Il testo di riforma approvato modifica profondamente la II parte della Costituzione, ridefinendo funzioni e composizione del Parlamento, l’assetto istituzionale della Repubblica nella sua articolazione territoriale, e gli strumenti di partecipazione dei cittadini e delle formazioni sociali.

Le modifiche introdotte, tuttavia, non rispondono in modo efficace a gran parte delle intenzioni dichiarate dagli stessi promotori del disegno di legge, né agli auspici espressi negli ultimi anni da molti osservatori. Non fanno del Senato una vera Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali, né per composizione né per funzioni conferitegli. Non semplificano il procedimento legislativo. Non introducono adeguati bilanciamenti ai poteri del Governo a cui, con il voto a data certa privo di limiti qualitativi e quantitativi e un sistema elettorale maggioritario (qualsiasi esso sia), è attribuito, nei fatti, un sopravalore sul Parlamento.

Ancora: non disegnano un assetto coerente delle istituzioni territoriali e del loro rapporto con lo Stato, realizzando invece una centralizzazione delle competenze legislative a scapito delle Regioni. Non ampliano gli spazi di partecipazione e rappresentanza della cittadinanza e delle formazioni sociali, non prevedendo adeguate forme di consultazione diretta dei cittadini, né un luogo istituzionale sostitutivo del Cnel in cui il dialogo sociale possa trovare nuove modalità di esercizio.

L’auspicabile obiettivo di superare l’anomalia italiana del bicameralismo perfetto, conferendo alla sola Camera la titolarità del rapporto di fiducia con il Governo, la funzione di indirizzo politico e la preminenza dell’iniziativa legislativa, facendo del Senato il luogo di rappresentanza delle istituzioni territoriali, è tradito dalla composizione e dalle funzioni attribuite al nuovo Senato, che difficilmente potrà essere portatore delle istanze locali e realizzare, nel confronto legislativo con la Camera, quella necessaria cooperazione istituzionale atta a coniugare unità e decentramento, riducendo così anche i possibili contenziosi tra Stato e Regioni.

Inoltre, il conseguente obiettivo di semplificare il procedimento legislativo, per rendere più veloce l’approvazione delle norme, sarà vanificato dalle numerose variabili previste dalla riforma per la discussione e l’approvazione delle leggi, che poco hanno di “semplificato”, e richiederanno il consolidamento di una prassi interpretativa delle diverse procedure.

Le modifiche apportate al Titolo V, eliminando la legislazione concorrente e riportando a competenza esclusiva statale la maggior parte delle materie, operano una forte centralizzazione che conferirà allo Stato una preminenza legislativa quasi totale, eliminando nella maggior parte dei casi uno spazio garantito di autonomia legislativa per le Regioni. La riforma dunque capovolge il principio del decentramento ispiratore delle precedenti riforme, e opera un cambio di paradigma che disconosce la garanzia di pluralismo insita nel principio autonomistico.

La necessità di riportare a competenza esclusiva statale alcune materie non giustifica un tale stravolgimento dell’assetto istituzionale della Repubblica, né produrrà una diminuzione dei conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni; da una parte per la difficoltà di operare una separazione netta delle materie; dall’altra per l’introduzione di nuove definizioni, estranee al consolidato costituzionale, che saranno oggetto di nuove interpretazioni.
Quanto agli strumenti di partecipazione dei cittadini e delle formazioni sociali, le modifiche apportate si direbbero più dichiarazioni di intenti: a fronte dell’innalzamento delle firme richieste per presentare una legge di iniziativa popolare (da 50mila a 150mila), si prevede la garanzia della discussione in parlamento, rinviando però ai regolamenti la definizione di modalità e tempi. Per il referendum abrogativo si prevede un quorum inferiore, a condizione di un maggior numero di firme raccolte (800mila, in caso contrario il quorum rimane del 50%+1); si prevede, infine, l’introduzione di un referendum propositivo e di altre forme di consultazione delle formazioni sociali, rinviandone però la disciplina a una futura legge costituzionale.

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