La Carta dei diritti universali è una risposta rivendicativa concreta che unisce le varie condizioni di lavoro, per evitare il declino dei contratto nazionale.
Nelle ultime settimane la vicenda dei riders (fattorini a pagamento) di Foodora ha fatto emergere nel dibattito pubblico la condizione di chi lavora nella Gig e Sharing economy: vero e proprio lavoro, e non “lavoretti per arrotondare”, che si accompagna ad una destrutturazione dei rapporti di lavoro. Ciò avviene attraverso l’utilizzo delle tecnologie digitali.
Va fatta in premessa una distinzione tra chi viene retribuito direttamente dall’impresa e chi, attraverso “la mediazione interessata” di una piattaforma, si mette in “vetrina” offrendo una prestazione lavorativa come lavoratrice o lavoratore autonomo.
I primi sono vincolati alle scelte dell’impresa in merito a qualità e durata dei rapporti di lavoro.
I lavoratori di Foodora rientrano in questa condizione: lavoratori assunti come co.co.co, la cui organizzazione del lavoro é anche decisa da un “algoritmo” che distribuisce ai più meritevoli (chi pedala più velocemente), ed il compenso è a consegna. L’unica, parziale, “libertà” individuale è la scelta delle disponibilità giornaliere.
È stupefacente come molti “osservatori” si sorprendano delle condizioni di lavoro dei fattorini quando, nel periodo in cui si discusse del Jobs Act, furono in pochi a sollevare il problema della scomparsa del riferimento delle retribuzioni ai Ccnl in caso di collaborazione coordinata continuativa.
Nel caso di Foodora andrebbe posta la questione dell’applicazione delle regole del lavoro subordinato anche in caso di prestatori in collaborazione coordinata continuativa.
Inoltre, in Foodora, vi sono altre due questioni che meriterebbero qualche approfondimento: il controllo a distanza tramite geolocalizzazione pervasiva derivante dall’app installata sul telefono e il “caporalato digitale”, effettuato tramite un algoritmo che non permette una distribuzione equa del lavoro nè alcun elemento decisionale delle persone sulla quantità di lavoro che ogni giorno svolgono.
Il caso delle piattaforme di mediazione della domanda-offerta di lavoro è molto più complesso.
Ad oggi in Italia si moltiplicano anche con l’aiuto dei vari incubatori di impresa delle università italiane. In particolare sono operative Joebee, gestita dalla multinazionale della somministrazione Adecco, Vicker, che sostiene di essere accreditata dal Ministero del Lavoro e sponsorizzata dal comune pentastellato di Torino, ed altre, forse meno attrezzate.
Come funzionano? I lavoratori e le lavoratrici, non importa se professionisti con partita iva o meno, pubblicano il proprio “profilo professionale”, offrono le proprie prestazioni lavorative non a tariffa oraria ma con una richiesta economica complessiva.
Ed è su questo che si nasconde il punto più problematico.
Non esiste distinzione tra lavori, ad esempio tra un intervento idraulico, una prestazione di pulizia o un lavoro da colf o badante.
Si rompe il legame tra orario e compenso, eliminando di fatto i Ccnl, e considerando tutti prestatori d’opera.
La piattaforma non attiva rapporti di lavoro, si limita ad agevolare l’incontro tra due soggetti, a gestire i compensi liberamente pattuiti esternamente alla piattaforma, a trattenere da questi ultimi il 20% di provvigione, a cancellare i profili se non graditi agli utilizzatori.
Ad oggi il perimetro di mercato che occupano queste imprese è limitato, ma non va assolutamente sottovalutato.
La gig economy, si intreccia con il dibattito e lo sviluppo della digitalizzazione industriale (industria 4.0) che causerà drastiche riduzioni dei dipendenti diretti ed un aumento dei servizi all’impresa “on demand”.
La recente sentenza di primo grado, in Gran Bretagna, sui lavoratori della piattaforma Uber (ai quali dovrebbe applicarsi la paga oraria legale) insegna che il terreno del contrasto a condizioni di lavoro non convenzionali é aperto e va affrontato.
In questo senso la carta dei diritti universali è una risposta rivendicativa concreta che unisce le varie condizioni di lavoro e tenta di evitare il declino dei Ccnl, che porterebbe anche il sindacato italiano, come quello tedesco, a rivendicare il salario minimo per legge.
La Cgil deve rivendicare con urgenza una diversa normativa per ampliare l’applicazione delle regole del lavoro subordinato perché, tra voucher (partiti in sordina ed oggi esplosi), collaborazioni e prestazioni d’opera, la copertura della contrattazione collettiva è destinata a ridursi con una conseguente modifica radicale della natura stessa del sindacalismo italiano.