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Intervento di Giacinto Botti al XVIII Congresso Cgil

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Care compagne, cari compagni, 

Voglio prima di tutto condividere con voi il disagio e la tristezza per le deportazioni dei migranti ospiti di un centro di accoglienza a Roma, decise e messe in atto in queste ore da un ministro indegno che va chiamato senza reticenze col nome che si merita: un razzista, xenofobo e fascistoide che alimenta violenza, odio e guerra tra poveri. Noi non apparteniamo al popolo indistinto di Salvini e Di Maio, siamo il popolo della CGIL, un’organizzazione che non è solo contrattazione ma un presidio di democrazia, di solidarietà, di valori, di difesa della nostra Costituzione antifascista e repubblicana. Abbiamo superato la linea rossa, occorre mettere in campo una grande e ampia manifestazione, con tutte le associazioni e i movimenti, contro questa onda nera che imbarbarisce, in difesa della nostra civiltà e della nostra umanità.  Noi non siamo indifferenti alla chiusura dei porti, a questo assistere inermi alla morte di centinaia di esseri umani lasciati annegare nel nostro mare senza che si faccia nulla. In questi anni sono ormai oltre 30.000 i morti nel mare nostrum. L’Europa liberista e dei mercati si mostra cinica, disumana, incapace di far aprire i porti agli stati membri e di affrontare fenomeni migratori che non si fermeranno e che richiedono politiche strutturali e lungimiranti. Non ci sarà umanità nei nostri pensieri finché non penseremo che quei morti sono come i nostri. Non ci sarà coscienza diffusa finché non capiremo che nessuna madre metterebbe i propri figli su barconi fatiscenti, a meno che l’acqua non sia più sicura della terra in cui vivono e da dove fuggono.

Se non si incrocia la lotta politica ed economica con quella valoriale e culturale saremo stritolati nello scontro corporativo tra ceti, tra generazioni, tra interessi generali e convenienze particolari. Non c’è lotta di classe ma rabbia, malessere sociale trasversale, come quello dei gilet gialli; “tutti contro tutti” senza valori condivisi, senza coscienza collettiva e solidale e senza una direzione politica. Abbiamo bisogno di più Europa, ma non di questa, nella quale non ci riconosciamo. E’ necessario, con intelligenza e radicalità, ripoliticizzare l’antica dialettica tra capitale e lavoro nella quale si rinnova il moderno scontro di classe, e rialzare lo sguardo sul mondo, sui cambiamenti, sullo scontro sui futuri assetti geopolitici, sulla conquista dei mercati e il controllo delle materie prime e delle vie energetiche. 

E abbiamo bisogno anche di un'altra Italia e di un'altra classe politica.  

La deriva valoriale arriva da lontano, si è ormai diffusa anche nei luoghi di lavoro e tocca la nostra rappresentanza. Indifferenza, odio, insofferenza verso il diverso, un oscurantismo becero, maschilista e omofobo, una diffusa xenofobia alimentata da chi governa il paese e sostiene un decreto sicurezza immorale e anticostituzionale. 

La sinistra che è stata di governo porta responsabilità che non vanno rimosse. L’errore politico, per me imperdonabile, è stato il cedimento sui valori costituzionali, la rincorsa della destra, dei populisti, dei razzisti. Come dimenticare che il primo a parlare di chiusura dei porti criticando le Ong è stato l’ex Ministro Minniti, che con Gentiloni firmò l’accordo con il governo libico? Per calcolo elettorale si sono affossate la legge sulla cittadinanza, lo “ius soli” e la battaglia per abolire la Bossi-Fini. 

Nessun paragone con il passato, certo, ma una parte del paese oggi è sotto l’egemonia culturale di una destra individualista, nazionalista, reazionaria e razzista in un’Italia che non ha mai fatto i conti con il fascismo, le leggi razziali, le persecuzioni, la pagina spaventosa della Shoah di cui il 27 gennaio si celebra la memoria, che va tenuta sempre viva. 

Non tutti i populismi sono fascismi, ma ogni dittatura ha riproposto un’esaltazione strumentale e aclassista della nazione e del popolo indistinto. Il paese sta precipitando verso il rancore e l’individualismo egoista che offuscano le coscienze. 

Di questo dovremmo sentirci tutti moralmente responsabili. L’indignazione non basta, occorre la lotta politica, l’azione collettiva. Questo vale anche per chi muore sul lavoro per responsabilità, incuria, mancanza di prevenzione. Vale per i femminicidi, un fenomeno contro cui ci vuole una mobilitazione forte di donne e uomini, sul piano culturale, educativo, valoriale. 

Ribellarsi è giusto: una ribellione etica, democratica, ideale e classista contro chi, destra politica, borghesia reazionaria, capitalisti senza scrupoli, associazioni padronali, pensa solo al profitto, rendendosi complice dell’azione sconsiderata del governo. Un pezzo di società fa da “zona grigia”, si è assuefatta all’illegalità diffusa e non ha interesse a capire il danno che stanno subendo i nostri valori Costituzionali. 

La ribellione, la disobbedienza civile di alcuni sindaci, ai quali va la nostra solidarietà, definiti “traditori” da un Ministro che usa parole, gesti di mussoliniana memoria, sono segnali importanti che vanno colti e amplificati. 

Ci sono battaglie urgenti, valoriali, che bisogna riportare con più forza all’interno del nostro quadrato rosso e che sono tutt'uno con le lotte per l’emancipazione e per i diritti universali, l’inclusione e l’uguaglianza, la difesa del lavoro e della sua condizione.

Anche per questo scenderemo in piazza il 9 febbraio con CISL UIL, contro le politiche economiche e sociali di questo governo a trazione leghista, con i 5stelle complici, forti della nostra autonomia, delle nostre proposte e delle nostre mobilitazioni contro le scelte dei precedenti governi, da Monti a Renzi e Gentiloni. E’ necessario mobilitarci senza nascondere le difficoltà, perché il problema oggi è cosa pensa e percepisce anche la “nostra” gente, e che giudizio ancora dà nei confronti di un governo che per molti rappresenta una speranza, un’alternativa. 

E’ bene dirlo, noi non ci mobilitiamo con un partito o per un partito, non ci riconosciamo nei parametri liberisti dell’Europa finanziaria. 

Le ragioni del disastroso esito elettorale del PD stanno proprio nell’identificazione del governo di centrosinistra con le politiche di austerità, dalla Fornero al jobs act, dalla “buona scuola” all’attacco ai servizi e ai permessi sindacali, a tutto il sindacato, alla CGIL. La forza dell’attuale governo sta, dispiace dirlo, nella mancanza di un’alternativa credibile a sinistra e di una seria opposizione parlamentare. Se la sinistra, tutta, non si misura con la frattura con il mondo del lavoro, se non dice “ho sbagliato”, non potrà ricostruirsi e rinnovarsi, come sarebbe necessario per la democrazia e per la stessa CGIL, che rischia di restare l’unica grande organizzazione di massa che affonda le sue radici nella storia della migliore sinistra italiana. Senza il mondo del lavoro la sinistra non esiste. Il Parlamento, la democrazia rappresentativa hanno perso di ruolo con l’accentramento dei poteri nelle mani dell’esecutivo, e chissà cosa ne sarebbe oggi del nostro paese se fosse passato il SI al referendum costituzionale. La CGIL, insieme all’Anpi e ad altri movimenti, espresse il suo giudizio con un NO a quella controriforma. Di quella sonora bocciatura però non si è mai preso atto. Ora bisogna ricostruire quel fronte ampio in difesa della Costituzione e della civiltà sociale e giuridica.

Care compagne, cari compagni, 

siamo ormai al passaggio finale di questo nostro congresso “complicato”. Il risultato ottenuto dal documento “Il lavoro è” dice di un’assunzione piena delle scelte di questi anni e delle mobilitazioni su vari fronti, spesso da soli a contrastare le scelte dei diversi governi contro il mondo del lavoro e i suoi diritti. 

Abbiamo portato in piazza la protesta e le proposte: il Piano del lavoro, la Carta dei diritti. Con le nostre scelte autonome abbiamo ritrovato consenso e partecipazione. 

Lavoro Società-Per una CGIL unita e plurale ha contribuito al documento congressuale con un documento firmato da oltre 800 iscritte e iscritti e diversi emendamenti. Siamo una sinistra sindacale confederale di maggioranza; non una cordata o un gruppo di potere, ma un pluralismo riconosciuto nelle nostre regole di convivenza democratica che dev’essere però ancora adeguatamente rappresentato negli esecutivi e negli organismi dirigenti.

Come sappiamo, ufficialmente da poco tempo, siamo arrivati al Congresso nazionale con due candidature a Segretario generale, quella legittimamente e correttamente avanzata dalla maggioranza della Segreteria sul nome del compagno Maurizio Landini e quella del compagno Vincenzo Colla, di cui abbiamo ascoltato le ragioni nell’ultimo Direttivo nazionale. Abbiamo giudicato criticamente le modalità, i tempi, la mancanza di chiarezza politica sul merito di questa autocandidatura che, anche per l’inusualità del gesto, avrebbe dovuto essere esplicitata prima e durante il percorso congressuale. Ci siamo chiesti cosa possa muovere la volontà, pur avendo gli stessi obiettivi strategici, di aprire di fatto ufficialmente una competizione sul nome del Segretario generale della CGIL, contro una proposta largamente unitaria. Un’autocandidatura, per quanto legittima, comporta tensioni e può essere vissuta come una contrapposizione personale, o peggio come uno scontro di potere, con evidenti danni. Usciamo dall’ipocrisia, al centro del confronto ci sono due idee di CGIL, due prospettive strategiche, due concezioni dell’autonomia, persino due diverse valutazioni rispetto alle scelte della CGIL in questi anni e anche giudizi diversi sull’operato della segreteria e del Segretario generale.  Per me ogni Segretario generale della CGIL ha un valore per ciò che ha rappresentato nella fase che ha segnato la sua direzione politica. Questi ultimi anni per il mondo del lavoro, per il Paese sono stati anni difficili, e va riconosciuto il merito al gruppo dirigente attuale, al Segretario generale, la compagna Susanna Camusso - prima donna alla guida della nostra organizzazione - di aver diretto la CGIL salvaguardandone l’autonomia, traghettandoci oltre la tempesta, fuori dalla difensiva, recuperando credibilità, tenendo la barra a sinistra e aprendo anche una battaglia per il rinnovamento del sindacato internazionale. Tutto non senza subire attacchi personali di natura maschilista anche da parte di nostri dirigenti. 

Un maschilismo che si annida in ognuno di noi, duro da sconfiggere e contro cui la CGIL del futuro non deve mollare la presa. A Susanna Camusso va la mia solidarietà per l’attacco offensivo portato dal Segretario generale della CGIL Lazio Michele Azzola: un intervento sprezzante che non avrebbe mai fatto se il Segretario generale fosse stato un uomo. 

Lavoro Società-Per una CGIL unita e plurale ha esplicitato le proprie opinioni con coerenza e senso di appartenenza. Siamo orgogliosamente parte di un’organizzazione capace di dire e fare cose di sinistra, di parlare alla sua gente senza scadere nel populismo, di difendere gli interessi del mondo del lavoro senza cedimenti al corporativismo e all’aziendalismo.

Abbiamo sostenuto la linea della Confederazione e concordiamo sul fatto che “la pluralità della nostra organizzazione non è riconducibile alle sole mozioni congressuali”. Ora va aperto il confronto su come ridefinire, riconoscere il pluralismo delle idee e delle pratiche anche nella scelta dei gruppi dirigenti, in contrasto con l’idea di un ritorno ai pluralismi su cordate o peggio sull’appartenenza partitica. 

Dall’esito del Congresso, che noi auspichiamo sia unitario, dipenderanno tante cose. La sfida è di mantenere forte e unito un sindacato confederale, soggetto autonomo dal quadro politico e dal padronato, capace di organizzare e rappresentare l’insieme del mondo del lavoro.  

Il confronto politico, anche il più aspro, nella storia della CGIL non è mai stato fattore di rotture permanenti, ma di ricchezza e di rinnovamento. Sappiamo perciò che il prossimo Segretario generale, non sarà l’uomo solo al comando, ma il Segretario di tutte e di tutti, a garanzia della nostra democrazia e della confederalità.

Noi, com’è noto abbiamo scelto, coerentemente con la nostra storia di sinistra sindacale, di sostenere, per ragioni di linea, di merito e di prospettiva strategica, la candidatura del compagno Maurizio Landini. Ognuno di noi auspica che le contraddizioni trovino una sintesi più alta nella chiarezza politica, e che si giunga a un accordo per governare al meglio l’organizzazione. Per farlo dobbiamo ripartire dai luoghi di lavoro, dai nostri indispensabili delegati, riconoscendo le RSU come espressione democratica del voto delle lavoratrici e dei lavoratori. 

Fare il sindacalista non è un mestiere come gli altri, è una scelta di vita, un impegno prezioso che richiede passione e che va valorizzato, senza strumentalizzazioni, anche con una presenza forte nel futuro gruppo dirigente perché si tratta di dirigenti della CGIL a tutti gli effetti. E il nostro rinnovamento deve investire sui giovani, ma senza falsi giovanilismi: il patrimonio di sapere e di esperienza non si rottama, perché fare il sindacalista presuppone un agire verso gli altri carico di esperienza e di responsabilità. 

La CGIL del futuro dovrà essere più militante, inclusiva, rappresentativa e confederale, un collettivo che vive di partecipazione, di contrattazione, di valori. C’è bisogno di un pensiero alto, di scelte ideali per ricostruire un orizzonte del cambiamento reale, dell’utopia del possibile. Il sogno che si fa concretezza. C’è bisogno per questo di tutti noi, di tutti voi. C’è bisogno di una CGIL unita e plurale.

Grazie dell’ascolto.

 

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