Almaviva era un’eccezione in quel macrocosmo della precarietà che sono i call center. Ricordate il film di Paolo Virzì ‘Tutta la vita davanti’? Quel mondo frenetico, anche spossante, che vede eserciti di giovani (e meno giovani) impegnati a rispondere alle richieste degli utenti delle grandi imprese nazionali di servizi, è una sorta di simbolo del lavoro nell’epoca della precarietà.

Eppure Almaviva Contact era un’impresa modello per tutte le altre. Aveva assorbito i lavoratori di Atesia, storico bubbone che aveva prosperato negli anni del far west del comparto. Di più: Almaviva si era ingrandita, aveva preso l’impegno di non delocalizzare e assumere solo addetti italiani per rispondere alle commesse delle imprese tricolori. Tutto messo nero su bianco nello statuto aziendale. Ma i meccanismi del cosiddetto mercato - il massimo ribasso - hanno continuato ad abbattere le tariffe, fino a provocare perdite nei bilanci e continui ricorsi agli ammortizzatori sociali.

Il resto è storia di questi mesi: con l’arrivo della primavera l’azienda annuncia 3.000 licenziamenti. E, in parallelo, il progetto di aprire sedi dove il costo del lavoro è minore. Si apre la vertenza all’interno dell’azienda di Marco Tripi. Dura, durissima. Dopo tre mesi di trattative arriva un accordo: i licenziamenti sono revocati, in cambio Almaviva Contact ottiene 18 mesi di ammortizzatori sociali, con sei mesi di contratti di solidarietà e poi cig straordinaria per un anno.

Tiziana Perrone lavora in Almaviva dal 2000, è stata rappresentante sindacale per la Slc Cgil, ed è stata in prima fila nella lotta con i compagni di lavoro, che come lei rischiavano di essere mandati a casa. “L’azienda aveva deciso di licenziare gran parte del personale. Un po’ per colpa della crisi, ma soprattutto della concorrenza dei call center meno costosi che sono nati in paesi come Albania, Romania e Tunisia. Il personale, che parla italiano, è pagato molto meno di quello italiano. Così i conti tornano, con buona pace delle nostre professionalità”.

Un passo indietro: Almaviva aveva deciso di ricorrere ai licenziamenti dopo ben quattro anni di contratti di solidarietà. Dal 5 giugno sarebbero andati in mobilità 1.670 dipendenti della sede di Palermo, 918 di quella di Roma, e 400 dalla sede di Napoli. Un autentico diluvio pet l’occupazione. Tiziana Perrone è una dei pochi addetti a tempo pieno del grande call center. “La maggior parte dei dipendenti sono assunti con un contratto part time di quattro ore. Nella sfortuna sono fortunata. Fra di noi - scherza - ci chiamiamo ‘precari a tempo indeterminato’”.

L’accordo al ministero, comunque difensivo, ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai lavoratori. “Non c’è dubbio, è stata una buona notizia - tira le somme Perrone - anche se l’accordo tampona, e nemmeno per troppo tempo, una situazione che era diventata drammatica. Abbiamo ottenuto la solidarietà, ma solo per sei mesi. E il 2017 è già dietro l’angolo. Non vorrei che a Natale l’azienda ci facesse un bruttissimo regalo. Speriamo piuttosto che tutto il settore dei call center inizi ad applicare le regole, che sulla carta esistono, e che il lavoro rientri in Italia”.

Negli occhi resta la cartolina delle manifestazioni organizzate da un capo all’altro della penisola dai combattivi lavoratori Almaviva. “Durante le trattative siamo stati compatti e battaglieri - sottolinea Perrone - del resto si parlava di mandare tremila persone sulla strada”. Gli italiani e le italiane ricevono periodicamente chiamate da numeri insoliti, voci lontane, ‘impacchettate’, propongono servizi di questa e quella grande azienda nazionale. “Quello è tutto lavoro che è stato organizzato fuori dall’Italia, è stato delocalizzato. Nonostante le regole che ci sarebbero ma non vengono fatte rispettare”.

Gli addetti dei call center hanno mediamente più di quarant’anni, del resto ne sono passati venti dalla impetuosa crescita del settore. Loro sono cresciuti, gli stipendi naturalmente no. “E applicare la solidarietà, su stipendi che non superano il migliaio di euro, vuol dire obbligare alle dimissioni chi deve mettere in conto i costi di spostamento per andare e tornare da lavoro. Stiamo parlando di una categoria a forte rischio di ricattabilità. Nonostante questo, come Slc Cgil, siamo riusciti a diventare il primo sindacato”.

Tiziana Perrone ha accettato l’invito di Stefano Fassina a partecipare alle ultime elezioni comunali di Roma. “È stata una bellissima esperienza, a prescindere dal risultato. Credo che la politica debba ascoltare i lavoratori e imparare dalle loro lotte”. Non sarà la sua ultima esperienza politica, c’è da scommetterlo. Del resto anche Perrone, come gli altri lavoratori dei call center, ha tutta la vita davanti. Paolo Virzì ha colto nel segno.

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