Mercoledì 26 luglio, dopo lunghi dibattiti e negoziati, il parlamento tunisino ha votato all’unanimità - 146 deputati presenti sui 217 eletti - una legge che rafforza la protezione delle donne vittime di violenze, e abolisce le disposizioni ritenute retrograde. Questa volta non è stato un regalo, come 60 anni fa, con il codice dello statuto personale, imposto dal “padre della nazione” Bourguiba, che aveva abolito la poligamia, introdotto il divorzio (in sostituzione del ripudio), fissato un’età minima per il matrimonio (15 anni per le donne, in seguito portati a 18 anni), e il consenso di entrambi i coniugi al momento del matrimonio. Le associazioni femministe, molto combattive in Tunisia, giudicavano ancora insufficiente questo progresso, e combattevano per una completa uguaglianza tra uomini e donne.

Questa volta sono le donne che hanno portato avanti questo progetto di legge. Anche se la Tunisia è considerata pioniera in materia di diritti delle donne in Africa, in particolare nel Maghreb e in tutto il mondo arabo, le donne rimangono vittime di discriminazioni a tutti i livelli. Quasi una donna su due in Tunisia ha dichiarato di aver già subito “una o più forme di violenza”, secondo uno studio condotto dall’istituzione pubblica Credif. 

La battaglia nel campo dei diritti delle donne è in corso da decine d’anni. Sopratutto durante la transizione politica, cominciata dal 2011, i diritti delle donne sono stati campo di battaglia tra le forze liberali, islamiste e di sinistra. La determinazione a non mollare mai ci é stata “regalata” dagli islamisti con il loro progetto del 2011 del “sesto califfato” e della islamizzazione della società. In particolare con la proposta, nella prima bozza della nuova Costituzione, con cui qualificavano le donne come “complementari agli uomini nell’ambito della famiglia”, che ha fatto scattare una delle prime grandi proteste contro il governo transitorio. La legge approvata a luglio si basa sul testo presentato da un comitato di avvocate con Nadia Chaabane in testa, una femminista e deputata nell’assemblea constituente. Introduce “il riconoscimento di tutte le violenze fisiche, morali, sessuali, etc... ”; inoltre “le violenze non saranno piu questioni private, e il ritiro della denuncia non interromperà più il perseguimento dell’autore di violenze”. Un passo veramente in avanti, e decisivo. Introduce poi importanti cambiamenti nell’approccio alla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e dei bambini, soprattutto in termini di prevenzione e protezione delle vittime. “Lo Stato si impegna a proteggere i diritti acquisiti dalla donna, li sostiene e opera per migliorarli, garantisce le pari opportunità tra donna e uomo nell’assunzione delle responsabilità in tutti i campi, si impegna a realizzare la parità tra donna e uomo nelle amministrazioni elettive, adotta le misure necessarie per sradicare la violenza contro le donne”. Il provvedimento modifica anche il controverso articolo 227 bis del codice penale, abrogando la norma che permetteva al violentatore di sfuggire alla pena e ottenere il “perdono” se sposava la vittima dello stupro. Ancora, un lungo dibattito è stato dedicato alla maggiore età nei rapporti sessuali, stabilita a 16 anni. E tra le misure adottate anche l’uguaglianza in campo lavorativo, come il divieto di far lavorare minorenni come aiutanti domestici: per chi contravviene la pena va dai 3 ai 6 mesi di carcere.

E’ una vittoria per la libertà di coscienza per la Tunisia, come spiega anche l’associazione tunisina delle Donne Democratiche, con Monia Ben Jemia. Un gruppo di circa 60 associazioni aveva lanciato una mobilitazione per ottenere l’abrogazione della circolare “scellerata” del 1973, giudicata “in contrasto con la Costituzione del 2014”. Innanzitutto perché violava il principio di “uguaglianza” tra “cittadini e cittadini” (articolo 21), dato che gli uomini avevano il diritto di sposare una non musulmana. E perché violava il principio della “libertà di coscienza” (articolo 6) nel presupposto che tutti i tunisini siano “musulmani”. Grazie alla mobilitazione delle donne, è stata finalmente cancellata lo scorso mese di settembre.

Il progresso è però solo “estetico” a causa dei tanti tabù che nemmeno questa legge ha potuto superare. Occorrerebbe infatti abolire la disparità nell’eredità: la donna eredita ancora la metà del maschio. Nonostante le associazioni di donne abbiano più volte sollevato la questione, su questa norma pesa la legge coranica. Avrebbero, anche, potuto fare un passo da gigante, sopprimendo l’omofobia e il test di verginità, nonché i test anali, altri falsi tabù, autorizzati dall’articolo 230.

Adesso è tempo di cambiare le mentalità. Questi ultimi sette anni sono stati molto difficili per noi, ma le donne tunisine non molleranno mai le loro libertà e la loro dignità. Abbiamo un obbiettivo: questa seconda Repubblica sarà progressista per le donne, o non lo sarà mai.

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