In questi giorni è iniziata la raccolta delle firme per promuovere la consultazione referendaria per abrogare alcune parti della legge 107/15 (Buona scuola). Una legge approvata senza nessuna discussione nel paese e con il bavaglio della fiducia in Parlamento. Composta da un articolo e 212 commi, prevede la possibilità di intervenire su temi fondamentali con nove deleghe.

Dopo il grande sciopero unitario del 5 maggio 2015 e le tante iniziative di mobilitazione e contrasto avviate a livello nazionale e territoriale, la battaglia contro la legge continua anche con il ricorso allo strumento referendario. Non potendo proporne l’abrogazione integrale, sono stati individuati quattro punti particolarmente controversi da sottoporre a referendum.

Con il primo quesito chiediamo l’abrogazione del comma 129 (punto 3) della legge, dove si prevede che il Comitato di valutazione stabilisca i criteri per “premiare” la professionalità dei docenti con modalità inaccettabili e fuori dal Ccnl. Il “nuovo” Comitato ha una composizione inedita, con la presenza di genitori, studenti ed esperti esterni nominati dall’ Usr. Si tratta chiaramente di un organismo che non possiede le necessarie competenze scientifiche per esprimersi sulla qualità dell’insegnamento e della innovazione didattica. Inoltre intendiamo abolire i commi 126,127 e 128 della legge, che attribuiscono al dirigente scolastico la possibilità di assegnare il cosiddetto “bonus” per premiare il presunto “merito” di alcuni docenti. Il “bonus” è a tutti gli effetti “retribuzione accessoria”, che viene sottratta alla disponibilità negoziale delle parti.

Il secondo quesito propone l’abrogazione del comma 18 e dei commi da 79 a 83 per annullare la “chiamata diretta” dagli ambiti territoriali e la conferma o meno, dopo un triennio, da parte del dirigente scolastico. Questa nuova modalità è inaccettabile, perché contrasta con la garanzia costituzionale della libertà di insegnamento, si scontra con il principio di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, ed è inoltre fortemente esposta a condizionamenti clientelari.

Il terzo quesito interviene su alcune norme, previste dal comma 33, che rendono obbligatorio l’istituto dell’alternanza scuola-lavoro, con modalità decise centralmente. Con questo comma la legge interviene sull’autonomia delle scuole, imponendo l’obbligo per tutte le istituzioni scolastiche superiori di programmare percorsi di alternanza per 400 ore per gli istituti tecnici e professionali, e di 200 ore per i licei. L’alternanza scuola lavoro deve rimanere una metodologia didattica programmata all’interno del Piano dell’attività formativa, e deve corrispondere alle esigenze degli studenti. Pur mantenendo l’obbligo dell’alternanza, chiediamo la cancellazione del limite delle 400-200 ore per permettere alle scuole di garantire la coerenza con la proposta formativa e con le opportunità territoriali, evitando un’ulteriore diminuzione delle ore di insegnamento.

Con l’ultimo quesito intendiamo abrogare i commi 145 e 148 sul credito d’imposta per coloro che finanziano istituti scolastici pubblici e privati. Il meccanismo della legge 107/15 dispone che il finanziamento privato vada per la quasi totalità alle singole scuole (pubbliche o private) individuate dal finanziatore, creando competizione tra le istituzioni scolastiche che diventeranno di serie A (quelle centrali e con utenza forte) e di serie B (quelle di periferia e con utenza debole). I finanziamenti devono, invece, andare all’intero sistema pubblico, non alle singole scuole. Il gettito complessivo deve quindi essere ridistribuito alle sole scuole statali secondo le diverse necessità, superando anche le sperequazioni territoriali.

Il governo, dopo aver modificato le regole del mercato del lavoro, condannando i lavoratori ad un futuro di perenne precarietà, non può pensare di piegare il sistema scolastico alle esigenze delle imprese, ridefinendo i connotati di un nuovo modello sociale. Per questo i quesiti referendari sulla legge 107 si intrecciano coerentemente con la proposta di “Carta dei Diritti” e con i referendum lanciati dalla Cgil, associati nella difesa del valore del lavoro e della dignità dei lavoratori. Il diritto al “buon lavoro” si intreccia con il diritto all’apprendimento per tutto l’arco della vita: entrambi postulano cittadini e lavoratori formati, autonomi e consapevoli, che solo una scuola pubblica, per tutti, democratica e di qualità può garantire.

Non è un caso se nella legge 107 manchino gli unici interventi indispensabili per sostenere questi obiettivi: l’aumento dell’obbligo scolastico, e la definizione di un vero sistema di apprendimento permanente.

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