Dopo due tornate contrattuali segnate da accordi separati, i metalmeccanici, grazie alla mobilitazione e al nuovo rapporto unitario tra Fim, Fiom e Uilm, hanno finalmente un unico contratto nazionale. Questo indiscutibile risultato politico va confrontato con i contenuti dell’accordo, fermo restando che il giudizio definitivo sull’ipotesi di accordo spetta ai lavoratori col voto certificato nelle assemblee convocate per il 19-21 dicembre.
Il testo siglato definisce una sorta di specializzazione dei due livelli contrattuali. Al contratto nazionale viene assegnato il compito di difendere il potere d’acquisto delle retribuzioni, mentre il livello aziendale potrà determinare un eventuale incremento reale per i lavoratori.

Secondo l’accordo, ogni anno i minimi contrattuali cresceranno dal mese di giugno proporzionalmente alla crescita dell’inflazione dell’anno precedente, misurata sulla base dell’indice Ipca, depurato dell’inflazione importata a causa della crescita dei prodotti energetici. La crescita dei prezzi di un dato anno, cioè, sarà recuperata dalle buste paga dei metalmeccanici a partire dal giugno dell’anno successivo, senza scostamenti in alto o in basso rispetto all’andamento dell’inflazione reale.

Unica cifra fissa definita nell’accordo è una “una tantum” di 80 euro lordi, erogata nel 2017 a compensazione di salari contrattuali rimasti invariati rispetto al 2015.
Nel nuovo sistema, quindi, una eventuale crescita del potere d’acquisto è demandata alla contrattazione aziendale, che dovrà definire premi di risultato interamente variabili. Tali premi potranno essere assorbiti fino a concorrenza dalla crescita dei minimi contrattuali.

Fin dall’inizio della trattativa, il 5 novembre del 2015, e ancor più dall’incontro del 22 dicembre 2015, in cui Federmeccanica e Assistal presentarono la loro contropiattaforma, il nodo centrale di questo rinnovo era proprio quello del rapporto fra contrattazione di primo e di secondo livello nella determinazione degli aumenti salariali.

Con l’accordo del 26 novembre Fim, Fiom e Uilm hanno ottenuto la permanenza del sistema basato su due livelli, ma Federmeccanica e Assistal sembrano aver ottenuto l’affermazione del principio “Ne bis in idem”, non due volte sullo stesso argomento. In base al nuovo contratto, fino alla fine del 2019 vi sarà difesa dall’inflazione nel primo livello, e redistribuzione della maggiore ricchezza prodotta al secondo livello.
L’esistenza dei due livelli è decisiva perché la contrattazione aziendale si esercita solo nelle aziende medio-grandi, in cui è impiegato il 70% della categoria. Senza la protezione del contratto nazionale, le buste paga di un terzo dei metalmeccanici sono destinate a subire nel tempo un sicuro alleggerimento.

Saltato il riferimento all’andamento medio di settore, previsto dal protocollo del 23 luglio 1993, le imprese saranno chiamate a far salire le retribuzioni dei propri dipendenti, oltre i minimi contrattuali determinati dall’inflazione pregressa, solo a livello aziendale. I redditi dei metalmeccanici dovrebbero crescere per altra via: il welfare contrattuale, esente da imposizioni fiscali e contributive, come accade invece alle erogazioni salariali.

Il welfare nel contratto nazionale prevede: crescita dall’1,6 al 2% della retribuzione del contributo che le imprese versano per ogni dipendente aderente al fondo di previdenza complementare Cometa; estensione a tutti i metalmeccanici, e ai loro familiari (anche conviventi), delle prestazioni di sanità integrativa fornite da Meta Salute; affermazione del diritto soggettivo dei lavoratori alla formazione professionale. Le imprese che non organizzino propri corsi di formazione dovranno mettere a disposizione dei propri dipendenti fino a 300 euro nel triennio per la partecipazione a corsi extra-aziendali. Il welfare aziendale prevede i cosiddetti “flexible benefits”, buoni detassati messi a disposizione dei dipendenti per sostenere spese specifiche (rette di asili nido, libri scolastici, spese di trasporto compresi buoni benzina, ecc.). per un importo di 100 euro nel 2017, 150 euro nel 2018 e 200 euro nel 2019.

Sull’inquadramento professionale, il nuovo contratto demanda alla contrattazione aziendale la facoltà di sperimentare nuovi schemi che costituiranno la base per una proposta, elaborata da un’apposita commissione, per un nuovo inquadramento da inserire nel prossimo contratto nazionale.
Il nuovo contratto nazionale, inoltre, assegna nuovi compiti, a livello aziendale, alle Rsu sulla gestione degli orari flessibili, anche in deroga al contratto nazionale. Mentre la Cgil, insieme a Cisl e Uil, è impegnata nella contrattazione di nuove relazioni industriali, sarà necessario approfondire i riflessi di questo contratto – se approvato dai lavoratori - nella categoria come a livello confederale.

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