Sono 106, 1.116, 2.500: numeri di stragi intollerabili da non dimenticare - di Giacinto Botti

Il 2021 si è concluso con uno sciopero generale giusto e opportuno. Le ragioni alla base di quella mobilitazione sono più che mai valide oggi. Il governo dei migliori, dell’ambizioso presidente “solo al comando”, liberista e tecnocrate, ha fallito la sua “mission”, il Paese è senza prospettive per il futuro. Un governo più attento alle necessità dell’impresa e del mercato che ai bisogni e alla salute dei cittadini, dei pensionati, delle lavoratrici e dei lavoratori.

Assistiamo alla continua deriva culturale del Paese, all’indegno spettacolo politico sul futuro Presidente della Repubblica, con una destra impresentabile che candida un pregiudicato, un piduista. La Costituzione antifascista è bistrattata e inapplicata da troppo tempo, e la politica sta scavando un pericoloso solco tra sé e i cittadini.

La pandemia ha insegnato poco o nulla. Il 2022 si ripresenta con gli stessi gravi problemi strutturali, le stesse emergenze sanitarie, occupazionali e ambientali. Restiamo un paese diseguale, senza memoria, che rimuove, assimila, giustifica persino tragedie, stragi che hanno caratterizzato anche il 2021. Morti violente che, sebbene dovute a cause diverse, sul piano sociale e politico sono legate da un filo rosso, una questione sulla quale si misura la civiltà di un paese.

Ci riferiamo ai drammatici numeri, sottostimati, delle morti che hanno insanguinato l’Italia: 116 donne vittime di femminicidio, 1.116 lavoratrici e lavoratori morti sul lavoro nei primi undici mesi (probabilmente il dato reale è vicino a 1.400, includendo quanto “sfugge” all’Inail) e oltre 2.500 migranti morti, affogati nel Mediterraneo o di freddo e di stenti, nei lunghi percorsi di fuga dai loro paesi per raggiungere l’Unione europea. Stragi, assassinii che non si possono tenere distinti: a tutte e tutti loro sono stati rubati vita e futuro.

Non si può cedere all’assuefazione, dimenticare o nascondersi dietro all’indignazione di facciata. Le violenze che hanno come causa il genere, l’orientamento sessuale o religioso, il territorio o la classe sociale, il reddito, l’istruzione, l’età, la salute, la nazionalità vanno contrastate nel loro insieme, perché la radice di ognuna risiede nella discriminazione, nel sopruso e nell’oppressione.

Dietro a questi tragici numeri ci sono persone, storie, esistenze che hanno vissuto e pagato la violenza del potere e del possesso, della diseguaglianza, dell’oppressione, dello sfruttamento e della discriminazione. Morti non per fatalità, destino o causalità ma per responsabilità individuale e collettiva, per un sistema capitalistico di sfruttamento e una cultura proprietaria arcaica di cui noi uomini facciamo fatica a liberarci. Per l’irresponsabilità di Stati, nazioni, dittature in lotta per la supremazia, che erigono muri e respingono gli immigrati e i profughi.

La violenza contro le donne, i femminicidi, le morti sul lavoro o di chi scappa per fame, miseria e guerre, aumentano durante le crisi di sistema; numeri terribili, di guerra, che insanguinano la nostra civiltà, espressione della profonda crisi culturale e sociale della nostra democrazia. Dietro a queste stragi c’è la cultura del potere e del possesso, il potere patriarcale maschile contro le donne, il potere padronale contro lavoratrici e lavoratori, il potere degli Stati e dei governi contro i profughi e i migranti. Dobbiamo contrastarne le cause specifiche, comprendendo anche come interagiscono e come si moltiplicano.

Sono lotte di civiltà, di cultura e di giustizia sociale che si vincono e si perdono insieme, come dimostra la nostra storia: il Paese è cambiato quando la lotta per i diritti sociali si è riconosciuta e ha trovato unità e condivisione con quella per i diritti civili. Solo con una visione generale e lo sguardo alto possiamo affrontare queste contraddizioni trasversali senza farci schiacciare.

I diritti sociali, i diritti civili e l’avanzamento culturale della società sono parti di un terreno comune, non separabile se vogliamo sconfiggere l’oscurantismo, il senso di proprietà sulle persone, se vogliamo fermare l’arretramento culturale in atto.

Senza una cultura del rispetto, della prevenzione e della salute, senza l’affermazione del valore dell’eguaglianza e delle pari opportunità, senza la responsabilità sociale della politica e degli imprenditori, le leggi sulla carta divengono gusci vuoti, pura immagine.

Occorre conoscere e farsi carico di questa realtà per cambiarla. Continuare a inorridire dinanzi a queste stragi è l’antidoto per restare umani, sognatori caparbi impegnati non a fotografare la realtà ma a trasformarla, trasformando noi stessi. Continuare a sognare e a lottare insieme alzando lo sguardo fuori dal proprio recinto, affinché ogni anno possa dirsi veramente “nuovo”.

L’auspicio per il 2022 è che sia davvero un anno di cambiamento, di solidarietà, di riscatto sociale, di lotta e di speranza, di libertà e di eguaglianza nei diritti e nelle possibilità. È un’utopia del possibile, ma nulla ci sarà regalato. La Cgil può conquistare, non da sola, questo possibile. l

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