La campagna di raccolta delle ciliegie già è partita da alcune settimane. Tra qualche settimana partirà la raccolta dei pomodori. Impiegherà un gran numero di lavoratori, soprattutto in quelle campagne dove la meccanizzazione tarda ad arrivare, e si dovrà far ricorso ad un numero consistente di braccia umane per riempire i cassoni da inviare alle aziende di trasformazione. Anche per l’acinellatura del grappolo d’uva manca poco, e i pullman di donne brindisine, specializzate in questa fase lavorativa, tra poco si muoveranno per raggiungere le terre dove si producono quei bei grappoli per i nostri negozi di frutta. Spesso questa lavorazione si svolge in serra o sotto teloni: la temperatura diventa molto elevata. Così è morta la signora Paola Clemente a luglio dello scorso anno, proprio durante l’acinellatura.

A questa tragedia seguirono altre morti nelle campagne. Altri “braccianti”, come dice la stampa. In realtà nei contratti nazionali e provinciali non esiste più questa “tipologia di lavoratore”: esistono gli operai agricoli, che svolgono mansioni diverse. E l’acinellatura non è una mansione da “bracciante”: richiede una specializzazione che non tutti gli operai agricoli hanno.

Lascia perplessi che la signora Paola fosse definita bracciante: non usava solo le braccia, ma la sua professionalità. Era sfruttata e sottopagata, e proprio lo sfruttamento l’ha portata alla morte. Non l’ha uccisa un caporale, ma le condizioni nelle quali si trovava a lavorare sotto una serra, insopportabili per un essere umano. Era “sotto caporale” come tanti altri, ma ciò aggravava solo la sua condizione di sfruttamento: chi intermediava illecitamente, lucrava anche sul suo lavoro.

Il caporalato infatti rappresenta solo un pezzo della “filiera dello sfruttamento” del quale sono vittime molti lavoratori agricoli, italiani e stranieri. Vittime anche di un’illegalità diffusa nelle nostre campagne, che spesso porta alla mancata applicazione dei contratti e delle leggi sociali in diverse zone d’Italia.

Lo scorso anno il governo, in seguito a quelle tragiche morti, annunciò la rapida approvazione di una legge di contrasto allo sfruttamento e al caporalato, per rispondere a un’opinione pubblica sorpresa che fosse ancora presente un fenomeno che si riteneva di un’epoca passata del mondo agricolo. Il caporalato era una cosa degli anni settanta-ottanta: come faceva ad essere sopravvissuto?

In realtà, come da tempo denunciamo, esso assume connotati di modernità nel momento in cui riesce a svolgere anche una sua “funzione sociale” e un “servizio efficace ed efficiente” alle imprese, in quel territorio del mercato del lavoro di cui lo Stato ha abbandonato il presidio. Allora come oggi, al centro del sistema vi è l’impresa, e l’assetto economico e produttivo che scarica sul lavoratore tutti i costi di una filiera che dalla commercializzazione risale fino alla produzione.

Il governo annunciò provvedimenti urgenti. E a chi come la Flai chiedeva una commissione di inchiesta sul caporalato e sullo sfruttamento in agricoltura, rispose che questa iniziativa avrebbe portato via tempo prezioso al contrasto del fenomeno. Bisognava agire e in fretta, disse il presidente del consiglio Renzi da una Festa dell’Unità.

A un anno di distanza, le campagne di raccolta sono cominciate e ci ritroviamo nelle stesse, identiche condizioni dello scorso anno, senza che vi sia nessuna nuova legge che dia gli strumenti necessari per il contrasto dell’illegalità. La “Rete del Lavoro agricolo di qualità” ha cominciato a funzionare dalla fine dello scorso anno, ma ha strumenti non molto efficaci per essere un’arma potente e utilizzabile.

Il disegno di legge 2217 giace ancora al Senato e solo a fine mese, forse, dovrebbe essere approvato in aula e passare poi alla Camera. Nel ddl ci sono gli strumenti che potenziano la Rete del Lavoro agricolo di qualità, che spostano la sua azione nel territorio, e creano le convenzioni per affrontare il tema del collocamento pubblico in agricoltura e dei trasporti dei lavoratori, azioni che toglierebbero spazio di manovra ai caporali. Nel ddl ci sono gli strumenti penali per poter considerare responsabili di sfruttamento dei lavoratori agricoli le imprese che utilizzano i caporali, e non solo questi ultimi.

Per denunciare la situazione, il 25 giugno scorso, Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil hanno tenuto a Bari una delle più grandi manifestazioni di operai agricoli degli ultimi anni, con oltre 15mila lavoratori in piazza, italiani e stranieri, che hanno chiesto al governo di approvare subito il ddl contro lo sfruttamento, dandogli una corsia preferenziale. Ma i tempi del parlamento non sembrano essere quelli delle fasi lavorative dell’agricoltura, e temiamo che l’approvazione del ddl avverrà quando l’estate sarà passata. Sperando che non si compia nuovamente la tragedia di nuove morti sul lavoro nelle campagne italiane.

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