La vicenda della lavoratrice cui viene chiesto di pagare la sostituzione per maternità ha aperto il vaso di pandora delle discriminazioni e delle violazioni dei diritti delle donne sul lavoro.

Chi conosce il mestiere del sindacalista sa che tra un’assemblea e una trattativa il telefonino che ci accompagna è lo sportello sempre aperto della Cgil, a disposizione di tutti i lavoratori in cerca di una risposta, un consiglio o anche solo un incoraggiamento.

“Buongiorno, mi chiamo Elena e volevo parlare con il signor Atalmi”. Una voce giovane ed incerta, ma anche squillante e subito simpatica. Le chiedo di darmi del tu e di raccontarmi tutto. E da lì comincia un racconto che pare veramente surreale. Elena ha 25 anni e lavora da due anni in una piccolissima azienda grafica con un contratto di apprendistato. Mi racconta di quando è andata dalla sua titolare a comunicarle che, essendo in evidentissimo stato di gravidanza, intendeva andare in maternità. La titolare le sorride benevola, magari le fa anche le congratulazioni, ma poi le dice che adesso, se lei va in maternità, in azienda dovranno prendere una sostituta e che, insomma, se lei voleva dopo continuare a lavorare con loro, magari poteva essere lei a pagare la sua sostituta.

Giuro che all’inizio pensavo ad uno scherzo telefonico. E mi è venuto da ridere. Elena rimane interdetta. Poi, anche un po’ imbarazzata, mi dice che non sta scherzando. E che soprattutto non stava scherzando la sua titolare. Io cerco di tornare serio e le spiego che la maternità la paga l’Inps e che non ho mai sentito una cosa simile. Mi ascolta e poi mi confessa che anche a lei la richiesta sembrava strana, e per questo aveva pensato di chiamare la Cgil.

Le consiglio di rifiutare e andare in maternità tranquilla, ché senz’altro la titolare avrebbe lasciato cadere questa ridicola richiesta. Ma lei mi dice che la titolare le ha anche chiesto in caso contrario di dimettersi per non creare problemi. Sono rimasto interdetto. Mi sconvolgeva che una donna imprenditrice, per quanto di una piccolissima azienda, potesse aver fatto una proposta simile. Ma mi atterriva soprattutto che ad Elena questo sembrasse solo “strano”. Non ridicolo. Non indecente.

Segue una lunga chiacchierata per illustrare sommariamente le normative su apprendistato, maternità, dimissioni, licenziamento e Naspi. Elena mi ascolta con curiosità. Sembra sollevata, almeno un po’. “Ma quindi per far valere tutti questi miei diritti cosa devo fare?” Le consiglio di provarci da sola con le buone, tanto poi se serve interveniamo noi. “Con le buone ci ho già provato, secondo me ho bisogno che interveniate voi per trovare una soluzione.” La tranquillizzo e poi le fisso un appuntamento per il giorno dopo. “Grazie ci vediamo domani adesso sono più tranquilla, ma ho bisogno di un po’ d’aiuto per uscirne perché temo che alla fine loro vogliano solo licenziarmi.” Le dico che non deve preoccuparsi perchè la legge è chiara. “Solo una cosa volevo dirle però… io sai non vorrei arrivare ai ferri corti… non vorrei che loro magari facessero delle ritorsioni…”. Delle ritorsioni? Le domando quali ritorsioni ulteriori potrebbero esserci dopo un licenziamento...

Quando l’indomani Elena è venuta in Camera del lavoro, ho conosciuto una ragazza giovane ma non alla prima esperienza lavorativa, solare e felice della sua maternità ma anche spaventata dalla paura di non ritrovare un altro lavoro, delle difficoltà di costruirsi una vita indipendente. Abbiamo parlato a lungo e poi l’ho accompagnata al nostro ufficio vertenze e al nostro patronato, perché le spiegassero bene i suoi diritti. Ne è uscita rassicurata almeno un po’.

Qualche giorno dopo il problema era risolto, perché il nostro intervento aveva riportato alla ragione l’azienda ed Elena potrà vivere la sua maternità. Ma questa storia che abbiamo voluto rendere pubblica ha scoperchiato un vaso di pandora. Da quel giorno altre ragazze si sono rivolte alla Cgil per denunciare tante e diverse violazioni dei diritti di una giovane donna che lavora e sogna di diventare mamma. Anni di precarizzazione e di crisi hanno travolto diritti, annichilito speranze, ricattato vite. C’è davvero bisogno di un grande, forte e moderno sindacato, perché dobbiamo ricostruire assieme la fiducia della tutela collettiva e individuale della persona che lavora, ma anche portare tra le giovani generazioni e nelle scuole l’abc dei diritti del lavoro.

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