Guardi la Bienne di Moncalieri, azienda storica dell’indotto automobilistico, specializzata nella verniciatura, e vedi l’Italia industriale di oggi. In affanno, in difficoltà, in crisi. E come in un gioco di specchi, le lentezze e i ritardi del governo Renzi, in particolare del ministro del lavoro Poletti e della ministra ‘confindustriale’ alle attività produttive Guidi, si riflettono sulla vita quotidiana dei lavoratori.

La richiesta per ottenere la cassa integrazione straordinaria alla Bienne era partita un anno fa, nel febbraio 2015. Il decreto è stato firmato a dicembre, dieci mesi dopo. Alla fine un gruppo di lavoratori, furibondi e senza stipendio, ha deciso di occupare gli uffici dell’azienda. Guarda caso, solo da allora i media hanno iniziato a occuparsi della vicenda. Hanno acceso i riflettori su una realtà paradigmatica dell’intero settore industriale italiano. In particolare quello dell’automotive.

La Bienne di Moncalieri, alle porte di Torino, si occupa dall’immediato dopoguerra della verniciatura di componenti per automobili. Ci lavorano una ventina di metalmeccanici e circa sessanta addetti con il contratto gomma plastica. “La cassa integrazione serviva soprattutto per riorganizzare l’attività delle tute blu, dopo un incendio che nel 2014 aveva gravemente danneggiato la linea produttiva”, racconta Vanessa Venturi della Filctem Cgil.

Nei primi sette mesi le banche avevano anticipato l’indennità, poi tutto si era bloccato. A quel punto gli operai infuriati erano entrati negli uffici della Bienne e si erano chiusi dentro. Il padrone aveva chiamato i carabinieri. Poi, finalmente, dopo dieci lunghi mesi, poco prima di Natale è stata firmata la richiesta di cassa integrazione straordinaria. “Dovremo ringraziare i metalmeccanici che hanno occupato gli uffici - sorride amaramente Vanessa Venturi – ma il caso dell’impresa di Moncalieri rischia di non essere isolato. Con l’inizio del 2016 situazioni di questo genere sono purtroppo destinate ad aumentare”.

Gli addetti della Bienne sono in cassa integrazione straordinaria fino al 16 di marzo. Che succederà dopo? Altri dieci mesi nel limbo? Anzi, nell’inferno di chi non ha nemmeno un’integrazione allo stipendio? “Ci stiamo prodigando per cercare di attivare subito altri ammortizzatori sociali - spiega la delegata Filctem - Stiamo valutando i contratti di solidarietà per affrontare una situazione di crisi che è lontana dall’essere finita. Certo, il 2015 è stato un anno terribile per gli operai. I dipendenti dei magazzini andati a fuoco, già in cig a zero ore, sono rimasti senza un euro per mesi. Siamo andati fino a Roma per capire cosa stesse succedendo. A forza di incontri e telefonate al ministero siamo riusciti a sbloccare la situazione”.

Vanessa Venturi lavora alla Bienne dal 2002, quando la crisi globale, che poco risparmia, non era ancora esplosa. “Sono entrata grazie ad un’agenzia interinale, dopo pochi mesi sono stata assunta con contratto di formazione. Erano anni di boom lavorativo, si facevano più turni; tre, anche quattro, non di rado lavoravamo fino a mezzanotte. Dal 2008 il lavoro ha iniziato a diminuire. E soprattutto per noi è difficile superare la crisi, perché iniziano a mancare le commesse. Per risparmiare, molte grandi imprese non mandano più il lavoro fuori”.

Negli ultimi tempi la situazione è peggiorata, anche sul fronte dei numeri dell’occupazione. “Lo ripeto, mancano le commesse – prosegue Venturi – così siamo costretti a lavorare alla giornata. In dicembre è stata aperta una mobilità volontaria, sono andati via quattro operai e due impiegati, fra cui il direttore del personale”. Alla Bienne stanno ancora aspettando il secondo decreto governativo, quello che assicurerà la cigs dallo scorso settembre fino a marzo.

A dispetto della vulgata, il governo Renzi è tutto fuorché veloce. Altro che 2.0. E non è facile fare sindacato quando i lavoratori sono molto arrabbiati e l’azienda usa l’arma del ricatto, ventilando l’ipotesi che le vertenze sindacali potrebbero allontanare i pochi clienti rimasti. Ma Venturi non si arrende. “Non possiamo perdere la speranza, anche se vedere la fabbrica mezza vuota mette tristezza. La crisi c’è ma va combattuta, a partire dai provvedimenti del governo”. La chiacchierata si chiude con una nota personale, comune a tanti lavoratori italiani. “Io devo essere ottimista: mio marito è in mobilità e uno stipendio vero in casa serve”. Come il pane.

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