In tutti i documenti normativi in discussione in questi mesi, in applicazione della cosidetta “buona scuola”, è completamente sparito il riferimento all’aumento dell’obbligo di istruzione. Addirittura, con il decreto legislativo 81/15, si ripropone l’apprendistato con la canalizzazione precoce a 14 anni, come non si trova traccia della costruzione di un vero sistema di apprendimento permanente, previsto negli altri paesi europei.
Gli interventi del governo risultano contraddittori, e costruiscono una trama “ideologica” molto pericolosa. L’uso volutamente ambiguo e distorto delle parole rischia di creare una confusione terminologica, funzionale alla costruzione di un modello scolastico sempre più a forma d’impresa. L’alternanza, per esempio, non va confusa né con l’apprendistato, né tanto meno con la formazione continua, né con lo stage ed il tirocinio.
Facciamo chiarezza. L’alternanza scuola-lavoro è uno strumento didattico per la realizzazione dei corsi di scuola superiore. Non è un contratto di lavoro, e assicura ai giovani, oltre alle conoscenze di base, l’acquisizione di competenze spendibili sul mercato del lavoro, ed è uno strumento formidabile di crescita educativa con i percorsi che devono essere progettati, attuati, verificati e valutati sotto la responsabilità delle istituzioni scolastiche. Si attua attraverso convenzioni con le imprese, con camere di commercio e con gli enti pubblici e privati, ed i periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro vanno articolati con gradualità nel rispetto dello sviluppo personale, culturale e professionale degli studenti. In questo contesto, è importante il ruolo del “tutor scolastico” interno, e quello del “tutor formativo” esterno.
L’apprendistato è invece un contratto di lavoro a tempo indeterminato, finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani. L’apprendistato si articola in tre tipologie: per la qualifica e il diploma professionale; l’apprendistato professionalizzante; e per l’alta formazione e ricerca. Il giovane è titolare di un vero e proprio contratto individuale di lavoro, ha l’obbligo di effettuare il normale orario di lavoro previsto dal Ccnl, costituito dalla formazione interna (dell’impresa) e da quella esterna (formativa) e dalle ore di lavoro vero e proprio.
Come si vede sono strumenti con finalità molto diverse, che però si intrecciano nelle varie disposizioni emanate e producono per esempio, con la sovrapposizione con le norme sul mercato del lavoro, un inaccettabile abbassamento dell’obbligo d’istruzione.
Con la riforma dell’apprendistato, di fatto si “costruisce” un altro canale formativo, alternativo a quello scolastico e lo si “appalta” al ministero del lavoro. In attuazione dell’articolo 41 del decreto legislativo 81/15, si trasforma l’attuale istruzione e formazione professionale (Iefp), attraverso la sperimentazione biennale dell’apprendistato “duale”, con il coinvolgimento dei sistemi regionali di formazione professionale. Con l’attuazione dei commi dal 33 al 43 della legge 107/15 si rende obbligatoria l’alternanza scuola-lavoro per tutte le scuole superiori del paese che dovranno programmare nel triennio 400 ore per gli istituti tecnici e professionali e 200 ore nei licei, da svolgersi anche nei periodi di sospensione delle attività didattiche, e anche all’estero.
La nuova alternanza obbligatoria interessa da subito 520mila studenti delle classi terze, per coinvolgere a regime un milione e mezzo di studenti del triennio di tutte le scuole superiori. Un impegno enorme, che sta mettendo già a dura prova le capacità organizzative e di progettazione degli istituti e delle imprese, sopratutto in alcune aree del paese dove il tessuto industriale e produttivo è particolarmente fragile, e privo di esperienza formativa.
Tutte queste scelte governative producono una pericolosa moltiplicazione dei soggetti interessati (economicamente) ad erogare attività di formazione, con casi di sovrapposizione di percorsi formativi erogati da soggetti molto diversi che insistono sulla stessa platea di destinatari.
Serve invece un salto di qualità, una rivoluzione culturale, dove le ragioni e gli interessi dell’impresa non siano la finalità dell’istruzione, ma il rapporto con le istituzioni formative diventi un’opportunità di crescita per tutti. In questa prospettiva serve una “cornice” normativa che definisca un vero progetto per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, che non costituisce solamente uno strumento importante all’interno delle strategie per l’occupazione, ma anche una bussola per orientare le politiche di riforma dei sistemi di istruzione e di formazione.