Anche i sardi preferiscono le bionde. Di casa loro, come la birra Ichnusa. Birre e buoi dei paesi tuoi. Per questo lavorare in una multinazionale come Heineken - proprietaria di una miriade di marchi - può voler dire anche continuare una tradizione. Quella della birra Ichnusa, da sempre la più venduta nell’isola, con numeri di consumo da anglosassoni.

Dalla natia Olanda, la Heineken è diventata una big player mondiale. Il fiocco rosa in Italia risale al 1974, quando acquisì lo storico marchio Dreher. Oggi il gruppo è presente in 70 paesi con 167 birrifici e 73mila dipendenti. Ha acquistato oltre 250 marchi, è al primo posto tra i produttori di birra in Europa, seconda al mondo per ricavi. Nel nostro paese è il primo produttore di birra con 5,3 milioni di ettolitri venduti ogni anno, impiega circa 2.000 addetti e opera in 4 birrifici: Comun Nuovo (Bergamo), Assemini (Cagliari), Massafra (Taranto), Pollein (Aosta).

I principali marchi del gruppo sono Heineken, la famiglia Birra Moretti (18 referenze), Dreher e, appunto, Ichnusa. Rita Cuccu ha iniziato a lavorare nella fabbrica cagliaritana nel 1990. “Ormai sono passati più di venticinque anni - racconta con un certo orgoglio - in un territorio desertificato, dove le fabbriche hanno chiuso una dopo l’altra, il birrificio di Assemini è un piccolo, ma neanche troppo, gioiello produttivo. Per noi è una delle poche realtà industriali che ci permettono di non emigrare nel continente per continuare a lavorare”.

Negli anni Rita Cuccu ha visto cambiare il panorama delle relazioni industriali, dentro e fuori la fabbrica. “Basta questo dato: rispetto a quando ho iniziato a lavorare io, il numero degli addetti è dimezzato, mentre la produzione è rimasta stabile. Anzi è aumentata. In questo scenario il jobs act sta dando il colpo di grazia. Per giunta l’attuale management sembra volersi accanire al minimo errore dei lavoratori. È di questi giorni la notizia di un collega fatto seguire da un investigatore e poi licenziato. Era in permesso con la 104. Lui avrà sbagliato, ma il ricorso agli 007 fa un certo effetto”.

In un quarto di secolo, Cuccu ha visto il passaggio della sua azienda da una singola realtà industriale, per quanto importante nell’economia della Sardegna, a filiera di una multinazionale. “Tutti i periti chimici vengono assunti dalla società come tecnici di laboratorio”. All’interno della fabbrica il lavoro è frenetico, la richiesta è sempre alta, la birra non conosce crisi. Non è la bevanda più amata dagli italiani, ma ormai ci si avvicina. Soprattutto nei mesi caldi, dalla primavera inoltrata all’inizio dell’autunno, quando il consumo cresce perché la gente la sera esce fuori, si fa una settimana di vacanza, organizza cene con gli amici. E una birra da sorseggiare c’è sempre, alle sagre come all’ora dell’aperitivo, non stona mai. “In questi periodi dell’anno l’azienda fa ricorso alla flessibilità - spiega Cuccu - vengono assunti lavoratori interinali, stagionali, anche solo per qualche settimana”. Pagati con i voucher del ministro Poletti? “No, per fortuna i voucher ce li siamo risparmiati. Non li usa neppure la ditta in appalto che fa le pulizie”.

L’età media dei lavoratori del birrificio di Assemini è alta, ben più di quella dei consumatori. “Ho 56 anni - sottolinea Cuccu - e non sono una delle più anziane. Molti miei colleghi di lavoro hanno superato i sessanta. La legge Fornero è stata una mazzata, ha bloccato il turn over, quindi il ricambio generazionale non c’è”. La rappresentanza sindacale unitaria ha un delegato per ogni sigla confederale (Cgil, Cisl e Uil di categoria). “Eppure - osserva con una punta di amarezza la delegata Flai Cgil - c’è poca cultura sindacale. La reazione alle difficoltà e al disagio, in questi lunghi anni di crisi, è sempre più individuale e sempre meno collettiva. Ognuno pensa di difendersi da solo, di andare dall’avvocato. Ma così non si fanno passi avanti tutti insieme”.

Va a finire che l’azienda ha gioco facile a mandare avanti la sua strategia produttiva, pochi addetti sempre al lavoro e ferie decise dall’alto per non rallentare la produzione nei mesi caldi. Il contratto dell’agro-alimentare garantisce uno stipendio decente alla categoria. “Non ci possiamo lamentare, soprattutto a paragone delle altre realtà lavorative della regione perennemente in crisi”. Finale orgoglioso: “Non possiamo dimenticare che produrre Ichnusa, anche se si lavora per una multinazionale come Heineken, assume un valore particolare. I miei conterranei sono fieri di vedere ancora prodotto il loro storico marchio di birra”. E un giovane ingegnere, che per laurearsi al politecnico di Milano ha dovuto emigrare nel continente, è ben felice di tornare nell’isola e contribuire al presente e al futuro di Ichnusa. La bionda più amata in Sardegna.

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