Dopo la sentenza della Consulta, riprende con forza la mobilitazione del pubblico impiego. La piattaforma discussa in tre grandi assemblee nazionali ha un obiettivo ambizioso ma necessario: aprire la stagione dei contratti di filiera

“Illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico”, questa, in grassetto, la dicitura scelta dalla Corte Costituzionale per annunciare la sua recente pronuncia. Sarà molto interessante leggere la sentenza, appena sarà pubblicata, per comprenderne pienamente la portata. Ed avere la conferma che il vincolo di bilancio, inserito recentemente in Costituzione, produce l’ennesimo effetto deleterio, negando cinque anni di arretrati contrattuali. Le stime, pur aggiornate per difetto, dicono che la perdita media per un dipendente pubblico, rispetto allo stipendio attuale, si attesta al 10,5%. La partita sui rinnovi, da un punto di vista contabile, si giocherà nella legge di stabilità 2016. Ad oggi si prevedono risorse largamente insufficienti: 1,6 miliardi nel 2016, a salire nel 2017 e nel 2018.

Le categorie del pubblico impiego di CGIL, CISL e UIL hanno subito rilanciato la mobilitazione, convocando tre grandi assemblee nazionali, nord, centro e sud, e una manifestazione nazionale, a Roma, per il 29 luglio. Le assemblee sono state l’occasione per discutere le piattaforme, e chiedere immediatamente una convocazione al governo per l’apertura della negoziazione.

Cinque anni di blocco contrattuale hanno pesato enormemente sulle condizioni salariali, sulle prospettive di riqualificazione professionale, sull’organizzazione dei servizi. L’operazione degli ultimi governi è stata quella di “rilegificare” i rapporti di lavoro, facendo precipitare il pubblico impiego all’indietro di oltre vent’anni. Risale infatti al 1993 la grande stagione delle riforme, sostenuta dalla Funzione pubblica della CGIL, che portò anche nelle amministrazioni pubbliche la contrattazione, il conflitto sindacale, la contrattazione integrativa. Da lì bisogna ripartire per rilanciare un nuovo protagonismo, attualizzato alle sfide poste da una contrattazione inclusiva, che ricomponga ciò che, in questo sinistro ventennio, è stato frammentato.

Ecco quindi che la piattaforma si pone, nelle sue premesse, un obiettivo ambizioso ma necessario: aprire la stagione dei contratti di filiera. Tre tornate contrattuali per creare un progetto unico sulle Funzioni Centrali, un piano di rientro delle tipologie contrattuali dei servizi locali, la realizzazione del contratto unico della sanità, il contratto unico dei servizi socio-sanitari assistenziali.
Rimettere al centro il contratto nazionale, un congruo recupero salariale, le risorse per dare respiro alla contrattazione integrativa, significa tornare a parlare di servizi e funzioni pubbliche, quindi di diritti di cittadinanza. Ma significa anche fare un’ operazione politica che guardi alle mutate condizioni generali, ed abbia come quadro di riferimento l’Europa e il contrasto alle azioni della Commissione europea, della Banca centrale e del Fondo monetario internazionale. Basta leggere i contenuti dell’accordo votato dal parlamento greco per avere la conferma dell’ormai avvenuta cessione di sovranità alla troika: licenziamenti collettivi e riduzione ulteriore dei dipendenti pubblici, fra gli altri.

Sono le stesse prescrizioni che lo scolaretto Renzi, dopo Letta e Monti, sta mettendo pedissequamente in atto. E’ quindi evidente la complicazione della stagione contrattuale, sia nel lavoro pubblico che in quello privato. Riappropriandoci di un vecchio titolo di Agenda 21 sullo sviluppo sostenibile, occorre agire localmente e pensare globalmente. Solo dal movimento dei lavoratori può nascere un progetto politico per il futuro. La CGIL deve farsene carico.

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