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Conferenza d'organizzazione (settembre2015): intervento di Giacinto Botti

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Il documento sottoposto al confronto in questa conferenza , nel quale Lavoro Società si riconosce, è frutto di un percorso collegiale. 

Siamo a un passaggio dirimente utile a noi e a chi rappresentiamo, e come ha detto Nino Baseotto nella sua relazione, non sprechiamolo. Dopo il congresso, oggi abbiamo bisogno di scelte organizzative innovative e coraggiose, per migliorare e allargare la nostra capacità di rappresentanza, ed esercitare di più e meglio il nostro ruolo contrattuale e negoziale. Non capisco chi chiede di rimandare le nostre scelte. Penso che proprio per i ritardi accumulati, per la situazione economica  e sociale in cui ci troviamo e per l’attacco che subiamo non possiamo permetterci il lusso di scegliere di non scegliere.

Dobbiamo superare i nostri limiti, ritrovando l’identità confederale e quel senso di appartenenza che fanno di noi la più grande organizzazione sociale di rappresentanza in Italia e in Europa.

Il baricentro politico sul quale sperimentare la riorganizzazione è importante, sapendo che migliorare e mettere in sicurezza l’organizzazione è compito e responsabilità del gruppo dirigente e non di altri.

Riappropriamoci con orgoglio di quel senso del NOI, di cui parla Baseotto nella relazione, del valore della solidarietà e dell’etica della responsabilità, per riconoscerci e far conoscere quanto facciamo tutti i giorni con passione e fatica. 

Occorre guardarci dentro per cambiarci.

Nella crisi generale di rappresentanza, siamo attraversati anche noi da burocratizzazione, verticalizzazione, accentramento e uso distorto del potere, da una perdita di appartenenza che ha offuscato, insieme alla militanza, identità e azione confederale.

Dobbiamo certamente spostare risorse, ma contemporaneamente ridurre sprechi, eliminare sovrapposizioni di funzioni, in base all’utilità e al fare concretamente sindacato. Facciamolo senza recidere le radici della nostra storia e della nostra cultura di sindacato generale classista e di rappresentanza del mondo del lavoro, dei giovani e dei pensionati,  rifuggendo il nuovismo ideologico.

L’autoriforma è difficile ma possibile, non si realizza solo con nuove regole statutarie, pur necessarie, ma attraverso il coinvolgimento, la convinzione, la coerenza e la responsabilità di tutto il gruppo dirigente, a partire dagli organismi esecutivi e dai Segretari generali.

La distanza tra quanto scriviamo, decidiamo e realizziamo interroga tutti; è il segno della burocratizzazione ramificata, dell’ “ognuno fa quello che vuole” e della perdita di confederalità.

Oggi bisogna scegliere. L’immobilismo ci penalizza e aiuta chi vuole cancellarci e disconoscere la nostra storia. Noi siamo ancora per l’eguaglianza delle opportunità e delle condizioni, per politiche che mirino a rendere più eguali i diseguali, in Italia e in Europa.

Invece dopo vent’anni scellerati e tante responsabilità siamo regrediti su tutto.

Non rinchiudiamoci nelle roccaforti, agiamo la nostra autonomia di sindacato generale avanzando proposte e sostenendole con le mobilitazioni e l’azione contrattuale coerente a tutti i livelli, in una crisi nella quale la conflittualità tra gli interessi e la contraddizione tra capitale e lavoro non sono preistoria ma attualità.

Il nostro patrimonio è costituito dalla militanza, dall’adesione e la passione di donne e di uomini che hanno deciso dove stare.

Per questo siamo considerati un’anomalia, e sottoposti - oggi con particolare veemenza dal Presidente Renzi e dal padronato, supportati da certa stampa e persino dal nuovo Presidente Inps - a un attacco vergognoso, con campagne false sui presunti privilegi, le poltrone occupate, le ricche pensioni immeritate, la legge 300 e i distacchi.

NOI organizziamo e rappresentiamo milioni di persone, dunque va preteso il rispetto dal mandante di questi attacchi, un Presidente che va giudicato per quello che sceglie e che fa, ma che poco sa del lavoro, fa demagogia sull’uscita dalla crisi, strumentalizza i fatti per denigrare e disconoscere le organizzazioni di rappresentanza generale, alimentando diffidenza nei nostri confronti. Ha deciso di stare con il mercato e l’impresa, con un padronato senza vergogna che non vuole rinnovare i contratti e scarica su di noi le sue gravi responsabilità rispetto alla riduzione del tessuto produttivo e della sua qualità, e a una disoccupazione giovanile insopportabile per un paese che vuole garantirsi un futuro.

Una scelta di campo che si è tradotta nel Jobs Act, e nella volontà di ridurre i diritti, alimentare diseguaglianze e solitudini, diffondere  precarietà, comprimere il diritto di sciopero e ridurre il sistema di protezione pubblico e universale.

L’obiettivo è consegnare all’impresa le conquiste storiche del movimento operaio, insieme allo scalpo della CGIL, restituire il comando al padronato, subordinare il salario al mercato, destrutturare il modello contrattuale svuotando e non rinnovando i CCNL, con quello che rappresentano in un paese dove il 95% delle aziende sono sotto i 10 dipendenti e non c’è contrattazione di secondo livello.

La nostra capacità di opposizione a queste scelte passa dalla contrattazione, dal rinnovo dei CCNL e dalla capacità di rappresentare, riunificare  il lavoro disperso e frammentato.

Contrattare è il nostro mestiere. Siamo riconosciuti per questo.  

La contrattazione inclusiva, rinnovata ed esercitata a tutti i livelli dev’essere il cuore della Conferenza. La priorità è estendere i diritti universali, a prescindere dalla forma contrattuale e dalla dimensione d’impresa, nelle migliaia di luoghi di lavoro dove i diritti sono rimasti fuori dai cancelli. Questa è la vera sfida e qui sta il valore della proposta CGIL del nuovo Statuto delle lavoratrici e dei  lavoratori che, come lo storico Statuto dei Lavoratori del 1970, non sarà regalato ma dovrà essere conquistato.

Il reinsediamento e il radicamento passano dall’azione confederale e contrattuale delle categorie, da quella sociale e territoriale, dalla risindacalizzazione, dalla formazione continua del gruppo dirigente diffuso, a partire dalle delegate e dai delegati. 

Le competenze, il ricambio generazionale, in particolare con energie provenienti dai luoghi di lavoro, devono tornare centrali nell’individuazione dei futuri dirigenti.

I delegati vanno formati, difesi, valorizzati e riconosciuti per il ruolo che svolgono in un contesto difficile; un ruolo fondamentale per accrescere la presenza nei luoghi di lavoro attraverso la contrattazione e il proselitismo. Il tesseramento non è solo fonte di sostegno ma di identità di un’organizzazione militante. E soprattutto, i nostri delegati e delegate, i Rls non vanno strumentalizzati per scontri di potere, o caricati del peso del cambiamento, che rimane in capo al gruppo dirigente.

L’altra centralità è la formazione. 

Il diritto, oltre che all’informazione, a una formazione estesa e di qualità dev’essere reso esigibile. Molto è già cambiato nel lavoro, per l’effetto distorcente della legislazione nella contrattazione e nella riorganizzazione del sistema produttivo. E più difficile fare il delegato e il sindacalista.  Occorre spostare risorse e decisioni verso il basso, valorizzare le Camere del lavoro con le loro articolazioni, ma soprattutto occorrono progetti d’insediamento conosciuti e condivisi, per ricostruire vertenze, conoscenze, proselitismo e partecipazione.

Bisogna stare dove ci sono milioni di lavoratori e di lavoratrici, nelle piccole aziende e in settori come l’artigianato, ancora da conoscere, da rappresentare e da organizzare, utilizzando anche la bilateralità buona, libera da ogni manipolazione o uso distorto, riaffermandone e aggiornandone la natura di strumento di emanazione contrattuale.

La confederalità ritrova centralità e valore attraverso la funzione essenziale delle Camere del Lavoro, delle categorie e dello SPI sul territorio e nei luoghi di lavoro.

Il territorio è un luogo di sperimentazione della contrattazione sociale che incrocia quella aziendale e categoriale, con un’azione sempre più diffusa di ricostruzione di filiere, unificante della condizione di lavoratore e di cittadino, con la quale rilanciare mobilitazioni generali come quella per cambiare la Legge Fornero e per sostenere il welfare pubblico e universale.

Una  contrattazione sociale  è frutto in particolare dell’impegno dello Spi, da valorizzare e da assumere, da estendere ai luoghi di lavoro, superando barriere e divisioni anacronistiche rispetto ai ruoli e alle titolarità.

La titolarità vive solo se viene riconosciuta ed esercitata. 

La CGIL è un’organizzazione complessa; è dunque importante definire scelte generali, dentro le quali ripensarci in tutte le nostre articolazioni.

Siamo un'organizzazione, che ha nella sua concezione di democrazia, nel pluralismo e nella pluralità la sua forza per respingere gli assalti corporativi e populisti. 

Noi non siamo per la delegittimazione del principio della rappresentanza e della democrazia partecipata e delegata, perciò vanno respinte l’idea di una democrazia plebiscitaria e la volontà di trasformare la CGIL in un’organizzazione di opinione pubblica.

Mentre vanno ripensate le modalità con cui si svolgono i nostri congressi, per garantire la reale possibilità agli iscritti e ai delegati di essere protagonisti e contare di più nelle scelte politiche e contrattuali. Per affermare effettiva collegialità, bisogna costruire le condizioni di un coinvolgimento non formale ed estemporaneo, a partire dall’applicazione delle nostre regole statutarie sul ruolo degli iscritti, delle segreterie, dei Segretari generali e dei direttivi, per garantire percorsi di democrazia compiuta dando e riconoscendo a tutti gli strumenti per esercitare il ruolo loro assegnato.

Da noi non si fidelizzano dei clienti ma si tesserano persone, lavoratori, giovani e pensionati ai quali offriamo un luogo di partecipazione democratica, di militanza, di rappresentanza e di lotta collettiva per la conquista di diritti e di contratti.

Occorre rivitalizzare il ruolo dei Direttivi - strumenti decisionali ed espressioni della democrazia di mandato, della rappresentanza plurale - mantenendo il pluralismo programmatico e la ricerca dell’unità e del consenso come valori irrinunciabili, e il confronto tra le posizioni come una ricchezza da valorizzare.

Dobbiamo liberarci da burocratizzazioni e logiche accentratrici e proprietarie presenti nell’organizzazione.

Occorre mettere in trasparenza e in sicurezza l’organizzazione, per salvaguardarla e difenderla, per rivendicare con orgoglio la nostra diversità rispetto ad altri.

Per rispondere, da posizioni non difensive, agli attacchi strumentali e spregiudicati.

Certo, dobbiamo dircelo, non siamo immuni dai mali che attraversano la società, ma abbiamo buoni anticorpi, che vanno rafforzati, per contrastare, correggere e andare avanti con determinazione.

Per farlo occorre senso di responsabilità del gruppo dirigente, affinché non avvenga che i nostri dati sensibili siano dati in pasto agli insani appetiti di certi giornalisti per campagne denigratorie contro la CGIL, o utilizzati in modo cinico e spregiudicato per scontri interni.

Noi non siamo un movimento di opinione, e neppure un evento televisivo, siamo un’organizzazione con le sue regole democratiche, nella quale i dirigenti e i segretari generali sono e devono continuare ad essere eletti nei congressi e negli organismi deputati. A noi il populismo e la mancanza di realismo non sono concessi, e non ci piace l’idea renziana dell’uomo solo al comando.

Questo ci impegna alla coerenza, evitando ammiccamenti inopportuni a forze razziste come la Lega, fomentatrice di odio e pericolosamente vicina ai movimenti neofascisti.

Dobbiamo contrastare, non blandire chi parla alla pancia delle persone, e la drammatica vicenda dell’immigrazione insegna: c’è da rimanere colpiti dalla lezione che arriva a un Nord più ricco, ma anche più disattento ed egoista, da un Sud sicuramente più povero ma più generoso, solidale, capace di accogliere.

Infine. Noi siamo la Cgil, una confederazione dove le generazioni si incontrano, si riconoscono, si rispettano e non si rottamano. La nostra storia e la nostra cultura non sono barattabili, e ogni compagno o compagna del gruppo dirigente deve avere il senso di responsabilità di sapere che la sua persona non può mai venire prima di ciò che rappresenta. Anche in questo consiste il cambiamento, nel sentirsi tutti parte di qualcosa racchiusa in quel quadratino rosso, che va con orgoglio difesa e protetta.

 

Grazie e buona conferenza

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