Unilever è quello che trovi sul tavolo di casa quando fai colazione o pranzi. Ma anche nel ripostiglio quando devi pulire i pavimenti o fare un bucato, in bagno quando fai una doccia. Nel mercato italiano Unilever è il marchio dei marchi: Lipton, Knorr, Calvé, Algida, Magnum, Carte d’Or. E ancora: Dove, Axe, Mentadent, Sunsilk, Clear, Cif, Coccolino, Lysoform, Svelto. Può bastare?

Con sede centrale a Roma e quattro stabilimenti produttivi nella penisola, Unilever impiega oltre tremila dipendenti. Le quattro fabbriche di Caivano (Napoli), Sanguinetto (Verona), Casalpusterlengo (Lodi) e Pozzilli (Isernia) sono stabilimenti tra i più avanzati in Europa per dimensione, sicurezza, tecnologia, rispetto dell’ambiente e produttività. Eppure, come ogni rosa, anche Unilever ha le sue spine. Alla voce deindustrializzazione sul dizionario si legge: “spostamento di fabbriche e aziende dovuto soprattutto a motivi di natura economica”. La mente corre alla Campania, dove c’è la sede dell’Algida dal 1975, per la precisione a Caivano, nell’area industriale di Pascarola. Il polo industriale si è fatto conoscere anche e soprattutto per la sua attenzione all’ambiente e al territorio. Ma dal 3 novembre scorso è passato alla cronaca per un altro fatto, non propriamente un merito: due mesi di cassa integrazione a zero ore per circa 620 dipendenti full time (nello stabilimento sono presenti anche circa 190 lavoratori part-time).

Carmine Franzese lavora in Unilever come operaio specializzato dal 1991. “In ventiquattro anni ho conosciuto luci e ombre, cambiamenti positivi e imprevisti negativi, cali di produzione e sacrifici per i lavoratori”. Franzese ha anche una lunga esperienza sindacale, in Flai Cgil, delegato della Rsu per dieci anni dal 2006. La Unilever di Caivano dava l’impressione di essere un esempio opposto a quello delle multinazionali in fuga dall’Italia. Fabbrica di gelati, leader nel mercato italiano e sito più grande d’Europa, per lei sembrava valere il detto latino hic manebimus optime. Si era, addirittura, impegnata a rafforzare lo stabilimento entro il 2014 in tecnologie e produttività, assicurando a Caivano un ruolo di rilievo nello scenario globale dei siti produttivi. Ma Franzese e i suoi compagni di lavoro all’improvviso si sono trovati in un altro film. “Hanno cambiato le strategie sul sito, relegandolo a un ruolo non più strategico nei confronti dell’Europa e degli stabilimenti tedeschi e inglesi, con un lungo stop in cassa a zero ore, da novembre a gennaio”. Cattiva notizia.

Secondo la multinazionale anglo-olandese con sede in Svizzera, crisi congiunturale a parte (le piogge che hanno funestato la scorsa estate) ci sarebbe un problema di bilancio. “L’impianto di Caivano presenterebbe un costo del lavoro troppo alto rispetto agli altri due siti produttori di gelati di Heppenheim, in Germania, e di Gloucester, in Inghilterra, dove Unilever ha già provveduto a trasferire parte delle produzioni napoletane. Ma la corsa al minor costo è un cane che si morde la coda. Va a finire che ci troviamo di fronte a cinque fabbriche in continua competizione fra loro, con una costante riorganizzazione del lavoro nel tentativo di ridurre i costi”. Quasi inutile dire che nella grande fabbrica di Pascarola, il costo del lavoro è giudicato poco competitivo soprattutto a causa dell’eccessiva fiscalizzazione. Il peso delle tasse, insomma.

Quando si parla di cornetti e sorbetti il problema del meteo incombe sempre. I battaglieri sindacalisti dell’agroalimentare si sono spesi e si spendono perché il lavoro all’Algida non diventi stagionale. Impossibile pensare a una struttura così grande e complessa, con tanti operai, che lavori soltanto alcuni mesi all’anno. “L’azienda non ha dato risposte chiare – sottolinea Franzese – anzi ha prospettato un 2015 con volumi produttivi ridotti rispetto al 2014, con 10-12 milioni di litri in meno e una conseguente nuova organizzazione del lavoro”. La legge Fornero e il jobs act sono altrettante incognite su presente e futuro dei lavoratori. Una piaga biblica. Piove sempre sul bagnato.

La paura è che dietro l’angolo ci sia il pericolo di uno scippo progressivo del cornetto Algida, del sempreverde Magnum e delle irresistibili vaschette. In pochi anni sono già stati chiusi due stabilimenti dell’Algida, quello di Cagliari e quello di Roma: migliaia di posti di lavoro persi. Intanto dal 2008 a Caivano sono stati fatti sacrifici, sono andati in mobilità volontaria e incentivata 170 dipendenti. Ora a Milano arriva l’Expo, Franzese spera che possa essere “un’occasione per rilanciare un marchio famoso nel mondo”. Ma soprattutto incrociamo le dita perché l’estate 2015 sia bollente. E scaldi i cuori degli innamorati. 

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