Sindacati e movimenti si preparano per la COP21 di Parigi. Solo un nuovo modello economico e sociale, basato su produzioni sostenibili, lavoro dignitoso e giustizia sociale può evitare la catastrofe climatica

Fra otto mesi circa, a Parigi, si svolgerà la 21° conferenza ONU sul clima. Un’opportunità unica per definire un accordo globale ambizioso e vincolante. Ma i risultati sono ancora tutti da conquistare. La conferenza sul clima di Lima del dicembre scorso è stata l’ennesima occasione persa da parte dei Governi, ma è stata, invece, una grande prova di convergenza del movimento globale per la giustizia climatica. Il movimento, formato da sindacato, movimenti sociali, donne, campesinos, indigeni e associazioni ambientaliste, ha sancito l’impegno a proseguire la mobilitazione per tutto l’anno, in tutti i paesi del mondo, verso la conferenza di Parigi. L’idea che lega le lotte per la giustizia sociale e ambientale è: cambiamo il sistema, non il clima, lottare contro il neoliberalismo, il razzismo, il colonialismo, il patriarcato, la dominazione del mercato del carbone, dei fossili e dell’estrattivismo. Cambiare il sistema significa opporsi alla criminalizzazione della lotta, difendere il diritto alla protesta e i beni comuni, lottare per la sovranità alimentare, intesa non solo come diritto dei popoli all’alimentazione ma anche come diritto di decidere cosa e come produrre e come distribuire il cibo, in contrasto al crescente potere delle multinazionali nel sistema di sfruttamento della terra, di produzione e distribuzione alimentare. Cambiare il sistema è lotta per garantire la giustizia sociale, la piena occupazione, la giusta transizione, il lavoro dignitoso e l’accesso universale alla protezione sociale. Un cambiamento che richiede una lotta coordinata fra livello globale e locale. Nel nostro paese c’è tanto da fare. Il Governo Renzi sulle questioni ambientali e energetiche sta imponendo una inaccettabile deriva antidemocratica. Tutti i poteri decisionali sono trasferiti dagli enti locali ai commissari, se non addirittura al Presidente del Consiglio, annullando qualsiasi forma di partecipazione democratica. Gli ultimi provvedimenti legislativi, dallo Sblocca Italia alla Legge di Stabilità, promuovono la privatizzazione dei servizi pubblici locali, compresa l’acqua, l’estrazione di petrolio e gas, in terra e in mare, gli inceneritori, i gasdotti e i rigassificatori. Le poche risorse disponibili vengono stanziate per grandi eventi e grandi infrastrutture, tanto care a una certa politica e imprenditoria corrotte, ma che nulla hanno a che vedere con le reali esigenze delle popolazioni né con il bisogno urgente di rilanciare uno sviluppo sostenibile e nuova e qualificata occupazione. Mancano, infatti, le risorse per la manutenzione del territorio, per la riduzione del rischio idrogeologico, per la messa in sicurezza e la riqualificazione energetica degli edifici pubblici, a partire dalle scuole, per la realizzazione di impianti di produzione e distribuzione di energia da fonti rinnovabili, tutte opere indispensabili per il nostro paese, con importantissime ricadute occupazionali. Portare avanti nei prossimi mesi la mobilitazione per la giustizia climatica, in Italia, richiede innanzitutto la consapevolezza di dovere cambiare il sistema economico e sociale in maniera radicale: dire no alle fonti fossili di energia e promuovere un sistema energetico democratico e decentrato, azzerare il consumo di suolo, ripensare un sistema di mobilità intelligente, pretendere le bonifiche e il risanamento del territorio, avere una gestione responsabile delle risorse, difendere i beni comuni e il diritto all’autodeterminazione delle popolazioni. 

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