Quella approvata dal Senato non ci soddisfa. Tuttavia, per quanto mal scritti, sono riconosciuti diritti che costituiscono una risposta concreta ai bisogni di tante persone. Non è un punto di arrivo, è un punto di partenza.
L’approvazione della legge sulle unioni civili al Senato, il dibattito politico e il percorso che l’ha segnata non possono non porci degli interrogativi su come proseguire la nostra azione: abbiamo seguito con passione l’iter di questa legge nel solco della storia della nostra associazione, che da 30 anni si batte per i diritti e che non ha mai ignorato nessuna battaglia che riguardasse le condizioni di vita degli omosessuali e transessuali.
Così abbiamo fatto anche per questa legge, che non sentivamo come nostra ma che eravamo convinti potesse farci fare un passo in avanti. Per questo abbiamo tenuto alta la pressione come mai avevamo fatto in precedenza: dalle100 piazze del 23 gennaio ai tanti presidi durante la discussione in aula, dall’azione diretta sui senatori e le forze politiche, fino all’occupazione di Corso Rinascimento, davanti al Senato, lo scorso 24 febbraio.
Quella licenziata dal Senato è una legge che non ci soddisfa. Tuttavia dobbiamo essere consapevoli che per quanto mal scritti e frutto di indicibili trattative, in quel testo sono riconosciuti diritti che appartengono alle nostre battaglie e che costituiscono una risposta concreta ai bisogni di tante persone. Abbiamo perso sul fronte del riconoscimento legislativo della stepchild adoption, ma abbiamo impedito che fosse preclusa dalla stessa legge, lasciando aperta la partita su questo delicatissimo punto.
Tra le persone lgbt sono due i sentimenti che dominano: da una parte l’amarezza per come la legge è stata scritta, discussa e approvata e per la stepchild adoption che non c’è, dall’altro la soddisfazione per il primo concreto passo in avanti nel riconoscimento dei diritti. Non possiamo ignorare né l’uno né l’altro. Il nostro obiettivo è tenere assieme questi due sentimenti e dare forza alla nostra marcia verso l’uguaglianza, canalizzando in chiave positiva sia l’arrabbiatura per quello che volevamo e non c’è ancora, sia la soddisfazione per aver strappato questo maldestro primo passo al nostro Parlamento.
La legge sulle unioni civili deve ancora essere approvata dalla Camera dei deputati, e noi vigileremo affinché le tutele in essa contenute non vengano meno, così da dare la possibilità a tantissime persone di mettere in sicurezza le proprie famiglie, esigenza che ovviamente non possiamo ignorare. Dopo questo passaggio il nostro impegno continuerà, con ancora più forza e determinazione, per superare i distinguo che sono scritti in quella stessa legge e per conquistarci i diritti che ancora non ci sono, a partire dalla tutela dei nostri figli e figlie e al riconoscimento della nostra piena capacità di essere genitori.
Non dimentichiamo nel frattempo la legge contro l’omotransfobia che giace immobile al Senato, così come le iniziative da intraprendere per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione delle persone trans, e allo stesso tempo guardiamo con determinazione ad una riforma complessiva del diritto di famiglia, che consenta di fotografare una realtà ormai radicalmente mutata, dove altre modalità di costruzione di percorsi di vita e di relazione stanno emergendo dall’ombra e tratteggiando nuovi scenari.
Il 5 marzo scorso abbiamo riempito piazza del Popolo a Roma per dire con chiarezza che siamo solo all’inizio. Lo abbiamo fatto nel modo che pratichiamo da sempre, mettendoci i nostri corpi, le nostre storie, i nostri amori. E lo abbiamo fatto per ribadirci una promessa: Arcigay, insieme alle altre associazioni, continuerà più decisa di prima a fare tutto ciò che serve per dire basta a coloro che pensano di poterci mettere su un gradino più basso rispetto agli altri. Questa legge non è un punto di arrivo, è appena un punto di partenza: la strada verso l’uguaglianza, il matrimonio per tutte e tutti, e la fine di ogni tipo di discriminazione, è ancora lunga e noi intendiamo percorrerla fino in fondo, perché vogliamo niente di meno che tutto.