione e l’entusiasmo sono stati e rimangono la nostra storia. Noi non siamo le sentinelle della linea, siamo stati e siamo protagonisti della sua affermazione e della sua coerente realizzazione. Siamo orgogliosamente parte di una CGIL capace di dire e di fare cose di sinistra, di parlare alla sua gente senza scadere nel populismo, di difendere gli interessi del mondo del lavoro senza scadere nel corporativismo e nell’aziendalismo. Siamo un presidio di valori, di solidarietà.   La CGIL del futuro dovrà essere più militante, inclusiva, rappresentativa e confederale, un collettivo che vive di partecipazione e di contrattazione, della ricchezza dei suoi valori e della sapienza della collegialità, dei suoi pluralismi e del confronto democratico.  C’è bisogno di un pensiero alto, di scelte che ripropongano ideali, di lotta politica e valoriale costante per far avanzare chi e indietro, senza voce e diritti, senza un futuro degno. Per rendere tutti e tutte uguali nei diritti e nelle possibilità. Per ricostruire un orizzonte del cambiamento reale, dell’utopia del possibile. Il sogno che si fa concretezza. C’è bisogno per questo di tutti noi, di tutti voi. C’è bisogno di una CGIL unita e plurale. 

Grazie dell’ascolto, compagne e compagni  

 

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