L’accordo commerciale Ue-Canada è nefasto per l’ambiente. Appello al Parlamento perché non lo ratifichi.

In un mondo ideale, gli accordi internazionali potrebbero rafforzare enormemente il campo della protezione ambientale e della tutela dei diritti, garantendo un miglioramento della vita delle persone e dell’economia dei paesi coinvolti, contribuendo altresì a elevare gli standard nei paesi meno virtuosi e a fissare regole comuni e vincolanti, capaci di garantire più saldamente la salute degli ecosistemi. Oggi però siamo lontani da questo scenario. In tutto il mondo sono stati sottoscritti più di tremila trattati sul commercio e gli investimenti, documenti che accolgono le istanze dei grandi soggetti economici, anteponendole alle esigenze dell’ambiente e delle comunità locali.

I volti più emblematici di questo dualismo irriconducibile sono il presidente Usa Donald Trump e quello canadese Justin Trudeau. Trump, che sta cercando di portare a casa un trattato di liberalizzazione commerciale con l’Europa ancora più favorevole per gli Usa del famigerato Ttip lanciato dal predecessore Obama, catalizza critiche e scontento. Ma il giovane dall’immagine accattivante Trudeau non è poi così diverso dall’odioso Trump. Basti pensare ai 173 miliardi di barili di petrolio che vuole estrarre dalle sabbie canadesi e immettere nel mercato, proprio grazie a un accordo con Trump. Se bruciati, genererebbero il 30% di anidride carbonica necessaria per portarci oltre l’obiettivo di 1.5 gradi centigradi di incremento di temperatura atmosferica, che il Canada ha aiutato a stabilire come soglia massima di aumento con l’accordo di Parigi.

In occasione del G7 Ambiente parallelo al vertice ufficiale che si è tenuto nella prima settimana di giugno a Bologna, la Campagna Stop Tttip ha presentato un nuovo rapporto sull’impatto di Ceta, Ttip e liberalizzazioni commerciali su clima e ambiente (https://stopttipitalia.files.wordpress.com/2017/06/ambiente-e-commercio-globale.pdf). Il documento ha dimostrato, numeri alla mano, che quel trattato di liberalizzazione commerciale tra Europa e Canada - il Ceta - che Trudeau è venuto a maggio a promuovere nel nostro paese in occasione del G7 di Taormina, potrebbe calare una pietra tombale non solo sui buoni propositi europei per la lotta ai cambiamenti climatici, ma sul modo in cui l’Ue fino ad oggi ha concordato alcune politiche strategiche con i propri paesi membri.

Da pochi giorni è all’esame del Senato italiano il disegno di legge di ratifica del Ceta (Comprehensive Economic Trade Agreement), accordo commerciale che l’Unione europea ha discusso con il Canada a partire dal 2009, giungendo a una prima ratifica dell’Europarlamento il 15 febbraio 2017. Dopo il via libera di Strasburgo tocca alle assemblee legislative di tutti gli stati membri esprimersi con un sì o un no al Ceta. È sufficiente la contrarietà di uno Stato per impedire in tutta Europa l’applicazione di buona parte delle sue disposizioni.

Il nodo più esplicativo dal punto di vista ambientale sta nella previsione contenuta nel Ceta, come nel Ttip, di prevedere la nascita di un tribunale ad hoc (Investment Court System), cui gli investitori esteri di Ue e Canada – e solo loro – potranno rivolgersi per fare causa ad uno Stato che minacci i loro profitti, anche soltanto attesi, con politiche giudicate lesive del libero commercio.

Invece per eventuali infrazioni delle leggi ambientali europee o canadesi, da parte delle imprese, non è previsto alcun meccanismo sanzionatorio. Da una parte, dunque, abbiamo un tribunale sovranazionale con potere di sanzionare economicamente gli stati per importi illimitati, che utilizza come unico codice il testo dell’accordo, dall’altra nessuna tutela efficace per le violazioni delle imprese. In passato, simili corti arbitrali per gli investimenti hanno risolto a porte chiuse, in favore dei privati, cause a dir poco controverse.

E’ abbastanza per impegnare tutte e tutti noi, come negli ultimi anni, a rilanciare l’appello a fare pressione sui parlamenti nazionali, affinché il Ceta venga respinto e l’Unione europea sia costretta a rivedere completamente la sua politica commerciale.

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