A un anno dal grande sciopero unitario del 5 maggio 2015, e dopo le tante iniziative di lotta e mobilitazioni avviate a livello nazionale e territoriale contro la legge 107, la scuola italiana torna a scioperare. La proclamazione, da parte di Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola e Snals, dello sciopero nazionale unitario di tutta la categoria, è avvenuta in piazza Montecitorio il 28 aprile scorso, durante la manifestazione delle Rsu, arrivate da tutte le scuole del paese per protestare contro le politiche del governo.Il 20 maggio quindi tutti i lavoratori della scuola incroceranno le braccia per l’intera giornata, per protestare contro la legge 107 e le politiche governative che mortificano i lavoratori pubblici, e per il contratto nazionale.

Abbiamo più volte ribadito al ministro la necessità di aprire un tavolo per affrontare i tanti problemi che la legge 107 ha prodotto, e per discutere del rinnovo contrattuale. Ma evidentemente il ministro preferisce “consultare” gli esperti di palazzo Chigi piuttosto che ascoltare i lavoratori, i sindacati e, temiamo, anche i funzionari del Miur.

Perché allora il ministro si stupisce per la proclamazione dello sciopero unitario del 20 maggio? La verità è che, nonostante i proclami delle campagne mediatiche del governo, la legge 107 continua ad essere fortemente contrastata nelle scuole dai lavoratori, dagli studenti, dai genitori e dalla società civile. Una legge che non è stata discussa nel paese e in parlamento, passata solo grazie al bavaglio del voto di fiducia. Una legge costituita da un solo articolo, 212 commi, che prevede ben nove deleghe su temi fondamentali, che il ministro intende affrontare solo con la “consulenza di esperti”, senza alcuna trasparenza, e ovviamente senza alcun confronto con i lavoratori.

La legge 107, utilizzando strumentalmente la competizione e il merito, divide i docenti e disarticola il modello scolastico della collegialità e della cooperazione. Consegna nelle mani del dirigente la possibilità di assegnare il “bonus” per premiare il presunto merito di alcuni docenti, sottraendo cosi alla contrattazione parte della retribuzione accessoria. Con la chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti scolastici, mette in discussione la garanzia costituzionale della libertà di insegnamento, l’imparzialità della pubblica amministrazione, ed espone le “nomine” ai condizionamenti clientelari.

Attraverso i finanziamenti dei privati (agevolati dal credito d’imposta...) crea una inaccettabile competizione tra le scuole che saranno di serie A (con utenza forte e ricca) e di serie B (con utenza debole e povera), consolidando ulteriormente le disuguaglianze e le sperequazioni sociali e territoriali. Inoltre, per dare una risposta miope e inadeguata alle necessità del mondo produttivo e in coerenza con il jobs act, piega il sistema scolastico alle esigenze delle imprese con la definizione della quota oraria obbligatoria dell’alternanza scuola lavoro per tutti gli studenti del triennio di scuola superiore, decisa centralmente, senza tener conto delle diverse esigenze dei ragazzi, delle scuole, e dei diversi territori.

Infine le assunzioni dei docenti, di cui si vanta il ministro, sono state conquistate con le lotte dai lavoratori, ed erano un atto dovuto dopo il ricorso alla giustizia europea. I malumori e le polemiche dei docenti sul concorso in atto non fanno che confermare l’incapacità, l’inadeguatezza e l’insensibilità dell’amministrazione.

La scuola statale del nostro paese sta vivendo una stagione difficile, fra incertezze e scelte colpevoli di questo governo che colpiscono i lavoratori e la qualità del servizio. Restano aperti i problemi legati all’aumento dei carichi di lavoro, alla mortificazione inaccettabile del personale Ata, al futuro dei tanti precari che rischiano di essere esclusi, dopo anni di lavoro, da qualsiasi prospettiva di stabilizzazione.

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