Dopo otto anni – troppi – e cinque processi, sono stati tutti condannati i responsabili del rogo che nel dicembre 2007 uccise sette operai dello stabilimento torinese della Thyssen Krupp. Una fine straziante: Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiavone furono investiti da un getto di olio lubrificante incandescente uscito da un grande tubo che si era sfondato dopo un inizio di incendio. Ustionati in tutto il corpo, gli operai morirono fra enormi sofferenze chi dopo poche ore, chi dopo qualche giorno, chi dopo un’agonia durata quasi un mese.

Ora la Cassazione ha scritto la parola “fine” a un’inchiesta che indicò subito le responsabilità dei vertici della multinazionale tedesca. Perché in quello stabilimento, già in chiusura, le misure di sicurezza erano state ridotte e le manutenzioni inesistenti; la fabbrica veniva pulita solo se arrivava l’Asl; e l’impianto si fermava in caso di guasti gravi, altrimenti si interveniva con la linea in movimento. Così come accadde in quella notte infernale.
Non per caso la procura di Torino – e i giudici di primo grado avevano accolto la richiesta – aveva delineato l’omicidio volontario dietro al rogo. Alla fine le condanne sono invece arrivate per omicidio colposo plurimo, aggravato dalla colpa cosciente. Così l’ex ad della multinazionale Harald Espenhahn ha avuto nove anni e otto mesi; pene di poco inferiori per i dirigenti Marco Pucci e Gerald Priegnitz, il membro del comitato esecutivo Daniele Moroni, l’ex direttore della fabbrica Raffaele Salerno, e il responsabile della sicurezza Cosimo Cafuer.

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