Proprio il fatto che Mario Draghi sia dovuto intervenire con un nuovo assai più generoso Quantitative Easing dimostra la gravità della crisi economica in atto, che probabilmente apre le porte a quella che economisti come Larry Summers e Paul Krugman hanno chiamato “stagnazione secolare”. La Bce ha aumentato la quota di acquisto dei titoli pubblici sul mercato secondario, portandola a 80 miliardi di euro al mese; l’ha estesa ai bond emessi dalle grandi imprese dotate di buon rating – un ulteriore vantaggio per il capitale privato; ha reso ancora più negativi i rendimenti dei depositi presso la Banca centrale, in modo da costringere le banche dei vari paesi a prestare a imprese e famiglie il denaro avuto a così basso prezzo, per invertire il credit crunch.

Eppure è da dubitare che, non essendo finora bastato, neppure questo provvedimento potenziato, ma simile al precedente, riuscirà a rilanciare l’economia. Il cavallo non beve, si sarebbe detto un tempo. Per di più le politiche di stimolo monetario alla lunga aumentano le diseguaglianze, orientando i capitali verso il mercato azionario.

I provvedimenti della Bce hanno teso la corda dei suoi limiti statutari, dettati dai trattati europei; hanno suscitato l’ira dei tedeschi, pressati dalle banche dei Lander, preoccupate che un sistema di tassi negativi colpisca la loro profittabilità. Finora Draghi è riuscito a salvare l’euro, ma non è affatto detto che salverà l’Europa.

Del resto i margini che restano alla Bce sono ormai esigui. La sola politica monetaria – e Draghi stesso lo ha detto più volte – ha esaurito le sue ricette e da sola non basta, se non c’è una vera politica espansiva di rilancio degli investimenti, a partire da quelli pubblici, e dei consumi. Per di più non si tratta di ripercorrere le vecchie strade di un modello di sviluppo che ha raggiunto il suo apice, e cominciato da tempo il suo declino.
Bisogna che questi investimenti battano strade inesplorate; puntino sui bisogni prevalentemente immateriali di una società matura come quella europea; rispondano ai grandi temi che il degrado dell’ambiente ci pone, come una transizione energetica più rapida possibile verso le energie rinnovabili (da qui l’importanza anche simbolica del buon esito del referendum contro le trivelle del 17 aprile); servano per rilanciare in senso universalistico il welfare state che, come la migliore storia europea dimostra, non è solo fattore di giustizia sociale e di riduzione delle diseguaglianze, ma anche un potente volano per uno sviluppo economico complessivo di nuovo tipo. Serve che tutto ciò sia fondato sulla ricerca, almeno tendenziale, della piena occupazione e sull’accoglienza dei migranti. Il jobs act all’italiana ha già dimostrato, dati Istat dell’ultimo mese alla mano, di essere un flop. Quello alla francese è al centro di una contestazione di piazza che ha pochi precedenti.

Per fare questo è necessario che la liquidità non si areni nei forzieri delle banche. L’idea lanciata da Jeremy Cobyrn, il nuovo leader del Labour Party, di un “Quantitative Easing for the people” è una strada da percorrere. Certamente la proposta va affinata, affinchè si riesca finalmente, e non solo nello slogan, a fare giungere al popolo la liquidità monetaria iniettata nel sistema. Si tratta di pensare a un programma di investimenti pubblici su scala europea, come quelli prima descritti, e contemporaneamente di mettere in atto un trasferimento diretto alle persone attraverso l’istituzione di un reddito di cittadinanza, non sostitutivo ma aggiuntivo a quello da lavoro, in modo tale che tanto chi lavora tanto chi è momentaneamente disoccupato, o è ancora in attesa come i giovani di entrare nel mondo del lavoro, pur in una comprensibile differenza, non sia costretto in condizioni di povertà. La quale invece nelle attuali condizioni si sta allargando in tutta Europa e particolarmente nel nostro paese, come rilevato dall’Istat.

Si dirà che è un vasto programma. E’ vero, ma non ci sono scorciatoie. Il fallimento del neoliberismo è sotto gli occhi di tutti. Persino di diversi suoi propugnatori. Ma non verrà scalzato se non cresce un movimento europeo di massa, del quale i sindacati devono essere tra i protagonisti, e una nuova sinistra. Capaci non solo di opporsi alle singole misure di austerità, ma di contrapporre un programma alternativo in grado di conquistare consensi. 

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