Il segretario generale della Cgil ha invitato ad andare a votare. Oltre 500 sindacalisti della Cgil, a titolo personale, hanno spiegato in un appello perché voteranno Sì.

Lo scandalo petrolio ha reso evidente il legame profondo, perverso e penetrante che lega il potere politico al potere economico delle lobbies. Il potere legislativo scrive le leggi sotto dettatura delle grandi multinazionali e delle grandi aziende: il ministro Boschi afferma candidamente che non ci sono state pressioni, ma che gli incontri tra il suo staff e i manager Total rientrano nella normale prassi della politica. Renzi, anche nel momento in cui stanno venendo alla luce i veri interessi del “quartierino dei furbetti”, gongola orgoglioso attribuendosi ogni merito per l’accelerazione di tutte le grandi opere: infrastrutture, strade, ferrovie, inceneritori, trivelle, gasdotti. A suo dire porteranno sviluppo e occupazione nel nostro paese.

Dietro alla propaganda si cela un sistema in cui la salute di intere popolazioni, la devastazione del territorio e i disastri ambientali sono il prezzo da pagare sull’altare del malaffare, della corruzione, del profitto di pochi. Anche in riferimento al referendum del 17 aprile cercano di nascondere i loro affari sporchi. Vogliono farci credere che predicano l’astensione per il nostro bene, perché una vittoria del Si farebbe perdere 11mila posti di lavoro. Non dicono che è possibile un modello di sviluppo alternativo più giusto e sostenibile.

Se non acceleriamo la transizione energetica, uscendo dalle fonti fossili, i cambiamenti climatici renderanno invivibile il nostro pianeta e perderemo l’opportunità unica di creare crescita economica e occupazionale nei settori dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. Questo modello economico devastante e predatorio provoca solo morte e malattie.

Parlano di posti di lavoro perché in Italia il lavoro manca, sopratutto per i giovani: è precario e sottopagato, quindi è un tema sensibile, ma dicono cose non vere. Le argomentazioni dei sostenitori dell’astensionismo o comunque del No al referendum ruotano prevalentemente sul ricatto occupazionale. L’altro argomento è quello della sicurezza energetica: così ridicolo da smontarsi da solo, considerando il quantitativo irrisorio di gas e petrolio residuo che potrebbe essere estratto dalle concessioni oggetto di referendum. Resta il tema del lavoro, e su questo noi sindacalisti dobbiamo assumerci per primi la responsabilità di fare chiarezza.

Prima delle modifiche introdotte a dicembre nell’ultima legge di stabilità, le concessioni entro le 12 miglia già autorizzate avevano una scadenza. Nessuno si era preoccupato di dire che se non fossero state lasciate nella disponibilità dei petrolieri all’infinito, cosa peraltro in contrasto con le normative europee in materia di concorrenza, si sarebbero persi 11mila posti di lavoro, perché non è così. Il 18 aprile non chiuderà nessun pozzo a seguito dell’auspicata vittoria del referendum. I pozzi andranno a dismissione graduale alla scadenza naturale delle concessioni, se non verranno prorogate.

Il settore petrolifero è già in crisi per il calo del prezzo, ma sopratutto la scienza ci dice che se vogliamo contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi, come dichiarato nell’accordo sul clima di Parigi, l’80% delle riserve di fonti fossili deve restare sotto terra. Questo non significa rassegnarsi a perdere posti di lavoro per salvare il pianeta, significa più semplicemente mettersi nell’ordine di idee che i posti di lavoro legati alle fonti fossili andranno inevitabilmente perduti, e che quindi dobbiamo attivarci velocemente per garantire la giusta transizione dei lavoratori coinvolti nei processi di dismissione, accompagnandoli con politiche di sostegno al reddito, riqualificazione professionale e creazione di nuova occupazione sostenibile.

L’occupazione nelle energie rinnovabili è decisamente a più alto tasso occupazionale rispetto alle fonti fossili. A questi nuovi posti di lavoro vanno poi aggiunti quelli che si possono incrementare in agricoltura, pesca e turismo sostenibili dopo la bonifica delle aree inquinate, per non parlare di tutti gli altri settori di sviluppo, ricerca e innovazione tecnologica per la riconversione ecologica dell’industria, i settori economici legati alla persona, e all’arte e alla cultura.

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