In primavera si eleggerà il nuovo sindaco di Roma. Ci piacerebbe chiedere ai candidati che ruolo danno al servizio pubblico nella gestione delle politiche migratorie.
Il fenomeno delle migrazioni è l’effetto più macroscopico della guerra permanente per l’accaparramento delle materie prime, dell’acqua, delle risorse energetiche. La divisione che spesso si fa fra migranti economici e rifugiati è assolutamente priva di qualsiasi fondamento. Il fenomeno delle migrazioni ha una propria sedimentazione naturale nella storia dell’umanità. Come possiamo immaginare, nell’era della globalizzazione, che tutto (merci, denaro) possa circolare liberamente tranne gli esseri umani? Oltre che sbagliato, sarebbe semplicemente sciocco immaginare di fermare i flussi che stanno coinvolgendo l’Europa.
Se l’Europa non riuscirà ad imporre una propria visione politica del fenomeno a tutti gli stati membri, diventerà ingestibile tutta la partita dei flussi di immigrazione, con le conseguenze politiche, economiche e sociali che sono facilmente immaginabili. Non è solo questione di preservare il trattato di Schengen o superare quello di Dublino: si tratta sostanzialmente di verificare se l’Europa è in condizione di assumere un ruolo nello scacchiere internazionale, partendo dalla realizzazione di corridoi umanitari e dalla gestione unitaria del fenomeno migratorio. E questa, francamente, non ci sembra fra le opzioni oggi possibili.
Le politiche di spoliazione che il sistema capitalistico ha perpetrato nel corso degli ultimi 150 anni - fino a giungere alle manifestazioni più crude del liberismo globalizzato - hanno determinato non soltanto le disuguaglianze, ma anche una risposta di sostanziale rifiuto del fenomeno migratorio. Una doppia punizione per interi popoli: prima cacciati, impoverendo o distruggendo intere aree geografiche, poi rifiutati perché indesiderati in quanto migranti. La gestione dei mezzi d’informazione è esemplificativa, tutta fondata sull’aspetto securitario e sulla sollecitazione dei sentimenti di paura per il diverso da sé, e per chiunque possa sottrarre opportunità alle popolazioni native.
Può determinarsi una posizione di sinistra sul tema delle migrazioni? Ovviamente si, partendo magari dalla nostra realtà territoriale e dalla ridefinizione del modello di accoglienza, che rappresenta soltanto il 2% del fenomeno migratorio. Al netto dell’effetto culturale devastante dell’indagine giudiziaria “Terra di mezzo”, è necessario definire, sul territorio, l’obiettivo inequivocabile dell’inclusione sociale, politica, lavorativa, formativa e scolastica. Prendendo il meglio da quello che c’è già in campo. Come il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), magari rendendolo effettivo e procedendo verso un’operazione di trasparenza e di condivisione, alle quali il sistema oggi è stato sottratto. Magari provando a dare voce ai diretti interessati.
Anche a fronte di norme condivisibili ed avanzate, com’è il caso della legge regionale sull’immigrazione 10/08, l’insipienza del ceto politico nostrano ne ha determinato il blocco, attraverso il suo definanziamento.
In primavera si eleggerà il nuovo sindaco di Roma. Già sono in lizza diversi contendenti: alcuni “pompati” dai mezzi di informazione; altri stanno provando a comprendere la complessità della capitale attraverso confronti dal basso. Ci piacerebbe chiedere a tutti cosa pensano di questi temi e quali sono le loro proposte, confidando che si riesca a definire un punto di vista laico sull’argomento, fuori dai pur apprezzabili ambiti della carità cristiana. Che il grosso dell’accoglienza a Roma sia ancora appannaggio di enti gestori, legati più o meno direttamente al mondo ecclesiastico, è soltanto uno degli elementi di riflessione. Così come ci piacerebbe sapere cosa propongono i candidati sul ruolo che il settore pubblico può e deve avere nella gestione del fenomeno, magari con uno sguardo rivolto anche ai cosiddetti transitanti.