Mentre nel resto d’Europa i lavori “accessori” sono ben circoscritti ad attività autenticamente occasionali, in Italia l’esplosione dei voucher rivela una realtà che incide pesantemente sul mercato del lavoro. Gli elementi distorsivi ricadranno pesantemente anche sulle pensioni dei lavoratori, come dimostra un dossier recentemente presentato dall’Inca Cgil.

Gli ultimi dati Inps rilevano che, nel 2016, sono stati venduti 133,8 milioni di voucher, con un incremento rispetto al 2015 del 23,9%. In quell’anno, la platea dei voucheristi era di 1.380.000 lavoratori, mentre i committenti erano 473mila. Il lavoratore ha percepito in media un compenso annuo di 478,5 euro, pari a 63,8 voucher. Risulta che solo un terzo dei buoni lavoro è stato utilizzato dalle famiglie, mentre i due terzi da imprese.

I dati sono ancor più sconfortanti se si estende l’analisi dall’inizio della grave crisi economica e occupazionale. Nel 2008, quando l’uso del voucher era previsto dalla legge Biagi del 2003 per remunerare soltanto piccoli lavoretti occasionali, se ne sono venduti mezzo milione per poco meno di 25mila percettori, con un’età media di 60 anni. Dopo la cancellazione di ogni limite di applicazione (prima, con la riforma Fornero e poi con la conversione del decreto legato al jobs act), l’età dei cosiddetti “voucheristi” si è abbassata a 36 anni, con una preoccupante presenza di donne (il 52%). A subirne le conseguenze soprattutto i giovani che, già colpiti da un tasso di disoccupazione altissimo (quasi il 40%), si vedranno comprimere ancora di più i loro diritti previdenziali.

Cinque esempi valgono più di mille argomenti. Gli esperti dell’Inca hanno realizzato alcune proiezioni che fanno emergere la grave povertà di tutele previdenziali per i percettori di voucher. Conseguenze previdenziali e socio assistenziali ancor più macroscopiche, dato che il trattamento dei voucheristi è stato confrontato con quello riservato a quattro tipologie di lavoratori (agricoli stagionali, dipendenti a part time, con contratto di collaborazione, e a partita Iva) scelte perché ben rappresentano la diffusa precarietà del mercato del lavoro, per le quali la povertà dei diritti resta, pur con differenze, un comune denominatore.

Dai dati emerge che i lavoratori pagati con voucher hanno meno tutele previdenziali e nessuna garanzia di un posto di lavoro stabile. Sono esposti alla cosiddetta “occasionalità” di lavoro che si traduce in realtà nella totale “discrezionalità” dell’azienda di utilizzarli in qualsiasi momento e senza alcun vincolo contrattuale, neppure di durata. Questi lavoratori molto spesso lavorano più ore rispetto a quanto percepito (in termini di numero di voucher). Perciò, il presunto valore nominale orario di ciascun ‘buono’ viene completamente oscurato.

Per quanto riguarda il diritto alla pensione di vecchiaia, il percettore di voucher, il titolare di partita Iva, il collaboratore e il dipendente part time non riescono a perfezionare il diritto prima dei 70 anni di età, a causa del mancato raggiungimento dell’importo minimo previsto. Tra queste categorie, il voucherista (con un imponibile contributivo lordo annuo di 9.333 euro) risulta il più “sfortunato tra gli sfortunati”: per lui l’assegno risulterebbe pari a 208,35 euro al mese, e la pensione di reversibilità e le prestazioni di invalidità sono delle chimere”.

Il dossier Inca esamina anche altri aspetti dei voucher: le ore di lavoro, spesso maggiori di quanto percepito in termini di numero di voucher, e la tutela contro gli infortuni, che risulta solo formale in quanto le imprese non denunciano gli infortuni e corrono ai ripari solo quando l’incidente è grave, dunque non camuffabile con una semplice malattia (per la quale non c’è tutela alcuna). Un bel risparmio per le imprese, ma anche un’occasione ghiotta per Inps e Inail di incamerare contributi obbligatori che il lavoratore paga, senza ricevere in cambio alcuna prestazione. Per ogni “buono”, il lavoratore percepisce 7,5 euro e lascia a Inps e Inail 2,5 euro, di cui 50 centesimi per il “servizio” all’Inps, pari al 5%. Un aggio paragonabile a quello applicato da Equitalia e tanto contestato per la riscossione dei tributi evasi.

Considerando il numero complessivo delle vendite del 2016, l’Inps solo per la gestione del servizio ha incamerato quasi 67 milioni di euro in un anno. Cosa effettivamente paghi il percettore di voucher non è dato sapere, visto che la cosiddetta quota di servizio non è prevista per nessun’altra prestazione previdenziale. Forse la stampa del buono lavoro? Insomma il meccanismo dei voucher suona come un vero e proprio inganno, a cui si aggiunge la beffa del futuro pensionistico di questi lavoratori.

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