“Oggi in Egitto ci sono centinaia di persone scomparse, così come accadeva in America Latina negli anni 70-80. Se non si risale alla catena di comando che lega l’operato materiale di chi ha sequestrato, fatto sparire, torturato, non si arriverà mai alla verità”.

Da Amnesty International, che ha nella sua ragione sociale il rispetto dei diritti civili nel mondo, arriva questa sintesi dello stato delle cose, ad un anno dall’omicidio di Giulio Regeni. La verità è ancora lontana, dopo una lunga serie di depistaggi in cui dall’Egitto hanno cercato di spacciare la morte dello studente come l’esito di volta in volta di un incidente stradale, di un pestaggio legato alla vita privata del giovane ricercatore, addiritura di uno sgarro legato a traffici di droga, e anche di un rapimento a scopo di estorsione finito male.

Tutte menzogne, tali da costringere anche Sergio Mattarella ad accusare, sia pur diplomaticamente, il regime di Al Sisi: “Da un anno l’Italia piange l’uccisione di un suo giovane studioso, Giulio Regeni, senza che si sia potuto far piena luce sulla tragica vicenda, malgrado gli sforzi intensi della nostra magistratura e della nostra diplomazia”. Nel primo anniversario della sua scomparsa, in tutta Italia ci sono state manifestazioni per ricordare Giulio, e chiedere verità e giustizia.

Ma non sarà facile, ammonisce il portavoce di Amnesty, Riccardo Noury: “Abbiamo abbastanza chiaro ciò che è accaduto prima della morte, ma non ancora quello che è accaduto dopo. Se la catena di comando non emerge, e non arriva almeno al ministero dell’interno del Cairo, ci sarà sempre una verità di comodo”.

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