Documento di formalizzazione dell’aggregazione programmatica “Lavoro Società - per una Cgil unita e plurale”

Premessa
Siamo in presenza di una profonda crisi sanitaria, sociale e economica, strutturale e globale. In questa tragedia globale ci sono enormi responsabilità che non devono e non possono essere rimosse. Un evento tragico che ha frantumato molti dogmi e reso antistoriche le ideologie liberiste fondate sulla centralità del mercato e del profitto, sullo sfruttamento del pianeta e delle persone, sulle diseguaglianze e sulle ingiustizie sociali.La pandemia ha accelerato e drammatizzato la realtà socio economica esistente, ha portato alla luce i limiti e le devianze storiche del paese. Ha messo a nudo una società e un sistema dove tutto si è trasformato in mercato e in profitto; la vita, la salute delle persone, il bene pubblico, la sanità, l’istruzione, l’acqua, l’energia e persino la vecchiaia.
Il dopo non sarà e non dovrà essere come il prima.
Cambiare radicalmente approccio, cultura, valori e il sistema economico e sociale non è una opzione ma una impellente necessità di sopravvivenza. Occorre avere lo sguardo lungo, la testa rivolta in avanti senza rimuovere la realtà.L’opzione in campo non è il ritorno a una impossibile “normalità” ma salvare il pianeta, il genere umano e non il capitalismo e il profitto per pochi. L’impatto della crisi sul sistema italiano, sul tessuto produttivo e sociale è pesantissimo. Anche nel dopo pandemia si ripresenta lo scontro tra interessi, tra le rappresentanze sociali, tra capitale e lavoro.Abbiamo una sfida enorme da affrontare e da vincere, che investe tutte e tutti, che ci responsabilizza individualmente e collettivamente come persone, come dirigenti e militanti della CGIL. Il futuro per le nuove generazioni, la civiltà democratica e del diritto sono a rischio. L’unità del mondo del lavoro è una precondizione necessaria per rinforzare partecipazione e mobilitazione, spostare i rapporti di forza per conquistare ciò che rivendichiamo nelle piattaforme confederali e categoriali.Nessuna semplificazione ci è permessa: la lasciamo ai razzisti, ai nazionalisti e ai populisti della destra. Sappiamo che occorre una visione alta, un progetto di Paese, un modello di crescita e di sviluppo che unifichi popoli e nazioni e delinei e garantisca a tutte e a tutti un mondo migliore. È l’utopia del possibile.La stessa Europa dei Trattati che costituzionalizzano il neoliberismo e la polarizzazione tra centri e periferie, deve essere radicalmente ripensata e riscritta. La discussione sul Mes non va affatto banalizzata ma approfondita (le condizionalità sono scritte nel trattato interstatale istitutivo e non sono cancellate da una lettera della Commissione europea, che non è la titolare del fondo), ma deve divenire parte integrante di un’altra idea e pratica dell’Europa.

La posta in gioco
La posta dello scontro politico nel paese è chiara: chi pagherà il prezzo della crisi di sistema, chi gestirà le risorse del dopo Covid19 e quale segno dare alle politiche economiche e sociali per la costruzione del futuro.Le posizioni del Presidente degli industriali, delle corporazioni e degli interessi privati non vanno sottovalutate. Mirano a sancire il primato dell’impresa privata e a riscrivere le stesse forme della politica, con un attacco diretto ai principi costituzionali, ai diritti conquistati e alla contrattazione.

Un programma di restaurazione sociale
Questione sociale e questione democratica sono sempre andate di pari passo, e devono ricominciare a camminare insieme in questa fase che vede il divorzio sempre più marcato tra capitalismo e democrazia.Dobbiamo essere netti ed incisivi nel contrastare il continuo logoramento del ruolo del Lavoro, delle sue organizzazioni di rappresentanza e del contratto nazionale. Parlare di patti sociali o di accordi triangolari neo-concertativi con la Confindustria-governo è oggi insostenibile quanto impraticabile.
Il Governo Conte deve fare politiche sociali ed economiche radicalmente alternative, se non vuole essere sostituito con una maggioranza ancor più rassicurante per chi vuole che tutto continui come prima, anzi peggio, per il mondo del lavoro e la nostra rappresentanza.La Cgil, con la sua autonomia di giudizio e di progetto, deve rafforzare l’iniziativa nelle piazze e nel paese a sostegno delle proprie proposte: niente ci verrà regalato.Si conquista il consenso sociale, la partecipazione di chi subisce le scelte del Capitale e di Confindustria concretamente, migliorando le condizioni materiali di chi per vivere ha solo la possibilità di vendere la propria forza lavoro, qualunque sia il colore della sua pelle. 

La pandemia ha evidenziato l’essenzialità, oltre a tutto il sistema sanitario pubblico da potenziare e valorizzare, di molti lavori poveri e “dequalificati” (pulizie, mense, agricoltura, logistica, rider, badanti, …) che in termini di precarietà, orari di lavoro e retribuzioni costituiscono spesso il livello più basso delle condizioni salariali e di lavoro.
Si pone con forza e nettezza il tema dalla piena valorizzazione di questi lavori e lavoratrici e lavoratori garantendo stabilità, tempo pieno, salari adeguati, garanzie previdenziali anche con forme ulteriori di defiscalizzazione, quale tangibile contributo generale a lavori che sono e saranno sempre più essenziali.
Gli aumenti salariali di riconoscimento del lavoro prestato, non sostituibili con benefit di nessuna natura, non devono prevedere nessuna decontribuzione, mentre la defiscalizzazione non deve tradursi in mancata incidenza né sui sovraprofitti né sulle rendite, né risultare una semplice riallocazione di risorse all’interno della classe dei salariati, con il rischio di un indebolimento del sistema dello stato sociale.
Occorre l’allargamento del perimetro pubblico, che significa robuste assunzioni nel pubblico impiego, risorse significative per i rinnovi contrattuali, reinternalizzazione di interi settori ed espansione degli ambiti rientrati nelle prerogative di cittadinanza universale. Basta con la teoria e la pratica dello Stato minimo. 

Si rende necessaria una riflessione e riconsiderazione sia del welfare aziendale, oggettivamente in contraddizione con l’universalità della sanità pubblica, sia della seconda gamba pensionistica affidata ad una dimensione finanziaria a redditività decrescente.
La piattaforma sulla previdenza e le modifiche strutturali della legge Fornero e delle iniquità del sistema contributivo come si è delineato fino ad oggi devono restare al centro dell’iniziativa sindacale riconquistando flessibilità in uscita, certezza di pensioni adeguate per lavoratori e lavoratrici con carriera discontinua e occupazioni finora precarie, la fine della rincorsa – sia in termini di età ed anni lavorativi che di rendimenti – della logica dell’aspettativa di vita.
Il ruolo del pubblico in economia è una delle partite più rilevanti: basta dare risorse ingentissime a fondo perduto al sistema delle imprese private, è necessario lo Stato imprenditore. Se il pubblico, Stato, Regioni e Enti Locali, interviene nelle imprese private deve entrare a far parte della compagine proprietaria, determinando scelte ed orientamenti. Basta con la litania dell’intervento residuale e a tempo dello Stato che interviene solo nei fallimenti del mercato. Il mercato ha fallito, è necessario per riprogettare il Paese - imprimendo quella cesura da noi reclamata - che il pubblico decida cosa e come produrre nei settori strategici, nei beni comuni, servizi pubblici locali e monopoli naturali.
Creare buon lavoro non basta, dinanzi a un costante aumento della disoccupazione che colpisce in particolare le nuove generazioni e le donne, deve essere anche redistribuito attraverso la riduzione degli orari a parità di salario. Non vanno incentivati il lavoro precario e a tempo determinato. 

La sfida della “ripresa” dall’emergenza Covid e dalle sue conseguenze sociali ed economiche può e deve trasformarsi nell’opportunità di un qualificato intervento pubblico mirato ad una necessaria riconversione economica e produttiva nell’ottica di uno sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile.
L’intervento pubblico diretto deve garantire, oltre al potenziamento della scuola pubblica e del sistema sanitario-socio-assistenziale, soprattutto in tema di servizi territoriali, domiciliari e di prevenzione, una forte riconversione del sistema produttivo, a partire dall’industria pesante e inquinante, dalla riconversione dell’industria bellica.
Una nuova mobilità collettiva a basso consumo energetico e capace di connettere anche le aree più remote del paese, da un piano di riqualificazione del territorio, a partire dalle aree interne, un piano di edilizia pubblica residenziale, non con nuove costruzioni, ma con la riabilitazione, ristrutturazione e uso sociale del vasto patrimonio edilizio inutilizzato.
Politiche innovative, basate sulla programmazione territoriale, su piani settoriali che partano dalla valorizzazione del lavoro stabile, di qualità, manuale e intellettuale, dal “ripopolamento” e dal lavoro qualificato ai giovani del e nel mezzogiorno.
In questo quadro, il tema delle migrazioni non è affatto marginale. Una nuova politica dell’immigrazione che, con la cancellazione definitiva dei decreti razzisti “Salvini”, chiuda la fase securitaria e discriminatoria e favorisca i canali di accesso regolari per ricerca e avvio al lavoro – in un quadro di piena uguaglianza con gli autoctoni – costituisce un elemento importante e complementare alle politiche economiche e sociali per la “ripresa” di un paese che vive da decenni una strutturale crisi demografica.
Centrali rimangono la redistribuzione della ricchezza e una vera riforma fiscale capace di colpire l’evasione e tassare i grandi patrimoni, con una lotta serrata alla rendita immobiliare e finanziaria.

L’iniziativa della nostra Organizzazione contro il Jobs Act ed a sostegno della Carta dei diritti universali del lavoro sta avendo in sede di pronunciamenti a livello nazionale ed europeo importanti successi: dobbiamo chiedere con forza al Governo sia una legge su rappresentanza e rappresentatività – che rafforza e tutela il ruolo delle Organizzazioni sindacali - che il ripristino potenziato dell’articolo 18, che permette di far vivere posizioni autonome dei lavoratori e delle lavoratrici e delle loro RSU e RLS all’interno dei posti di lavoro. Un Sindacato senza delegati è un sindacato istituzionale che vive di riconoscimenti triangolari. La Cgil della Carta dei diritti, del sindacato di strada e della contrattazione inclusiva vive solo se è possibile poter fare i delegati con un minimo di tutela a fronte delle rappresaglie padronali in un quadro di disoccupazione e sottooccupazione.

 

La CGIL unita e plurale
Dopo il Congresso e l’elezione a Segretario generale CGIL del compagno Landini, la CGIL con il documento congressuale, in continuità e coerenza con le scelte e le mobilitazioni fatte per il lavoro, contro la precarietà e la difesa dell’articolo 18, le elaborazioni strategiche negli anni precedenti, rimane un punto di riferimento sociale per milioni di lavoratori e di cittadini; l’aspettativa rimane viva e forte anche nel dramma sociale che ha prodotto la pandemia.
Ci aspetta come CGIL una fase complicata e difficilissima, nella quale non dobbiamo mai smarrire il valore e l’identità di sindacato confederale e il nesso tra radicalità della proposta e la capacità di mobilitazione e raggiungimento di avanzamenti positivi, seppur parziali, per il largo mondo del lavoro dipendente e subordinato, per le nuove e le future generazioni.
Una fase, in cui, pur con le difficoltà dovute alle misure di distanziamento, il ruolo degli organismi dirigenti della confederazione, Direttivo nazionale e Assemblea generale, organismi rappresentativi del pensiero e del pluralismo presente nell’organizzazione, deve tornare centrale, superando la pratica di riunioni di “organismi di fatto ed extrastatutari” come le riunioni dei segretari generali, che stanno politicamente diventando di fatto sostitutive degli organismi statutari.

Il nostro percorso al congresso non è stato solo organizzativo o di posizionamento. È stato un percorso ideale e valoriale, per continuare a far vivere dentro la CGIL il sindacato classista, confederale, partecipativo e per valorizzare il marxismo come teoria e prassi dell’agire sindacale, praticando i valori dell’uguaglianza, della lotta contro lo sfruttamento degli esseri umani e della natura, contro la barbarie dell’economia capitalistica e dell’imperialismo. La lezione di Marx sulla natura e le gravi distorsioni del capitalismo (sfruttamento, diseguaglianza e concentrazioni di potere e di ricchezza), per noi è ancora attuale. La società è ancora divisa in classi, e un Paese, senza riconoscimento della composizione sociale del suo popolo, è un’entità astratta; destra e sinistra non sono e non possono essere uguali, e le distinzioni tra esse non sono superate.
Le idealità come riferimento, orientamento valoriale nelle scelte, nel disegnare un progetto e un orizzonte restano antidoti al populismo dilagante.

Noi pensiamo alla CGIL come a un bene comune, da preservare e da rinnovare costantemente. Un soggetto politico generale di rappresentanza sociale, forte della su unità e di una democrazia partecipativa, di un pluralismo delle idee e di pensiero. Per la CGIL del futuro il miglior anticorpo contro la burocratizzazione e la pigrizia mentale è il pluralismo, riconosciuto e valorizzato su basi culturali e programmatiche.

Siamo  convinti   che   in   un’organizzazione   democratica,   burocratica   e   di   massa,   occorra riconfermare una ridefinita sinistra sindacale, non fatta da “guardiani della linea”, o da grilli parlanti. Ma parte e risorsa dell’organizzazione, che, nella dimensione della maggioranza politica e di governo dell’organizzazione stessa, contribuisca con idee “radicali” e innovative e, soprattutto, con pratiche coerenti a innervare la CGIL del futuro e a sostenere a realizzare il Piano del Lavoro e la Carta dei diritti, la linea approvata dal Congresso, le elaborazioni e le proposte contenute nell’ultimo documento “Dall’emergenza al nuovo modello di sviluppo”.
Il congresso e le sue conclusioni unitarie non azzerano la dialettica politica e il confronto sul merito sindacale e sul futuro della CGIL. Le stesse scelte organizzative in atto e quelle che saranno decise con la prossima conferenza di programma e d’organizzazione, rispetto le quali occorre coinvolgere tutto il gruppo dirigente e gli organismi decisionali, confermano la ricchezza e la risorsa di un pluralismo programmatico e delle idee.

La sinistra sindacale, della quale abbiamo fatto e facciamo parte, ha la sua lunga storia di collettivo organizzato con forte senso di appartenenza e di responsabilità, all’interno delle regole democratiche dell’organizzazione.
In ragione di questa storia e dell’esperienza vissuta dopo in congresso, continuiamo a pensare che il pluralismo programmatico, delle idee e di pensiero sia il collante che rafforza il senso di appartenenza alla CGIL, e che debba essere la ricchezza e la caratteristica fondante in una organizzazione complessa come la nostra, per sfuggire anche dalla tentazione di accentramento delle decisioni e dannose pratiche di accordi tra strutture o di potere.
Per questo, per poter partecipare a pieno titolo, con il riconoscimento e l’agibilità e le modalità nelle forme previste dallo Statuto e dalle nostre prassi democratiche, formalizziamo la costituzione dell’aggregazione della sinistra sindacale confederale denominata “Lavoro Società- Per una CGIL unita e plurale”.
Continueremo a essere una aggregazione di pensiero e di proposta aperta e plurale, di idee e di valori, non per chiuderci in un recinto o distinguerci ma per dare un nostro contributo collettivo e individuale a sostegno delle scelte assunte, con coerenza, lealtà e responsabilità verso l’organizzazione e il Segretario Generale.
Manifesteremo liberamente il nostro pensiero e la nostra critica tramite i canali dell’organizzazione così come previsto dalle nostre regole statutarie, come una aggregazione tesa al confronto, di proposta, di formazione e di cultura diffusa.
Un luogo collettivo di un sentire plurale, non luogo di distinzione o di differenza ma di crescita, di ricchezza e appartenenza alla CGIL. C’è bisogno di un pensiero alto, di scelte radicali, di un nuovo protagonismo del mondo del lavoro, di un avanzamento di analisi e di ricerca sulla realtà, di un rinnovato insediamento nei luoghi di lavoro e una maggiore rappresentatività del mondo del lavoro, di ieri e di oggi, con la nostra cultura e la nostra storia di sindacato generale.

 

“Lavoro Società- Per una CGIL unita e plurale”

Roma, ottobre 2020

 

 

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