Beniamino era di quei compagni che sapevi che c’era. Un lungo impegno nella scuola, che viveva con grande passione, ed un’attenzione a non chiudersi mai, a vivere anche la quotidianità con lo sguardo sul mondo.
Forse per la sua formazione Valdese, forse per l’esperienza nel mondo dell’istruzione, amava argomentare. Difficilmente usava toni acuti per affermare un punto di vista o sottolineare una posizione.
Aveva una convinzione, credo, che bisognasse continuare a progettare il che fare, il come essere immerso nella realtà per proporne il mutamento. Racconta la sua compagna che nemmeno la malattia, feroce seppur rapida, l’ha cambiato. Continuava ad avere progetti, continuava ad immaginare le cose da fare, i suggerimenti da dare.
Nella CGIL ha militato attraversando la fase della sua trasformazione, dalle componenti al pluralismo congressuale.
Si è appassionato a quell’idea della pluralità della nostra dialettica avendo saldissimo il principio che si partecipava, si apparteneva a una grande organizzazione che aveva bisogno di condividere, non di separarsi.
Il profondo senso della lotta all’ingiustizia, piccola o grande, lo guidava sempre. Per questo era affascinato dai temi sociali, più annoiato dalla tecnica, ma proprio per questo, per questo senso della giustizia, lui c’era sempre.
Ci ha lasciato prima che potessimo immaginare che sarebbe successo, ci ha un po’ spiazzato, ha determinato, almeno per me, un senso di vuoto, la necessità di elaborare un ricordo compiuto perché la perdita non si tramuti in assenza della lunga stagione condivisa.
Susanna Camusso


 

Compagno di lotta e di memoria

Beniamino lo abbiamo salutato il 16 luglio. Se ne è andato lasciando un bel ricordo in tutti noi.
Il suo sorriso e la sua riservatezza erano i segni di una personalità mite e saggia, generosa e sensibile. Un tratto di umanità che lo accompagnava sempre.
Gli piaceva fare il sindacalista, diceva sempre che stare dalla parte dei più deboli per una persona di sinistra come lui era prima di tutto un obbligo naturale, poi una scelta di vita.
E’ con questa convinzione che si è impegnato tanto nella scuola e per la scuola, per i giovani, per i lavoratori e infine per gli anziani.
La sua attenzione verso gli anziani era sincera, così come sincero era il suo rammarico quando qualche cosa non funzionava, e non riusciva a risolvere i tanti problemi che la società creava ai pensionati e alle pensionate.
I temi del benessere che lo Spi gli aveva affidato sono diventati punti importanti e prioritari in ogni piattaforma per la contrattazione sociale.
Benessere e condizioni di vita di chi non era più giovane sono stati il pensiero e l’azione che lo hanno sempre accompagnato in tutti gli anni che è stato con noi.
Quando la malattia lo ha aggredito violentemente, non ci volevo credere, mi sembrava impossibile.
Ancora oggi, a distanza di qualche mese, mi capita di sentire la sua voce che chiede di potermi parlare, e riesco a rivedere il suo viso sempre sorridente che mi spiega una nuova idea per il benessere degli anziani.
Scherzi della vita? No, semplicemente ricordi di un’amicizia che nessuna malattia può cancellare.
E’ stato un dirigente dello Spi che nessuno di noi dimenticherà. Un compagno di lotta e di memoria, che ha intrapreso un viaggio che lo ha portato lontano, ma sempre vicino a tutti noi.
Carla Cantone


 

Il pezzo di strada che abbiamo fatto insieme

E’ molto difficile ricordare in poche righe la figura di Beniamino Lami come sindacalista e come persona. E’ difficile perché un pezzo importante del suo percorso sindacale, prima dell’impegno nello Spi Cgil, e’ stato il medesimo mio percorso. Entrambi proveniamo dal Sindacato Nazionale Scuola Cgil e abbiamo attraversato una fase complicata ma entusiasmante della storia di quella categoria. Beniamino infatti è stato uno dei protagonisti della costruzione di quel progetto, di quella felice intuizione che è la Federazione lavoratori della conoscenza. Credeva fermamente che fosse necessario ricomporre il complesso mondo di chi lavora nei sistemi dell’istruzione formazione e ricerca, non ovviamente in termini organizzativi, ma come prospettiva ideale coerente con l’idea di una società della conoscenza. La tutela del lavoro di chi opera in questi settori si è sempre coniugata, per lui e per tutti noi, con la difesa del diritto all’istruzione per tutti e per ciascuno, quale diritto indisponibile e prioritario.
Come sindacalista aveva il grande pregio, in controtendenza forse con i tempi, di riuscire ad esprimere le proprie idee, anche duramente critiche, con grande pacatezza. Non ricordo di averlo mai sentito alzare la voce, neppure nelle fasi di maggior contrapposizione. Nonostante ci siamo spesso trovati su fronti diversi, lui come leader dell’area congressuale di Lavoro e Società, non è mai venuto meno il rispetto. Questo è un altro tratto che voglio ricordare: Beniamino riconosceva l’altro pur nelle diversità di opinioni, ruolo e funzioni e questo gli consentiva di fare sintesi alte. Perché al di là di tutto e prima di tutto c’era sempre l’attaccamento fortissimo alla casa comune, la Cgil.
Queste caratteristiche ne facevano una bella persona oltre che un bravo sindacalista. Era semplice e profondo. Nascosta poi nel suo carattere molto riservato c’era una vena ironica e divertente che ridimensionava atteggiamenti paludati e super ego.
Termino con un ricordo personale. Beniamino era un bravo fotografo e aveva documentato con i suoi scatti tanti momenti della storia sindacale degli ultimi trent’anni. Ogni tanto mi capitava di ricevere messaggi di posta senza testo o con solo “ciao” con allegate vecchie foto di una manifestazione, un evento, un congresso. Erano regali e al tempo stessi messaggi che affidavano solo alla potenza delle immagini, i ricordi e le parole. Il senso era chiaro, era come se mi volesse dire: “questa è la nostra storia, questo è il pezzo di strada sindacale che abbiamo fatto insieme, non dimentichiamolo mai”.
Gianna Fracassi


 

“Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho serbato la fede”

Parlare di Beniamino Lami per me significa riguardare tutta la mia vita.
Lo conobbi alla fine degli anni ‘70. Io ero un studente delle medie superiori e lui – che aveva una dozzina di anni più di me – rappresentava uno di quei compagni “che avevano fatto il ‘68” da cui c’era tanto da ascoltare e da imparare.
Lo incontrai alle riunioni della FGEI – la Federazione Giovanile Evangelica Italiana – che raggruppava su una posizione di forte impegno politico e sociale i giovani delle chiese evangeliche. Due “parole d’ordine” possono forse dare il senso di cos’era la FGEI in quegli anni: “ci confessiamo cristiani, ci diciamo marxisti” e “la predicazione dell’evangelo nel contesto della lotta di classe”.
Parallelamente Beniamino faceva parte del “gruppo residente” di Agape, il Centro Ecumenico della Chiesa Valdese, sito a Prali, nelle vallate valdesi. Agape era caratterizzata da decenni come struttura di ricerca teologica e politica di “frontiera”. Ad Agape aveva tenuto i suoi seminari il gruppo dei Quaderni Rossi (di cui facevano parte alcuni dei fondatori della FGEI), ad Agape passarono quasi tutti i leader delle lotte di liberazione in Africa come i più importanti teologi dell’epoca e migliaia di militanti e dirigenti sindacali e politici. Far parte del gruppo residente di Agape per me voleva dire far parte di una “elite”, punta avanzata della trasformazione: nella chiesa come nella società.
In terzo luogo con Beniamino ci incontrammo a Democrazia Proletaria di cui facevamo parte entrambi.
Poi Beniamino cominciò a lavorare nella scuola e in breve divenne dirigente sindacale della CGIL scuola. Parallelamente io ero entrato a lavorare in FIAT e cominciai l’impegno nella FIOM. Le nostre strade si intrecciarono nuovamente in CGIL in cui facevamo battaglie comuni e insieme fummo tra i fondatori di Democrazia Consiliare nella metà degli anni ’80.
Poi abbiamo comprato insieme un rudere di cascina e lo abbiamo ristrutturato per farne le nostre rispettive case in cui sono cresciuti i nostri figli.
Poi entrambi siamo andati a lavorare a Roma, lui al sindacato e io a Rifondazione Comunista.
Poi, poi, poi….
Ciao Beniamino, uomo dolce e tenace, ti voglio ricordare con le parole di Paolo nella lettera a Timoteo “ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho serbato la fede”. La terra ti sia lieve.
Paolo Ferrero


 

Il compagno Beniamino

L’estate è una stagione di frontiera. Ci si lascia alle spalle tutto per provare a godere il meritato riposo e nel frattempo ci si prepara al dopo, a quello che verrà, a quello che sarà il nuovo anno.
Un giorno troppo caldo di fine luglio l’estate ti ha strappato via per non farti sentire più il dolore, e chi ti ha voluto bene ha dovuto, proprio come insegna questa stagione, fare i conti con questa assenza. Per me eri diventato ben presto un punto di riferimento, specie dall’ultimo Congresso in poi, dove abbiamo sperimentato condivisione e sincera amicizia.
E’ per questa ragione che no ho rinunciato ad esserti accanto.
“Beniamino, sono venuta a trovarti perché ne avevo voglia”, ti confessai una volta in ospedale, nonostante gli inviti a dissimulare. Mi sembrava sciocco mentirti. Rosanna ti era accanto e sorrideva a fatica, ma era sempre vigile. Un’immagine che ho impressa nella memoria, voi due felici e innamorati come non vi avevo visto mai, a dispetto di tutto. Avevi però un sorriso a metà, quasi una prudenza. Scherzavi con noi che ti stavamo accanto, ridendo delle barzellette di quel tuo bizzarro vicino di letto, lamentandoti della qualità del cibo dell’ospedale, tu che non mi hai mai dato una soddisfazione apprezzando la buona cucina e il buon vino, durante le riunioni di lavoro ricavate tra un appuntamento e l’altro.
Hai passato la tua vita di militanza nel sindacato al fianco di studenti, insegnanti e nell’ultima fase della tua vita anche dei pensionati, un ruolo che non ti si addiceva e che digerivi a fatica, tu che non hai mai smesso di essere un insegnate e pensarti come tale, in ogni momento della tua esistenza. Forse perché ti sei formato nelle lotte sul territorio in epoche così complesse da lasciare comunque un segno. Non so dirti perché, ma mi hai sempre dato l’impressione che questa tua condizione ti avesse segnato profondamente, così come le molte cicatrici che ciascuno di noi si porta addosso. Ferite che spesso ti sei provocato non tanto per le battaglie perse ma per le persone da cui, in qualche modo, ti sei sentito tradito. Avevi la pessima abitudine di tenerti tutto dentro, Beniamino.
Hai sempre considerato il personale e il politico come livelli che si intrecciano in una organizzazione che dovrebbe riscoprire il valore della solidarietà. Eri capace di provare affetto, rara sensibilità e sincera attenzione per il pensiero dell’altro da te. Sono qualità che mancheranno a tutti noi.
Eri solo apparentemente rude e silenzioso, di quei silenzi che inducono soggezione. Dentro eri fragile come un cristallo in un mondo di elefanti.
Ti confesso che mi piaceva questo tuo modo burbero di essere, mi divertiva stanare la tua ilarità. Cosa vuoi Beniamino, ognuno ha le sue fisime. Ma quanto è stato difficile conquistare la tua stima. Tu misuravi le persone a lungo, perché la tua fiducia era quanto di più grande potessi offrire a un compagno. Guai a tradirla, ne soffrivi come un matto.
Gli ultimi anni hai fatto fatica a cambiare il segno della tua militanza. Passare dall’FLC-CGIL allo SPI-CGIL è stato doloroso, lo riconosco, in primo luogo sul piano personale. So che in molti ti hanno criticato per questo. Penso che non ti conoscessero abbastanza bene. E’ difficile rimuovere ciò che si ha tatuato sul cuore.
Quello che ho conosciuto della tua militanza sindacale mi ha colpito. Ammiravo la tua concezione unitaria della classe che ti portava sempre a compiere ogni sforzo per comporre interessi differenti, a volte anche molto distanti tra loro. Lo hai fatto fino alla fine nello SPI con un’impostazione convintamente confederale.
Hai creduto nella necessità di democratizzare e rinnovare la CGIL, nella necessità che i lavoratori potessero esercitare il pieno diritto di voto, nei luoghi di lavoro, nelle leghe, così come nell’organizzazione. Credo fosse questa convinzione profonda ad averti convinto della necessità di una militanza “di sinistra” e ad essere un inevitabile e autorevole punto di riferimento delle diverse esperienze politiche che hanno poi portato alla costituzione di Lavoro e Società. Avevi sempre in mente il collettivo, mai interessi di parte, era questo che più mi piaceva di te.
Ora non ci sei più e si sente, nel cuore e nel vuoto di elaborazione che hai lasciato. Ci resta il compito di perseverare nelle convinzioni che insieme abbiamo condiviso. Per me perlomeno è così.
Tu eri un compagno Beniamino, di quelli da tenerti stretta stretta. E per me fondamentalmente anche un grande amico.
Ciao Beniaminio, la tua amica
Elena Ferro


 

Una bella persona

E’ buffo, ma il mio rapporto con Beniamino, peraltro molto recente, non è mai stato dominato dalle vicende sindacali. O meglio, queste sono sempre state una sorta di corollario. Quello che mi ha legato a Beniamino, da quando l’ho conosciuto pochi anni or sono, è stato un rapporto personale, affettivo. Naturalmente ho avuto modo di stimarlo anche per il suo spessore politico e sindacale, ma la vicinanza ed il rapporto era strutturato altrove. Non sono, dunque, uno di quelli che lo ricordano venti o trent’anni fa, ma quello che potremmo definire un amico, anche se recentemente acquisito.
La cifra del legame è dunque quella dell’amicizia che, seppure recente, per me ha significato la scoperta di una bella persona, perbene, la cui tenerezza ha conosciuto ancor meglio Rosanna, la sua compagna, il suo amore. Per questo a me non mancherà tanto il sindacalista, che pure ha segnato un pezzo di storia della CGIL, ma l’amico, l’uomo.
Un uomo non semplice, a volte spigoloso, certamente testardo fino allo sfinimento. Ma di una umanità difficilmente riscontrabile nella nostra organizzazione.
L’unico rimpianto che porto riguarda un dissenso che abbiamo registrato fra noi su questioni sindacali, che oggi mi permetto di ricordare come non sostanziali.
Ma quel dissenso ci ha un po’ allontanati negli ultimi tempi e porto con me il cruccio di non essere riuscito a recuperare appieno il rapporto che avevamo. So per certo che mi voleva bene, ma è andato via lasciandomi un rimprovero. E di questo mi dispiace davvero.
Roberto Giordano


 

“L’appartenenza.. non è lo sforzo di un civile stare insieme, non è il conforto di un normale voler bene, l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé” recitava una vecchia canzone di Gaber che sembra parlare di Beniamino. Si, perché la teoria e la pratica di queste parole hanno occupato tante delle sue analisi, del suo lavoro nel sindacato, delle sue azioni, sempre coerenti con le sue idee. Nella preoccupazione per gli altri, lui ritrovava la sua idea di libertà.
A Beniamino piacevano le persone, in particolare quelle che ai suoi occhi apparivano più deboli, più bisognose di aiuto, morale o materiale. Sarà per questo che non perdeva mai una sola telefonata, per lui non bisognava lasciare in sospeso un bisogno.
Ho conosciuto Beniamino una quindicina d’anni fa, da lui appresi l’esistenza di un sindacato inclusivo, che faceva tesoro delle differenze; venivo da esperienze politiche rivelatesi fallimentari, mi aiutò a ritrovare nel sindacato la “bellezza” del lavoro per gli altri. E a pensare con senno del “noi”; quel noi con cui iniziavano molte delle sue mail.
Seguirono anni di lavoro intenso, fatto di confronti e riconoscimento reciproco, ma anche di divergenze di vedute, sempre da lui ascoltate con la dovuta attenzione. Da lui ho imparato che per evitare di sbagliare non bisogna mai smettere di ascoltare.
Conservo ancora tante riflessioni, con lui condivise, sugli argomenti più disparati, racconti intrecciati di vita e politica, dalla scuola a cui voleva bene, alle elezioni di Vendola in Puglia, al tema, a lui particolarmente caro, dello sfruttamento dei migranti. Era un uomo del nord appassionato di Sud.
Fiumi di parole che a lui arrivavano dai compagni e dalle compagne in difficoltà.
Beniamino era prima di tutto questo: una persona con cui parlare, con cui condividere quelle parole che servono a fare i fatti.
Quei fatti di cui la CGIL conserva oggi tante testimonianze, prodotti grazie alla determinazione e all’autorevolezza di cui godeva, alla serietà con cui aveva imparato a rinnovare, poi con lo SPI, il suo bagaglio di competenze.
Amava la vita sobria ed il rigore morale, come esempio per i lavoratori che rappresentiamo.
Beniamino credeva in Dio, ma anche nella ricerca di senso. Quel senso che ritrovava nel valore della costruzione di una dimensione collettiva, come strumento per provare ad “aggiustare” il mondo. Quel mondo ai suoi occhi ingiusto, come la sua malattia.
Ricordo, di una poesia di Brel con cui rispondevo ai suoi auguri di buon anno, a lui piacque, finiva così:
“Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.
Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano”.
E’ stato, per molti di noi, una barca coraggiosa, dalle idee chiare sulla rotta da seguire. Le stesse idee su cui la CGIL fondava, oltre un secolo fa, i suoi valori.
Angela Giannelli


 

La candela accesa e il quadrato rosso

La retorica non apparteneva a Beniamino, piuttosto era un compagno concreto, schietto e determinato. Pronto al sorriso che trascinava con sé gli occhi e alla risata misurata ma rotonda quasi uno scoppio di sincerità che ti metteva a tuo agio e ti coinvolgeva.
Colpiva la fermezza con la quale esprimeva le sue opinioni e formulava le sue idee, la pacatezza e la linearità del pensiero, l’energia e l’impeto che usava in loro difesa, quando non lo convinceva, pur nel rispetto degli altrui punti di vista, la necessità della sintesi a tutti i costi.
Nel merito, rifiutava le sovrastrutture, ricercava l’unità nella risoluzione dei problemi, e una volta arrivato allo Spi si è dedicato alle elaborazioni per lui nuove del sindacato dei pensionati, dando un contributo prezioso come sempre e senza mai abbandonare la passione della sua vita, la scuola, la federazione dei lavoratori della conoscenza.
Il progetto di una sinistra sindacale nella Cgil, da Essere Sindacato fino all’ Area Lavoro Società ed in ultimo Lavoro Società Sinistra Sindacale, ha rappresentato per Beniamino l’orizzonte cui tendere, il presente da costruire attivamente insieme alle compagne ed ai compagni di strada.
Ma un’altra passione rendeva speciale Beniamino, la religione Valdese, religione che il nonno siciliano, di cui era tanto orgoglioso, aveva praticato tutta la vita. Da essa aveva imparato ad aiutare i deboli, a lottare per i diritti, a predicare laicamente la fratellanza e la solidarietà in tutte le cose che faceva, a fare dell’impegno sociale, il suo impegno.
Mi piace pensare che la sua forza, sia stata il prodotto di due fedi assolute, quella Valdese, e la Cgil, la candela accesa e il quadrato rosso, l’ una come “parola” che “è lampada ai miei occhi”, l’altro come simbolo di giustizia ed equità, di lotta, azione e passione.
Ti ho voluto soprattutto bene e soprattutto ti ho stimato caro compagno Beniamino.
Donatella Ingrillì  


 

Flashes su Beniamino

Incontrai per la prima volta Beniamino nel 1981 al IV Congresso della Cgil Scuola. A un certo punto venne annunciato l’intervento del delegato di Pinerolo, che iniziò a parlare della questione della laicità della scuola. Filippo Ottone, che sedeva accanto a me, mi diede un colpo col gomito: “Uno che viene da Pinerolo - mi disse - e che fa un intervento sulla laicità, che cosa è secondo te?.... Un valdese!” (…) Negli anni successivi non mancarono le occasioni per rivedersi e fare amicizia nel corso delle riunioni nazionali. Con la nascita di Essere Sindacato nel 1991 divenne comune anche la condivisione dell’area programmatica di appartenenza. Alle riunioni di area Beniamino portava sempre la chitarra: si passava la serata cantando. (…) Oltre alla normale relazione politica ci piaceva scherzare alle spalle di altri compagne e compagni inventandoci e spedendoci via fax false circolari ministeriali su temi imbarazzanti o piccanti. Per non parlare poi della vertenza (vera) delle “modelle viventi” dell’istruzione artistica, fonte di commenti maliziosi a cui non mancavamo di stare al gioco. (…) Fu perciò naturale che, quando Beniamino nel 1997 venne a Roma per entrare nella segreteria nazionale, si decidesse di abitare nella medesima foresteria (soprannominata la bicamerale della sinistra sindacale). Una coabitazione che durò una decina d’anni. (…) Beniamino era un tipo sportivo: gli mancavano le partite di pallavolo, e la sua agilità la mise in luce una sera che, andati insieme al cinema dimenticando entrambi le chiavi, per rientrare dovette passare dal balcone della vicina al nostro balcone. Aveva anche una spiccata manualità e spirito di iniziativa: ridipinse i mobili un po’ stantii delle foresterie dove abitammo, uno lo segò in due per adattarlo ad una maggior comodità di entrambi, altri li recuperò da mobili d’ufficio in disuso. Socievole: si fece amico il proprietario della trattoria dove mangiavamo e si fece prestare il suo furgone col quale andammo da Roma a Reggio Emilia, a Milano, a Torino e a Pinerolo a raccattare mobili e suppellettili per arredare la seconda e più comoda foresteria che ci era stata assegnata. Solidale: quando mi venne rubato il portatile, si fece promotore di una colletta per ricomprarmelo. (…) Sono cose queste che esulano dalla relazione politica che mi ha accomunato a Beniamino, la quale è anche più ricca di fatti e di ragioni, di battaglie interne ed esterne alla CGIL, per le quali io potessi coltivare per lui stima, amicizia e simpatia. Spero di avere dato a chi lo conosceva meno o a chi, sfortunatamente, non lo conosceva affatto il senso della sua personalità più spontanea, una personalità semplice e sobria ma capace di gesti generosi e di sentimenti profondi.
Pino Patroncini


 

“Caro amico ti scrivo, e poiché sei troppo lontano, più forte ti scriverò”

Ti scrivo perché non ho mai avuto il coraggio di dirtelo da vicino: io Ti devo ringraziare per tutto ciò che mi hai insegnato, in questi lunghi anni di militanza in Cgil. Da te ho imparato la pazienza, quell’attesa fiduciosa nel tempo che matura anche i frutti più acerbi. Ho imparato a tessere tele con fili sottili, sempre al limite della rottura, a ricamare trame così larghe e accoglienti per fare in modo che ciascuno trovi la propria dimensione. Da Te ho imparato l’arte della mediazione, a non considerare mai l’altro un nemico ma solo un avversario a cui si deve riconoscere l’onore delle armi, l’ascolto profondo di chi usa un lessico diverso, di chi viene da lontano e ha bisogno di accoglienza. Da Te ho imparato il rispetto dovuto a tutto ciò che ci circonda, lo sguardo benevolo e mai giudicante, i sussurri e mai le grida, anche quando pensiamo che il mondo sia sordo alle giuste rivendicazioni degli ultimi e degli oppressi. Ho imparato, da Te, come si coniuga la radicalità con l’indulgenza, l’affermazione dei propri valori con il rispetto di chi abbiamo di fronte, la forza delle nostre idee con la mutevolezza dei principi altrui. Da Te ho imparato a credere nei sogni e a non sentirsi dei futili sognatori, ho imparato che vivere in una comunità vuol dire saper rinunciare alle nostre certezze, avere il coraggio di osare e andare in mare aperto perché c’è sempre un’Itaca per tutti.
Amico mio, grazie per essere stato così come sei…grazie per tutte le parole dette e non dette, per i tuoi silenzi e i tuoi sorrisi. Grazie per la tua dolcezza che mi farà sempre compagnia…
Enza Sanseverino


 

 

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