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“Partigiane e partigiani di Pace, contro la guerra”, CdLM di Milano - 6 giugno 2022 - Introduzione di Giacinto Botti

“Non c’è bisogno di avere principi etici intransigenti, né visioni politiche specifiche, per capire che la guerra come strumento non funziona. Basta un minimo di intelligenza, basta solo guardare le cose in modo obiettivo e senza pregiudizi. La guerra, anche quella che si invoca o si fa per porre fine ad altre atrocità, per far finire tutte le guerre, non può funzionare perché è di per sé antitetica alle ragioni che la sostengono; la guerra è la negazione di ogni diritto. La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”.

Questo è il pensiero alto con cui vorrei aprire questo incontro, sono le parole di un medico, di un sognatore, di una persona speciale che non dimentichiamo e a cui siamo grati: Gino Strada.

Grazie a tutte e a tutti per la vostra presenza. Un grazie sentito alle nostre e ai nostri ospiti che porteranno il loro qualificato contributo a questo libero confronto organizzato come Lavoro Società, una aggregazione della sinistra di maggioranza di una CGIL democratica e plurale, in coerente continuità con le mobilitazioni per la Pace cui la nostra organizzazione ha dato vita in tutto il Paese insieme ad Anpi, Acli, Arci, Emergency e a tante altre associazioni, per dare voce e rappresentanza al sentire maggioritario del popolo italiano. La CGIL nei suoi organismi dirigenti ha assunto posizioni chiare e nette contro la guerra, l’invio di armi e il riarmo, ribadite nelle piazze dal nostro Segretario generale, Maurizio Landini. E in continuità con quelle scelte e con la sua autonomia di pensiero e di proposta, sarà protagonista il 18 giugno di una manifestazione nazionale in Piazza del Popolo a Roma per la Pace, il lavoro, la giustizia.

Siamo per “ripudiare” la guerra, tutte le guerre di aggressione, per ribadire il nostro dissenso sull’invio delle armi e la nostra contrarietà all’aumento delle spese militari al 2% del Pil a discapito della spesa sociale per la scuola e la sanità pubblica, in un paese avviato verso la recessione e una riduzione del tessuto produttivo e dell’occupazione. Ogni F35 costa 135 milioni di euro, quanto allestire mille posti letto in terapia intensiva, la cui mancanza nella pandemia ha contribuito ad aumentare evitabili sofferenze e morti.   

L’Italia è in guerra. È una nazione belligerante che fornisce direttamente armi per alimentare una guerra. All’inizio la motivazione era aiutare la resistenza del popolo ucraino, ma oggi è chiaro che siamo una nazione cobelligerante senza che nemmeno si sia pronunciato il Parlamento, sempre più privo di ruolo e di funzione anche su una scelta così grave per il futuro del paese. La politica, i partiti si sono liquefatti, e la nostra democrazia rappresentativa e parlamentare si sta snaturando. La guerra non ha cambiato di segno, è cambiata solo la fase: è sempre stata una guerra combattuta per procura sulla pelle del popolo ucraino per colpire la Russia.

Nel titolo di questo incontro abbiamo voluto sintetizzare il nostro pensiero di parte: partigiane e partigiani per la Pace, contro la guerra e il riarmo. Non equidistanti rispetto alla tragedia in atto nel cuore dell’Europa, ben consapevoli delle responsabilità senza giustificazioni dell’aggressione russa a un paese confinante e solidali, umanamente e concretamente vicine e vicini alle sofferenze della popolazione ucraina.

Sappiamo chi è l’invasore e chi è stato invaso, ma continuiamo a voler essere persone pensanti, a rifiutare di metterci l’elmetto a sostegno di un conflitto che va fermato subito.

Una guerra sulla quale sappiamo di non sapere, perché la verità è la prima vittima di ogni guerra! Sentiamo però ipocrisia, banalità, semplificazioni antistoriche, menzogne su questa che è una guerra di dominio e di potere e che, come tutte le guerre di potere, è estranea agli interessi delle classi subalterne, del popolo.

Per questo abbiamo voluto organizzare questo confronto tra persone libere, con diverse storie e culture: una parlamentare, Rosy Bindi, ex ministra conosciuta e apprezzata per la sua coerenza, Susanna Camusso, prima Segretaria generale donna della CGIL, Alessandro Gilioli, il Direttore di una voce libera come Radio Popolare, che ringraziamo di esistere, e il professor Angelo d’Orsi, affermato docente e storico, pure lui in odore di scomunica perché indicato come filo putiniano. Ai professori cui è stata rivolta la stessa accusa, d’Orsi, Canfora, Montanari, Orsini, De Cesari, al Presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo, e tanti altri, esprimiamo solidarietà e il nostro ringraziamento.

Oggi vogliamo dedicare un po’ del nostro tempo alla riflessione, al confronto tra persone che rifuggono dal pensiero unico e non si rassegnano alla guerra e a quello che di drammatico produce sulle popolazioni, sulla vita individuale e collettiva, sul percorso di civilizzazione della società. Abbiamo come riferimento la Costituzione, spesso dimenticata e non applicata, ripudiamo la guerra come indica l’articolo 11, che fu scritto per permettere all’Italia, sconfitta nella guerra, di far parte dell’Onu, organizzazione della quale si è persa traccia in questi anni. Due erano gli obiettivi della Resistenza e dei Costituenti, costruire la Pace attraverso il ripudio della guerra, contro i nazionalismi e la logica di potenza, e salvaguardare la dignità della persona umana.

In questa guerra la missione pacificatrice della Costituzione Repubblicana e antifascista è stata, da tempo, politicamente e materialmente tradita. Risuonano alte le parole del Presidente della Repubblica e partigiano Sandro Pertini, che nel suo giuramento del 9 luglio 1978 disse: “L’Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di Pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai di vita per milioni di creature umane che lottano per la fame”.

Tutti noi qui amiamo la giustizia sociale, l’eguaglianza, la libertà di pensiero e di stampa, il pluralismo delle idee, la solidarietà e il riconoscimento tra diversi, tra generazioni e culture, l’autodeterminazione dei popoli; per storia e scelta non potremmo mai essere filo putiniani o compiacenti verso regimi dittatoriali o nazionalisti.  Se vivessimo in Russia probabilmente saremmo rinchiusi nelle galere o in piazza a manifestare, mentre molti di coloro che si ergono a paladini della civiltà occidentale e fanno le liste di proscrizione sarebbero al servizio del potere russo e dell’autocrazia autoritaria. Gli stessi che ci davano dei filo-terroristi durante la guerra in Iraq, fondata su menzogne e giustificata per esportate la nostra democrazia da due politici, Bush e Blair, che come Putin dovrebbero essere denunciati per crimini di guerra.

Ne siamo consapevoli: la guerra, soprattutto questa, come sempre divide, segna uno spartiacque, determina campi di posizionamento. Dobbiamo misuraci con la complessità e la difficoltà della situazione.

Siamo in un’informazione di guerra, persino dinanzi a uno stravolgimento lessicale. Domina un linguaggio aggressivo, maschile e violento, straripante e intollerante. Dopo 103 giorni di guerra, di insopportabili dibattiti da salotto, dopo visioni di stragi, sofferenze e devastazioni non si riesce più a guardare certi telegiornali e a leggere certa stampa che punta a muovere sentimenti umani per orientarci a sostenere acriticamente le scelte belliciste degli Usa e del governo italiano. Non a caso l’informazione italiana è scivolata in poco tempo dal 41esimo al 51esimo posto nella classifica mondiale della libertà di stampa. C’è una manipolazione delle coscienze, ci si vuole far credere nell’inevitabilità della guerra, dell’uso delle armi e della loro produzione, della deterrenza delle armi nucleari come se si trattasse del corso naturale della storia. 

Credo che sulla manipolazione e la disinformazione sulla guerra, a partire da quella in Ucraina, il direttore Gilioli abbia molto da dire.

La guerra travolge coscienze, mortifica, utilizza e piega pure ogni fede religiosa. Viene da chiedersi, e lo chiedo all’Onorevole Bindi, come sia possibile che nel Paese cattolico di Giorgio La Pira, oggi venga censurato persino il Papa, che definisce la guerra una follia e il riarmo una pazzia. Rimosso il suo rifiuto a partecipare a convegni con la presenza di politici bellicisti, del presidente della Fondazione Med.Or, creatura della Leonardo, la maggiore fabbrica di armi italiana, autore tra l’altro di quella legislazione securitaria, criminogena e razzista sull’immigrazione che consente di respingere i migranti nei campi di concentramento e di sevizie in terra libica e che condusse direttamente ai decreti sicurezza antisociali e incostituzionali di Salvini.

Questa guerra si sarebbe potuta e dovuta evitare con la diplomazia, la politica alta, la volontà di non innescare uno scontro geopolitico e di potere da parte di superpotenze imperiali con armamenti nucleari.

Va cercata non la pace giusta, ma la pace possibile. Non parteggiamo per la vittoria di qualcuno ma per la pace e la sopravvivenza di tutti. La Russia, con la guerra declinata da Putin come” operazione militare speciale”, sta conseguendo i suoi obiettivi. 

Continuare a rimuovere la realtà significa voler prolungare la guerra sino a un’improbabile vittoria, non desiderare di restituire al popolo ucraino la speranza di un futuro. Non si tratta di capitolare dinanzi a un aggressore, a un regime autoritario, ma di fermare un massacro, un’escalation tra superpotenze, e di agire in un altro campo che non ci porti alla terza guerra mondiale, fermando l’espansione della Nato verso oriente che non solo erode i territori d’influenza della Russia, ma ne intacca la storia secolare umiliando la dignità di un popolo.

Tornano alla mente le sagge parole di un intellettuale come Luigi Pintor, che scriveva sul suo giornale, il manifesto: “C’è tanta saggezza, buonsenso, dignità nel compromesso, nella mediazione, persino nella resa, se questa non chiude ma tiene aperta una prospettiva”. Basta con questo richiamo agli eroi di guerra.  Essere vivo è qualcosa di più decisivo che essere eroe. Perché, ricordando Brecht, è sventurata la terra che ha bisogno di eroi. Qui non c’è uno scontro manicheo tra il “Bene e il Male”, tra buoni e cattivi; non è una guerra tra socialismo e capitalismo ma tra superpotenze per interessi economici e strategici.

Se vuoi la Pace devi costruire un programma, una piattaforma politica sociale e culturale di prospettiva. La Pace è un nobile sentimento ma se vuoi raggiungerla devi armare le coscienze, investire nel progresso sociale, nell’eguaglianza e nei diritti universali. Devi avere una politica di respiro internazionale.

Questa crudele invasione non può essere imputata solo a un dittatore, a un massacratore, a un nuovo Hitler, com’è stato definito Putin. Se diamo uno sguardo al mondo e non solo al nostro Occidente, scopriamo che in Africa non è il macellaio, il criminale di guerra ma l’eroe che difende gli oppressori contro “l’Ovest colonialista” e l’imperialismo americano.

Anche noi abbiamo un ministro degli esteri, quello dei taxi del mare, che gli ha dato della bestia, senza accorgersi di quante bestie disumane si nascondono nel nostro Parlamento, corresponsabili per ignavia e opportunismo elettorale delle morti in mare di altri profughi, di corpi torturati, seviziati nelle carceri libiche, delle discriminazioni, delle miserie, delle violenze e delle schiavitù che affliggono l’Italia. Nel 2021 sono morti circa 2000 immigrati - in fuga da altre guerre, dalla fame e altre dittature - attraversando terre ostili e un mediterraneo divenuto una tomba a cielo aperto, persone, bambini senza volto e identità, senza un luogo dove i propri cari possano piangerli.

Questo linguaggio maschile di guerra non può essere usato da chi dovrebbe avere un ruolo politico, di portatore di pace e di mediazione. Da chi non dovrebbe rimuovere le responsabilità dell’Occidente e della Nato che, nonostante gli impegni assunti allora con Gorbaciov, in questi anni, dopo il crollo del muro di Berlino, ha abbaiato e si è espansa ai confini della Russia, mentre l’Europa restava colpevolmente a guardare.

Questa guerra non nasce dal nulla, è stata organizzata, concepita e realizzata nel corso di un ventennio, in un mondo globalizzato e interdipendente che si sta sgretolando sotto i suoi effetti. Va fermata, perché l’escalation in atto può diventare incontrollabile, con conseguenze inimmaginabili.  I prodromi vanno ricercati in quanto avvenuto dopo il crollo del muro di Berlino e la guerra del 1999 in Jugoslavia, voluta dalla Nato con la nostra partecipazione. Ci siamo opposti anche allora, noi della sinistra sindacale CGIL, a quel sanguinoso conflitto definito in tanti modi per sfuggire anche allora alla nostra Costituzione. Da allora tutte le guerre più disastrose, violente della Nato sono state giustificate con menzogne e ipocrisia.

Da almeno sette anni gli Usa, la Nato e il Regno Unito hanno armato sino ai denti l’esercito ucraino e formato militari con i loro istruttori. Per anni si è teorizzato e attuato l’allargamento a Est dell’Alleanza atlantica, preparando da parte degli Usa, nel silenzio dell’Europa e dell’Italia, la guerra e non la Pace. Una realtà non confutabile, viste le dichiarazioni non certo rappacificanti e sagge del segretario generale della Nato e del Presidente Biden, che ha anche annunciato l’invio di missili a lunga gittata. Per non parlare del mancato rispetto degli accordi di Minsk del 2014 e delle uccisioni di migliaia di civili negli ultimi otto anni da parte degli “eroi” del battaglione filonazista Azov.

La guerra sta procurando sofferenza e morte di cittadini inermi come di giovani militari che, imbottiti di droghe e di alcool, divengono disumani stupratori, violentatori, torturatori e carnefici senza pietà. In guerra non ci sono regole, prevalgono odi, rancori e vendette, cioè la parte peggiore dell’uomo, dell’eroico maschio guerriero.

Tutto diviene possibile e lecito. Ci porteremo anche dopo la guerra, per decenni, una lunga scia di tutto questo odio nel cuore dell’Europa. Un’Europa che è ancora in cerca di sé stessa, di un’identità e una politica estera degna. Bisogna ricordare che la Russia ne è stata parte essenziale per quattro secoli; l’Europa che vogliamo non esiste senza la Russia. Lo diciamo non perché filorussi ma perché europeisti.

L’Europa oggi per conquistare la pace si affida con cinismo alla Turchia, a un dittatore che vuole sterminare i curdi siriani, mentre per approvare nuove sanzioni si sottopone ai ricatti dell’Ungheria, al nazionalista razzista Orban, costruttore di muri con filo spinato lungo i confini di Serbia e Croazia per respingere disumanamente i migranti, i profughi richiedenti asilo, in fuga dalla guerra in Siria. Un amico di Putin con il quale il ministro della guerra Guerini ha raggiunto, a nome del governo, un accordo per incrementare la cooperazione strutturata in ambito militare, rafforzare l’interoperabilità tra le forze armate, l’addestramento delle truppe e la collaborazione industriale. Lo stesso Pd, solo due anni fa dichiarava che quel regime non avrebbe dovuto far parte della Ue. La real-politik in guerra chiude le menti, rimuove la memoria e offusca le coscienze.

L’Europa incompiuta, che sarà la prossima vittima dei processi geopolitici in atto, evidenzia il suo fallimento, la sua incapacità di costituirsi e di realizzare una politica sociale ed estera comunitaria, mentre da noi il governo dei “migliori”, dell’”uomo solo al comando”, tra tutti i governi della storia della nostra Repubblica ha assunto l’atteggiamento meno autonomo e più servile verso gli interessi di Usa e Nato.

Se vuoi affermare la diplomazia, non lo fai col piano Nato e Usa, inviando cannoni e missili a lunga gittata in grado di colpire il territorio russo. Non è ingolfando di armi l’esercito ucraino che si raggiunge la pace. Armi che tra l’atro saranno messe sul mercato nero o anche utilizzate da altri dittatori.

Non è distruggendo territori, spianando città, affamando intere popolazioni che si costruiscono la Pace, la convivenza e il rispetto tra popoli e culture. Al contrario si ferma il processo di civilizzazione, unica vera arma per procedere al disarmo atomico e alla distruzione degli arsenali militari. Nel mondo ci sono oltre 13 mila testate nucleari di oltre 200 kilotoni, decine di volte più potenti di quella sganciata a Hiroshima, ben 40 sono nel nostro paese nelle basi di Aviano, sotto controllo totale degli USA, e a Ghedi sotto controllo dell’aeronautica militare. 

Ma c’è chi alimenta questa guerra per interessi di potere, traendone enormi profitti. Ci sono le lobby delle armi, le aziende produttrici di cannoni, carri armati, aerei, tra le quali le italiane che stanno utilizzando la guerra per giustificare l’aumento della produzione delle armi a cui vergognosamente è stata tolta persino l’Iva. L’Italia non potrebbe vendere armi a nazioni che non rispettano i diritti umani come ci obbliga la legge 185 del 1990.  

Ci sono ben 52 conflitti in corso nei quali si compiono massacri e orrori, dimenticati dalla politica e rimossi anche da noi, ma ben conosciuti dalle lobby delle armi, comprese quelle italiane.  Se sei contro la guerra occorre affrontare un tema contraddittorio anche per il movimento sindacale: la coerente riconversione delle fabbriche di armi, degli strumenti e dei mezzi che procurano morte in favore di nuovi investimenti pubblici e privati per un’industria di Pace, per strumenti di progresso sociale e civile, per garantire prevenzione, salute, istruzione, ricerca, sviluppo sostenibile e buona occupazione.

C’è bisogno di un immediato cessate il fuoco, di fermare l’escalation militare e l’invio di armi.  Al popolo ucraino mancano la Pace, la vita, il futuro. Vanno cercati e imposti con la mobilitazione del mondo del lavoro, del popolo pacifista, con l’escalation della diplomazia, della politica alta.

Per fermare la guerra, per una Pace duratura, per la sicurezza globale di prospettiva il multilateralismo e la cooperazione alla pari, oltre che un’opportunità, sono sempre più una necessità.  Lo stesso Presidente cinese Xi Jinping, il 21 aprile 2021 al forum For Asia aveva fatto del multilateralismo e della cooperazione l’oggetto di un appello riferendosi alla lotta contro la pandemia, appello tanto più valido di fronte a questa guerra in Europa. La Cina, con il suo pragmatismo, il suo espansionismo e gli scambi commerciali in forte incremento, per esempio con l’America Latina ricca di materie prime, rimane economicamente l’avversario vero degli Usa. La Russia, contro la quale si sta combattendo, rimane invece l’avversario temuto sul piano militare per la sua potenza atomica, per le sue risorse energetiche e il suo rapporto storico con l’Europa.

Per molti analisti internazionali siamo alla fine di “un “ordine” costituito e, nel mondo reale, i tempi sono considerati maturi per un ripensamento delle relazioni internazionali e degli ordini globali, per favorire una nuova globalizzazione finalizzata a ridurre il predominio del dollaro. Si stanno profilando nuovi equilibri geopolitici e nuove sfere di influenza. Non a caso paesi come l’Africa, la Cina e l’India non hanno condiviso le pesanti e controproducenti sanzioni proposte dai paesi occidentali contro la Russia.

Credo che ci aiuterà a capire di più il professor d’Orsi.

Le grandi questioni, gli scontri geopolitici e strategici riguardano l'Italia, l’Europa e il mondo intero perché le conseguenze e le ripercussioni si riverberano e incidono su ogni nazione, ogni stato ed economia.

Abbiamo di fronte tempi difficili: l’Europa, l’Italia subiranno le conseguenze del conflitto ucraino e del lockdown cinese per la pandemia che non è finita.  Si stanno accumulando ritardi devastanti di forniture indispensabili al mercato mondo, al sistema industriale, commerciale e agro-alimentare. Tra poco ci ritroveremo in un mondo che potrebbe veder esplodere non solo una guerra di ordine mondiale, ma quasi sicuramente la guerra degli approvvigionamenti, e potranno manifestarsi risposte nazionaliste e razziste e guerre tra poveri.  L’Ucraina, il famoso granaio d’Europa, è il terzo paese esportatore di grano nel mondo con 20 milioni di tonnellate, il quarto per mais con 24,6 milioni di tonnellate, 10 delle quali verso la Ue, e il primo per i semi di girasole.

Nel prossimo anno la riduzione sarà consistente per effetto del cambiamento climatico, della guerra in corso che riduce la semina e la mancanza di fertilizzanti e di diesel per i macchinari. Ogni crisi, naturale o indotta con le guerre, è stata usata con cinismo da chi detiene il monopolio del grano, dei cereali, per aumentare i propri profitti e il controllo su risorse vitali per le popolazioni.

Già in passato l’aumento del prezzo del grano ha causato rivolte per il pane nel mondo arabo. Oggi l’aumento è di oltre il 40%, e molti paesi già in difficoltà rischiano la carestia e conseguenti rivolte sociali. Stiamo ripiombando nel medioevo. 

Se il numero dei predatori, degli sfruttatori, dei miliardari è in aumento così come il numero dei poveri e delle diseguaglianze è il sistema a dover essere radicalmente ripensato e cambiato. Finché il cibo, l’acqua, la salute, l’istruzione, i diritti fondamentali della persona saranno negati, trasformati in merce in mano alle multinazionali e in un asset finanziario, non ci sarà Pace duratura nel mondo. Anche questa guerra darà vantaggi ai monopolisti, alle multinazionali, alla finanza speculativa, persino alla lobby degli OGM - le multinazionali dei fertilizzanti - che sta ottenendo il via libera al glifosato, il famigerato tossico erbicida. Sono pronti ad approfittare della crisi alimentare e dell’emergenza climatica che ci sovrasta e alla quale non si bada quasi più. Allo stesso modo stanno approfittando le lobby nemiche della transizione ecologica per rilanciare la produzione di energia fossile, riaprire le inquinanti centrale a carbone e rilanciare l’utopia del nucleare pulito. La terra non può essere più sfruttata e colonizzata. Dietro a questo c'è un sistema economico e sociale malato, distruttivo, basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sulla depredazione della terra, delle popolazioni più deboli e povere, su povertà e disuguaglianze. L’ambiente non ci appartiene. Il pianeta non va salvato da noi perché si salverà da solo, mentre è il genere umano che dovrebbe cercare di salvarsi.

Quanto all’Italia, siamo un paese è fragile, segnato da ingiustizie e diseguaglianze di genere, di ceto e di condizione materiale, nei diritti e nelle possibilità, con una disoccupazione e una precarietà di vita e di lavoro che toglie un futuro degno alle giovani generazioni. Il sistema industriale è dipendente per le materie prime, la crisi colpisce molti settori industriali e commerciali come la filiera dell’auto, la componentistica, l’idraulica, l’edilizia, l’abbigliamento, l’agro alimentare; l’elettronica sta subendo gli effetti dei blocchi a causa della scarsità dei chip. La mancanza di queste materie in un paese manifatturiero e di trasformazione come il nostro sta incidendo sulle condizioni materiali delle persone, sull’occupazione e con l’aumento dei prezzi si sta innescando una recessione che sarà pagata maggiormente dai ceti popolari e dal mondo del lavoro. La riorganizzazione delle catene di forniture, comprese quelle del gas, sarà lunga e a breve poche aziende italiane saranno in grado di realizzarla attraverso l’approvvigionamento in magazzino. In un mondo interdipendente c’è un rapporto diretto tra la guerra e la condizione materiale e sociale delle persone, delle lavoratrici e dei lavoratori. Come affrontare questa fase? Certamente Susanna Camusso può aiutarci a rispondere a questa domanda.

Nel cambiamento geopolitico in atto e nella costruzione di nuovi blocchi che si determineranno alla fine di questa guerra, l’attuale Nato non rappresenta la risposta ai bisogni, alle ambizioni, ai progetti e alla sicurezza dell’Europa. L’uscita dalla Nato ritorna a essere una possibilità e una questione ineludibile. Si dovrà governare questa nuova fase con politiche e scelte radicalmente nuove, sapendo che avremo, tra l’altro, anche processi migratori biblici, con interi popoli che saranno spinti alla fuga dalla morte, dalla miseria e dalla guerra.

E si allontanerà, forse per sempre, il sogno di coloro che dal carcere, in pieno secondo conflitto mondiale, pensavano e volevano la costruzione dell’Europa sociale e politica per scongiurare per sempre la guerra.

Infine: Le iniziative sviluppate per favorire il transito, l’accoglienza e il conseguimento degli status giuridici in favore dei profughi ucraini sono un’occasione per ripensare, rivedere le politiche sociali dell’accoglienza, le leggi di sostegno in grado di affrontare un problema strutturale che interesserà e segnerà l’Europa e il nostro paese per molto tempo. Abbiamo vissuto l’ondata dei profughi ucraini, non sono mancati la solidarietà di popolo e l’intervento di sostegno istituzionale; si sono date direttive ai prefetti di privilegiare questi profughi rispetto ad altri. La domanda che rivolgo a tutti gli ospiti è: perché questi trattamenti solidali, di umana accoglienza quando sono rivolte a chi fugge da altre terre, da altre dittature e guerre vengono criminalizzate, giudicate con stupidità e razzismo? Perché?

Se non affronteremo questa nuova fase con lungimiranza e un altro paradigma, la terra sarà sempre in pericolo insieme al genere umano. A quel punto ci sarebbe solo un ritorno al medioevo, ai nazionalismi, alla pulsione “autoconservativa” legata al bisogno materiale, alla sopraffazione dei ricchi nei confronti dei poveri e alla fine di ogni umana solidarietà.

Non c’è nulla di naturale in questo. È responsabilità nostra e del sistema sociale ed economico che costruiamo determinare le tragedie o la salvezza dell’umanità. La distruttività, la violenza, l’odio, la sopraffazione di cui ogni guerra di dominio e di potere è espressione, non sono nella natura dell’essere umano. Se così fosse dovremmo rassegnarci allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, alla distruzione sociale e ambientale del pianeta. Tutti i paesi del mondo viaggiano su una grande nave con un destino condiviso. La politica torni ad avere il suo ruolo dirimente, la diplomazia torni ad essere inclusiva, paritetica, di pari dignità e a riconoscere le ragioni e i diritti di tutti.

La CGIL non è spettatrice ma vuole, dev’essere protagonista del cambiamento e della salvezza della civiltà. Della Pace. Siamo per costruire ponti di dialogo, di riconoscimento, di solidarietà, di eguaglianza nei diritti e nelle possibilità, di giustizia sociale. Siamo per storia, cultura e impegno persone per l’utopia del possibile.

Grazie della pazienza e dell’ascolto.

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